Marco Ferrari
A cent'anni dalla prima striscia

Bonaventura, Italia

In mostra i miracoli del Signor Bonaventura, l’omino tenace e fortunato disegnato da Sergio Tofano, che ha accompagnato il nostro Paese dalle guerre alla rinascita

«Qui comincia l’avventura del signor Bonaventura» si leggeva il 28 ottobre del 1917 su una tavola a colori pubblicata sul numero 43 del Corriere dei Piccoli, in piena guerra. Si trattava di un fumetto a tutta pagina composto da otto vignette, ciascuna corredata da un testo in versi con distici, strofe a due versi, e di ottonari, versi di otto sillabe metriche a rima baciata. Ancora oggi, a cento anni di distanza, l’omino in palandrana e cappello rossi è uno dei personaggi più amati del fumetto italiano. A inventarlo era stato l’attore Sergio Tofano che si firmava Sto, una faccia molto conosciuta del teatro e soprattutto della prima televisione anni ’50.

La storia dice che il rosso del suo abito fosse nato per una semplice ragione: il fumettista aveva a disposizione, al momento del primo disegno, una sola matita di quel colore. Così vestito di giacca rossa e di pantaloni bianchi, due scarpe la clown, con accanto il fedele bassotto che intralcia i suoi passi, il signor Bonaventura ha fatto ridere gli italiani sino al 1953. Da subito è diventato un’icona del fumetto, uno strampalato eroe con lo stesso epilogo: da povero squattrino l’omino diventava milionario. Un personaggio perfetto in epoche di tombole e lotterie e poi di Totocalcio, gioco inventato nel 1946, unico sistema attraverso cui si poteva sognare una vincita milionaria, anzi miliardaria a partire dagli anni ‘50, complice l’inflazione.

A rendere ancora più amato il signor Bonaventura contribuivano la parlata in rima baciata e la “nuvola” di sfortuna che lo seguiva ovunque – copiata poi da Villaggio-Fantozzi – e che, in un modo o nell’altro, finiva sempre per premiarlo con il celebre “milione di lire”.

A cento anni di distanza del primo disegno comparso sul famoso giornaletto per bambini, supplemento del Corriere della Sera, il signor Bonaventura torna protagonista di divise mostre, iniziative e dibattiti. La principale è in programma sino a gennaio nelle sale del Museo dell’Attore di Genova. Proprio alla raccolta genovese il figlio di Tofano, Gilberto, ha deciso di donare lo sterminato e colorato archivio del padre: «Sono trascorsi 100 anni da quando la prima tavola di Tofano compariva sul Corriere dei Piccoli e abbiamo deciso si ricordarlo – spiega Gian Domenico Ricaldone, curatore dell’esposizione – con materiale del Fondo Tofano, donato alla fine degli anni ’70. La scelta del nostro museo è dovuta al fatto che Tofano è stato un grande attore, regista, autore e insegnante all’Accademia di Arte Drammatica».

In esposizione, oltre al costume indossato in scena da Tofano, troviamo le tavole originali e i bozzetti disegnati dal fumettista, i volumi delle sei commedie musicali dedicate al signor Bonaventura e una vetrina incentrata sul film del 1941 diretto proprio da Tofano, in cui viene raccontata la storia di Cenerentola e di Bonaventura: «In quel caso, a interpretare il personaggio era Paolo Stoppa, come si vede nelle foto di scena – prosegue Ricaldone –. C’è inoltre un’altra vetrina dedicata a vere e proprie chicche: Bonaventura, oltre ad avere influenzato un maestro come Lele Luzzati, è stato utilizzato moltissimo per la pubblicità, i gadget e i giochi».

Nella sceneggiatura illustrativa, lo strambo ometto trasforma l’iniziale sventatezza in un colpo di fortuna, rovesciando la sorte a proprio favore, un mutamento che aizza i sogni dei piccoli ma anche dei grandi, in una sorta di antidoto surreale ai guai dell’esistenza. Bonaventura, infatti, inciampa, cade, precipita, sbatte, è vittima di ogni inconveniente ma mantiene intatta la sua innocenza che in qualche maniera lo aiuta a risalire la china: ogni atto maldestro trova nel giro di poche sequenze una spropositata ricompensa, un fazzolettone bianco di carta con su scritto “un milione”, il vero sogno degli italiani.

Ma Bonaventura va oltre: come un moderno Robin Wood, grazie agli infortuni, ripara i danni degli altri, acciuffa malviventi, salva vite, inventa imprese benefiche. Un personaggio idealmente apparentato con il Marcovaldo di Italo Calvino e con lo sciocco Giufá del meridione italiano. Insomma, uno stolto dolce e ingenuo che reagisce alle avversità dell’esistenza, rovesciandole in fattori positivi. Per tutti, quindi, c’è una via d’uscita. Un messaggio positivo soprattutto perché il fumetto venne inventato nel pieno della prima guerra mondiale mentre imperversava la disfatta di Caporetto che sembrava segnare un punto di non ritorno. Invece, esattamente come lo strampalato Bonaventura, anche l’Italia riuscì a venirne fuori e a sconfiggere e disintegrare l’impero austro-ungarico.

Versatile personaggio, Sergio Tofano (1886-1973) è stato uno dei più grandi attori del teatro italiano, capocomico, regista, scenografo e costumista. Faccia seria e compita, alto, filiforme, naso lungo, divideva il tempo tra la scena e la scrivania. Restano famose le novelle brevi come I cavoli a merenda e Storie di Cantastorie, i libri per ragazzi come Il romanzo delle mie delusioni e La principessa delle lenticchie e quel breve capolavoro che è Qui comincia la sventura del Signor Bonaventura, commedia magistralmente introdotta da Oreste Del Buono. Oltre alle famose storie a fumetti, Tofano si dedicò anche alle rappresentazioni teatrali del Signor Bonaventura, interpretando personalmente il personaggio in commedie musicali da lui stesso scritte, messe in scena e dirette. Negli anni Settanta il personaggio è stato ripreso dal disegnatore Carlo Peroni “Perogatt” col consenso di Sto per mantenere in vita quello che era divenuto un tormentone di intere generazioni, appunto “Qui comincia l’avventura”, sostituito talvolta dalla frase “Ricomincia la sventura”. A popolare le sue tavole ci pensano il bassotto giallo, il “bellissimo Cecè” pieno di vanità, generosissimi re, baroni, contesse, ma non mancavano i cattivi, come il torvo ed invidioso Barbariccia, col volto sempre coperto da una maschera verdognola, e il disonesto barone Partecipazio. Si contano sulla punta delle dita le storie che finiscono male per Bonaventura che deve dare speranze agli italiani, anche loro carichi di candida ingenuità e non ancora avvinti dal boom industriale degli anni ‘60. Un personaggio che non muore mai, come testimoniato dalle riedizioni delle tavole storiche da parte del raffinato editore Adelphi, da cartoni animati, dalle canzoni e dalle trasposizioni televisive a lui dedicate.

Tofano fece parte delle più rinomate formazioni teatrali dell’epoca, come quella di Virgilio Talli, dove incontrò Rosa Cavallari, costumista, che diverrà sua moglie, morta suicida nel 1960. Dal 1928 ebbe i gradi di capocomico guidando attori come Evi Maltagliati, Vittorio De Sica, Giuditta Rissone, Olga Vittoria Gentili. Interpretò classici e moderni, da Molnár a Shaw, da Romains a Pirandello, da Machiavelli a Molière, da Čechov a Ibsen, ma resterà per sempre legato a quel nonsense di Bonaventura, forse troppo moderno per un’epoca di grandi difficoltà nella vita degli italiani.

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