Mario Di Calo
Visto al Globe di Roma

Un Macbeth in nero

Fuoco, cuoio, lattex, bandiere, grand guignol, Daniele Salvo porta in scena Macbeth e punta tutto sul carosello delle tre streghe: di ogni strage l’uomo ne dimentica la crudeltà, è ancora pronto ad affrontarne un'altra e poi un'altra ancora

Ultimo spettacolo in programma al Globe Theatre – prodotto dalla Politeama di Gigi Proietti – è il Macbeth con la regia di Daniele Salvo, che punta sulla tragedia shakespeariana nota per la sua tipica ispirazione o vocazione funesta e malefica. Vi si narra delle gesta insane o sane – this is the question – di una coppia infernale alla ricerca dell’autorità e dell’affermazione personale: Macbeth e la sua Lady. E Salvo mette l’accento sul tono esoterico del dramma poiché tutto ha inizio da una notte di presagi, di fatture, di sortilegi ordite da tre strane sorelle o sorelle fatali ai danni del povero Macbeth fino ad allora mite e docile Generale del Governatore di Scozia: Duncan. Le Tre Streghe sono il vero motore dunque dei non molti versi che compongono il dramma del poeta di Stratford (è il suo dramma più breve): una iattura che attraverserà decine di morti per arrivare alla purificazione/pacificazione con la rimessa in vigore sul trono del legittimo erede al trono, il figlio di Duncan, Malcom

Una notte nella notte, una notte che non è solo metaforica ma che rappresenta tutte le paure ancestrali legate ad essa, una notte buia e tempestosa ove affrontare i fantasmi di un presente non troppo roseo, una notte di coltri luminose e vapori sulfurei provocati dalla pioggia e dalla sua esalazione attraverso i quali è difficile distinguere la realtà. Lo spazio del Globe è rivestito di nero dissimulando, schermando la classica struttura elisabettiana, gli ingressi degli attori sono spesso dalla platea che è facilmente raggiungibile da una decina di scale moltiplicate all’infinito, i costumi sono tutti su tonalità solforose, fra variazioni del nero pece all’azzurro cinerino, al massimo armature o pochi orpelli di scena per incentrare il tutto sul significato stridente e poco rassicurante della storia. Le Tre Streghe spesso mutuate fisicamente o vocalmente dalle Baccanti viste nel Dionysus di Salvo, sono degli esseri mostruosi altissimi con enormi corna ritorte e con fasce elastiche sulle già aderenti tute in lattex, che contengono a forza gravidanze non volute e mal sbocciate. Tutto sembra essere già accaduto, ogni cosa ha già avuto luogo, un becchino dalle strane sembianze raccoglie brandelli di arti o membra sopravvissute alla strage immemore. Di ogni strage l’uomo ne dimentica la crudeltà, è ancora pronto ad affrontarne un’altra e poi un’altra ancora. E difatti di lì a poco ri-vivremo di nuovo una storia (inutile) di un ennesimo eccidio perpetrato per la sete di potere e di grandezza.

Il diabolico abbinamento dei coniugi sanguinari è composta da una Lady, una Blond girl, una sposa bambina che nel corso del dramma conquista la sua maturità di donna (e al congiungimento di ciò, la donna che è diventata non può che perdere il senno e ammazzarsi in/consapevole del male perpetrato, e Melania Giglio regala al personaggio una tenerezza ed una protervia sempre in bilico, con una forza tale da raggiungere toni che sembrano provenire da regioni inconsce e ereditarie), mentre il Macbeth di Giacinto Palmarini ha l’innocenza del calcolo improvviso, giunto a tempo a tempo per cambiar rotta alla propria misera esistenza (l’attore regala al personaggio un candore che terrorizza più di qualsiasi esibita cattiveria, a Macbeth archetipo del male si aggiunge la probabilità che la storia venga scritta di avvenimento in avvenimento e non mero calcolo e preveggenza).

Lo spettacolo ha una prima parte folgorante, vigorosa e suadente – molto affascinante la scena del banchetto con Re Duncan in casa Macbeth prima dell’assassinio, una Ultima Cena in Black laica, figurativamente molto efficace – ma nel finale perde quella vivacità creativa e tende a ripiegarsi su un percorso giù praticato, ma non manca il carattere inconfondibile di Daniele Salvo ed alcuni elementi essenziali della sua poetica registica come il fuoco, il cuoio, le bandiere, il grand guignol, la stilizzazione scenica, e le musiche extrasensoriali, a volte epiche a volte picaresche di Marco Podda.

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