Ilaria Palomba
Catalogo del Novecento

L’identità di Soldati

“Il vero Silvestri" di Mario Soldati è un romanzo che racconta quanto spesso non coincidano l'immagine di sé e quella che gli altri hanno di noi. Come nel miglior Pirandello...

Mario Soldati, scrittore, regista e sceneggiatore, è maestro nella drammaturgia che si colloca, dal punto di vista stilistico, a metà strada tra arcaismo e modernismo. Il vero Silvestri è un romanzo fondamentale sul tema dell’identità, al pari di Uno, nessuno e centomila di Pirandello. La prima e la seconda parte del romanzo affrontano ciascuna un lato di Silvestri, personaggio che non compare mai, viene vissuto dal narratore e dell’albergatrice Aurora come una persona radicalmente diversa, se non proprio come due persone l’una l’opposto dell’altra, e ciò fa vacillare nel narratore la certezza della possibilità di poter realmente conoscere qualcuno. È importante leggerlo per imparare a smontare e rimontare i personaggi, a raccogliere punti di vista differenti che conferiscono loro tridimensionalità.

Comparve in quattro puntate sull’Illustrazione italiana e, in seguito, nel 1957, in forma organica come romanzo. Il protagonista, Silvestri, è una figura assente, non esiste se non nelle descrizioni che ne fanno gli altri due personaggi: la voce narrante, ovvero l’avvocato Peyrani e Aurora, una conoscente di Peyrani, in quanto donna amata e idealizzata dal suo amico Silvestri.

Lasciata Torino, Peyrani si reca in Francia per lavoro, qui incontra Aurora, che gestisce un’attività commerciale. L’aveva conosciuta a Roma anni prima come moglie dell’imprenditore Almagià. Così cominciano a ricordare l’amico comune: Gustavo Silvestri, morto di recente. Peyrani lo ricorda con affetto, come una persona mite, comprensiva, malinconica e ironica. Nella visione di Peyrani Silvestri viene presentato come un uomo ingenuo, sfortunato in amore, profondamente buono. Aveva conosciuto Ulderico Almagià, all’epoca funzionario del governo alleato, durante il periodo di liberazione. Dopodiché Almagià si è trasferito a Roma e Silvestri si reca spesso a fargli visita, qui conosce Aurora, che non era la sua vera moglie ma la sua amante. Silvestri se ne innamora, pur sapendo, o forse proprio per questo, che sarà impossibile conquistarla. Si dichiara, lei rifiuta. Almagià comunque si fida di lui, si fida solo di lui, e lascia che i due s’incontrino. A un tratto, dopo un lungo tempo di pazienti attese, Silvestri si presenta alla porta di Peyrani sconvolto e a pezzi. Gli dice con voce straziante che non vedrà mai più Aurora e aggiunge: «ho saltato il fosso». Due settimane dopo morirà.

Alla fine del terzo capitolo si chiude, dunque, il resoconto di Peyrani. Si apre invece un lungo dialogo con Aurora, dove quest’ultima offre di Silvestri un ritratto agghiacciante. Man mano rivela le proprie difficoltà economiche, in particolare dopo aver lasciato Almagià, le umili origini, i lavori svolti, come mannequin e ballerina, la relazione con un altro uomo, tal Pollastrini. Dal momento che l’unico uomo ben accetto per Almagià nella vita di Aurora è Silvestri, lei e Pollastrini hanno deciso di ingannare Almagià spacciando (al telefono o con i domestici) Pollastrini per Silvestri. Accade però che un giorno Pollastrini e Aurora in viaggio sotto mentite spoglie, incontrino il vero Silvestri in treno. C’è un momento molto divertente in cui il Silvestri falso si presenta al Silvestri vero.

