Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

JKF e Russiagate: complotti paralleli?

Nelle carte desecretate sull'omicidio di JFK non ci sarebbe nulla di nuovo. E se fosse solo una manovra per mettere in difficoltà CIA e FBI (e per distrarre gli Usa dal Russiagate?)

Dalle conclusioni del procuratore speciale Robert Mueller che ha indagato sul cosiddetto Russiagate risultano incriminati – con l’accusa, tra le altre, di riciclaggio di denaro su banche straniere e di avere pilotato le interferenze da parte del Cremlino nelle elezioni presidenziali americane – Paul Manafort ex manager della campagna elettorale di Donald Trump nel 2016 e Rick Gates suo partner in affari. Ad essi si aggiunge l’ex consigliere del presidente George Papadopoulos che ha ammesso di avere mentito all’FBI. E questo sembra essere solo l’inizio dello scoperchiamento di un vaso di Pandora che si preannuncia molto complicato e, per chi ama le teorie del complotto, pieno di sorprese che riguardano il presidente degli Stati Uniti e la correttezza della sua elezione.

Nel frattempo dalla medesima Casa Bianca che somiglia sempre di più a quella di Frank Underwood, il protagonista di House of Cards dove quotidianamente gli intrighi si intrecciano senza tregua e dove il governo del paese diviene sempre meno importante rispetto al sensazionalismo di certe notizie, è venuta giovedì scorso l’autorizzazione a desecretare migliaia di files che riguardano l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Gli studiosi e gli storici ci si sono subito gettati a capofitto per cercare di trovare nuovi elementi che svelino i misteri della regina par excellence delle teorie del complotto. L’assassinio del presidente in assoluto più amato dal popolo americano avvenne a Dallas in Texas il 22 novembre 1963. Adesso Donald Trump, viceversa in assoluto il presidente meno amato di tutta la storia degli Stati Uniti, ha deciso di rendere pubblici documenti riguardanti tale tragico evento.

Contrariamente alle richieste delle due più importanti agency preposte alla sicurezza nazionale, CIA e FBI (contro le quali Trump sin dal licenziamento di James Comey, allora capo del FBI, ha un conto aperto ormai da mesi) che ne vogliono invece alcune ancora top secret, il presidente ha affermato che non intende bloccarne il rilascio a meno che non veda prove «stringenti e chiare» che certi documenti possano compromettere la sicurezza nazionale. Trump si appella alla scadenza stabilita con la legge varata nel 1992 dal Congresso allo scopo di frenare il proliferare delle teorie del complotto rispetto all’assassinio Kennedy. Tale legge (JFK Assassination Record Collection Act) aveva infatti paventato questa possibilità in seguito alle tesi sviluppate nel film di Oliver Stone JFK che era uscito l’anno prima. Secondo questo provvedimento legislativo, tutti i files governativi che riguardavano l’assassinio Kennedy dovevano essere resi pubblici 25 anni dopo l’approvazione della legge stessa. Una scadenza appunto che è stata raggiunta giovedì 26 ottobre. I risultati che stanno emergendo da questi nuovi documenti non rivelano niente di nuovo rispetto a vecchie teorie del complotto che vedono Lee Harvey Oswald, l’assassino di JFK, ora spia del KGB, ora agente della Cia, ora sicario prezzolato dalla mafia. Con una preferenza per un Oswald comunista e agente dell’allora Unione Sovietica.

C’è una teoria, tuttavia, che prende corpo sempre di più e che appare allarmante e che potrebbe giustificare, in quest’epoca di trame oscure che frenano il funzionamento dei meccanismi democratici, le resistenze di CIA e FBI: entrambe all’epoca conoscevano perfettamente tutti i movimenti di Lee Harvey Oswald e le sue intenzioni di uccidere il presidente di cui il giovane non aveva fatto mistero.

La prova è un documento desecretato negli anni ’90 che riguarda infatti un memo del giugno 1964 preparato dall’allora segretario della FBI Edgar Hoover e diretto alla Commissione Warren (istituita dal presidente Lyndon Johnson per indagare sull’assassinio Kennedy). In questo documento si fa riferimento al fatto che Oswald (nella foto) aveva apertamente parlato delle sue intenzioni di uccidere il presidente Kennedy nel suo ultimo viaggio a Città del Messico poco tempo prima di mettere in atto i suoi propositi. Ma questa informazione non raggiunse mai la commissione Warren. In un articolo apparso sul Guardian dello scorso 26 ottobre l’ex corrispondente estero del New York Times e autore del volume A Cruel and Shocking Act: The Secret History of the Kennedy Assassination uscito nel 2013, Philip Shannon rivela di essere venuto a conoscenza di tale fatto dagli avvocati dello staff della Commissione che dichiararono di non avere mai visto questo memo durante l’investigazione di quei giorni. Tale affermazione avrebbe, infatti, condotto ad indagare a Città del Messico per sapere chi era a conoscenza di tali propositi. «L’FBI – scrive Shannon – cominciò l’operazione di cover up lo stesso week end della morte del presidente. Il primo atto avvenne proprio il 24 novembre, lo stesso giorno in cui Jack Ruby assassinò Lee Harvey Oswald nel quartier generale della polizia di Dallas. Allora a un agente del FBI – continua Shannon – fu ordinato di distruggere una pericolosa nota scritta a mano che Oswald aveva consegnato personalmente a quello stesso ufficio all’inizio del mese e nella quale si protestava contro una sorveglianza troppo aggressiva nei confronti della sua famiglia. Che cosa ha scritto di preciso Oswald in quella nota? Non si saprà mai, perché l’agente la distrusse facendola a pezzi e gettandola nella toilette. Anni dopo l’agente ammise in una investigazione del Congresso che con i suoi supervisori furono presi dal panico al pensiero che la nota potesse essere vista come una prova che l’FBI perse l’opportunità di salvare il presidente».

Come si vede, dunque, più che speculazioni su nuove teorie di complotti internazionali o di azioni della mafia si deve rimanere nell’ambito interno di un’amministrazione che fin da tempi lontani ha le mani sporche di sangue. E forse è proprio questo che Trump sta cercando di dimostrare non solo per dare la prova de malfunzionamento della CIA e del FBI, di cui da tempo non fa mistero, ma soprattutto per distrarre l’attenzione dai suoi guai presenti cerando di salvare quel poco di non compromesso della sua amministrazione che ancora gli è rimasto. L’ironia della sorte vuole che dopo più di cinquanta anni sia ancora la Russia – negli anni di Kennedy, l’Unione Sovietica – la protagonista principale di tutte le teorie del complotto. Eccetto che in questo caso sembra essere un’alleata pericolosa che prima o poi reclamerà la sua libbra di carne.

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