Clelia Pettini
A proposito di “Cronache infedeli”

La Storia che passa

Flavio Fusi, per anni inviato dei Tg Rai, racconta dove nascono le notizie: nelle avventure delle persone e nella memoria di chi le racconta. E dove la Storia diventa subito Passato

Che cosa c’è dietro a un servizio televisivo di due, tre minuti? Cronache infedeli, nuovo libro del giornalista Rai Flavio Fusi (edito da Voland nella collana Confini) prova a raccontarlo. Raccogliendo ricordi, testimonianze, sensazioni che si snodano lungo quasi trent’anni e che, attraverso le storie, raccontano la Storia. Quella che abbiamo visto scorrere nelle immagini in movimento della televisione, quella che si ripete, spesso con le stesse modalità, oggi, e che consumiamo velocemente in foto e video in rete.

Dalla Sarajevo della guerra dei Balcani al Messico del subcomandate Marcos, dalla New York post 11 settembre al Nicaragua sandinista, dalla Berlino dove cade il muro al Sudafrica di Nelson Mandela, si susseguono veloci nella prosa di Fusi, pagine della storia del mondo che troppo spesso dimentichiamo. Sono cronache precise, dettagliate, che riportano colori, profumi, sentimenti. Ma sono cronache infedeli, perché filtrate dalla memoria del cuore. Nella testimonianza di Flavio Fusi emergono con forza le contraddizioni della vita, anche di quella del cronista-inviato. Che si trova ad assistere alla Storia che passa, che si fa attraverso violenza, dolore, povertà, e che mette in pericolo la sua stessa vita per realizzare il servizio, per riuscire a portare nelle case degli spettatori un frammento di quello che accade. Un frammento che si deve scegliere con cura e, spesso, in poco tempo: quello che corre tra decidere di seguire una strada, privilegiare un contatto, mettersi a rischio, in prima persona, per raggiungere un luogo e un testimone piuttosto che un altro.

Con Cronache infedeli, Fusi utilizza anche espedienti fantasiosi per raccontare i fatti: immagina una conversazione con Ilaria Alpi, inviata Rai, ma soprattutto collega ed amica dell’autore, uccisa nel1994 a Mogadiscio insieme all’operatore Miran Hrovatin, che in questa raccolta diventa mezzo per raccontare la tragica carneficina tra Hutu e Tutsi; incontra, in una notte immaginaria, Günter Schabowski, “schabe” la blatta, il funzionario che la sera del 9 novembre 1989, in una stanza fumosa, davanti a una folla di giornalisti, dichiarò che le frontiere che dividevano la Germania dell’est dalla Germania ovest si sarebbero aperte. Da subito, disse Schabowski, per rispondere alla domanda di un giornalista, e decretò così la caduta del Muro.

Ma accanto ai nomi più noti ci sono le storie di Mercedes e Mireya madri che vorrebbero conoscere la sorte dei loro figli e avere un luogo dove piangerli dopo la folle guerra delle Malvinas, e quella di Sergej Adamovič, che racconta i lati oscuri della nuova Russia, dove persone spariscono in nome del progresso. C’è la storia di Gienita, bambina rom di Kablare, che dopo la tragedia del Kosovo nel 2004 viene cacciata dalla propria casa, insieme a centinaia di altri rom che da secoli vivevano su quelle terre, e trova rifugio in un campo profughi di Trepka: muore per intossicazione da piombo, perché quello è uno terreni più contaminati del paese, la stessa sorte di Nikolina, Kasandra e Anita, bambine come lei, gravemente ammalate. Quella di Olga, uccisa da un cecchino serbo mentre manifestava per l’indipendenza della Bosnia, e quella di Antonio, che continua a cercare di varcare la frontiera che divide il Messico dagli Stati Uniti e che prima o poi, dice, ce la farà.

Nelle Cronache infedeli di Fusi c’è quindi un mondo, nostalgico, come ammette l’autore stesso, ricco di dettagli, che forse la memoria ha modificato, ma che vale la pena di raccontare e leggere. Perché, alla fine, come ricorda Fusi, «la memoria sceglie, taglia, lima, cancella, inventa, dimentica. Tradisce, senza mai davvero tradire».

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