Federica Spinella
Visto a Marsciano

Don Giovanni e Pulcinella

«Don Giovanni in soffitta" di Valerio Apice è una favola contemporanea sulla forza del teatro e del testo di Molière (nella traduzione di Cesare Garboli) che passa per le mani del celebre servitore

«Morti, sono tutti morti», con queste parole Sganarello/Pulcinella apre Don Giovanni in soffitta – lo spettacolo che Valerio Apice ha messo in scena con il suo gruppo Isola di Confine alla Sala De Filippo di Marsciano e poi in tuornée – arrivando in scena in punta di piedi, parlando sottovoce. Qui tutti questi morti, personaggi riposti insieme alla loro storia in soffitta, non solo tornano a vivere, ma anche a cantare e a danzare. Così un classico della letteratura come il Don Giovanni di Molière (presentato nella bella traduzione di Cesare Garboli) torna a farsi contemporaneo e a parlare una lingua che è di tutti i giorni e insieme antica, quasi ancestrale. Ma questo Pulcinella che vuole richiamare in vita il suo padrone e Donna Elvira, non è morto anche lui? Servo dimenticato in soffitta, così antico, così poetico, così moderno?

Valerio Apice interpreta Pulcinella da anni, con maestria, con poesia, ma anche con una carica di innovazione continua. E anche in questo è fedele alla tradizione, che si ripete sempre e incessantemente, pur senza mai essere uguale a se stessa. Del resto, è proprio in questo stesso modo che Teatro Laboratorio/Isola di confine è fedele al testo di Molière, tradendolo, riscrivendolo e regalandogli sonorità nuove. Non si segue l’andamento dell’intreccio: in scena ne troviamo una sorta di estratto onirico. Don Giovanni, interpretato da un Davide Tassi convincente, capace di attraversare i vari registri del tragico e della farsa, non si trova davanti semplicemente a Donna Elvira, ma ad una rapida successione delle figure femminili che ha sedotto. Manichini vuoti, che rimangono senza testa, senza volto, e che pur continuano a danzare. Che cos’altro potrebbero fare del resto? Solo Donna Elvira, nella brillante interpretazione di Giulia Castellani, resta di carne, solo suo in scena è il tono dell’elegia: Don Giovanni e il suo servo non lo conoscono, sempre troppo ridicoli, o troppo sublimi.

Spesso nella danza tra Elvira e Don Giovanni, Pulcinella/Sganarello si mette da parte, seduto in un angolo. E poi, da grande attore, quando decide di rialzarsi richiama tutto su di sé, fa suo lo spettacolo, lo piega al suo ritmo. Può immobilizzarlo o spingerlo verso una cantilena inarrestabile che toglie il respiro. Nessun dubbio sul fatto che quello che ci troviamo di fronte sia un Pulcinella poeta, capace per un attimo di arrestare il tempo. Ma tutto poi torna a correre di nuovo, precipita via troppo presto, e, come sempre accade quando uno spettacolo ci è piaciuto, ci lascia l’impressione che sia finito troppo in fretta e prima del previsto. La bella musica, nella drammaturgia sonora originale dei Trouvez Margot, che tutto l’ha scandito, adesso se lo porta via, accompagna di nuovo i personaggi nei loro bauli.

Abbiamo visto questo Don Giovanni in soffitta in un piccolo teatro (la sala De Filippo di Marsciano appena rinnovata) in un piccolo paese dell’Umbria. Chissà perché capita così spesso di vedere un grande spettacolo in un piccolo teatro e lontano dai centri, forse perché in Italia i gioielli ci piace tenerli nascosti, per pochi anche se dovrebbero essere, e in verità sono, per tutti.

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