Da allora in poi Aurora vive nel terrore che il vero Silvestri sospetti o sappia o addirittura confessi ad Almagià della sua relazione segreta. Di qui la narrazione assume tratti angosciosi, soprattutto nella ricostruzione di Aurora che si sente sempre più in trappola, raggirata e ricattata da Silvestri, tramite sottigliezze, falsi equivoci e volute coincidenze, fino al punto di decidere di concedersi a lui, cedendo a una sorta di ricatto psicologico. Prima di morire Silvestri aveva donato ad Aurora venti milioni, tramite un’assicurazione, e lei, per incassare il denaro, dovrà consultare avvocati e in pratica esporsi e scoprirsi del tutto di fronte ad Almagià. Peyrani interpreta il gesto dell’amico come grande generosità, Aurora come l’ennesima trappola. Difatti Almagià la abbandona e la lascia in uno stato di precarietà economica per cui, nel presente, si vede costretta a chiedere in prestito del denaro a Peyrani, con fare seduttivo. Quest’ultimo respinge le sue avance più per una sorta di fedeltà nell’amicizia con Silvestri anche dopo la morte che per reale disinteresse per Aurora. Prosegue il viaggio verso Montecarlo, e da qui le spedisce la somma da lei richiesta. Il personaggio di Peyrani si risolve nell’eroico tentativo di mantenere illesa la memoria del caro amico Silvestri.

Ciascuno dei personaggi citati ha un’identità molto definita, in primo luogo lo riconosciamo nella tenuta semantica, in particolare nei dialoghi. Borghese e riflessivo il linguaggio di Peyrani, Azzardato e altisonante quello di Aurora, così sopra le righe da lasciar scorgere la provenienza umile e il tentativo di ottundere le proprie origini con un utilizzo bizzarro di inglesismi e simili. Il nuovo compagno di Aurora si esprime invece in romanesco. Silvestri parla in modo ironicamente malinconico, ma anche gravido di doppi sensi, il che favorisce l’equivoco e la distorsione dell’immagine stessa di questa presenza assente. Di fatto, fino alla fine, non sappiamo mai chi sia realmente Silvestri, se l’amico fedele, eternamente buono e sconfitto o il subdolo ricattatore, astuto e in malafede, probabilmente li è entrambi.

Tornata a Roma, Silvestri non aveva tardato a farsi vivo. Le aveva scritto una lettera, che lei subito distrusse, perché, secondo lei, piena di allusioni ambigue e cattive.
«Per esempio?» domandai incredulo.
«Cosa vuole, non posso ricordarmi ora, a più di cinque anni di distanza, le espressioni esatte. Ma la sostanza era questa: parlava dal principio alla fine soltanto del nostro incontro in treno, e del nostro addio sulla banchina della stazione di Genova. Ci ricamava sopra per parecchie pagine. Ripeteva che mi aveva adorato da anni, dall’inizio. Diceva che tutto questo tempo aveva continuato a soffrire in silenzio per il rimorso di avermi mancato di rispetto, quando aveva osato parlarmene. Ma che adesso, finalmente, dopo un incontro così fortunato, e dopo quello che gli avevo detto, soprattutto dopo le ultime mie parole dalla banchina, capiva che gli avevo perdonato; e per la prima volta il suo cuore eccetera si apriva alla speranza eccetera. Mi annunciava, bontà sua, il suo prossimo arrivo a Roma. Prossimo, perché sapeva che Ulderico sarebbe rimasto in Brasile un mese. Concludeva che aveva paura di sbagliare. Che toccava a me, appena lo avessi rivisto a Roma, fargli capire se poteva continuare a sperare. Ma che comunque, mi ringraziava commosso di quelle mie parole e sguardi, chiusi come un tesoro nel suo cuore… Ecco, qui mi ricordo anche la frase perché era proprio in fondo, e prima della firma: una frase chiara, precisa, da mettermi addosso la paura, e da farmi capire, se non avevo ancora capito. Mi è rimasta stampata nella memoria, come se l’avessi sempre davanti agli occhi. Diceva: un tesoro chiuso nel mio cuore eccetera, eccetera, e questo tesoro per me si chiama il nostro segreto di Genova. Ha capito?».
(Mario Soldati, Il vero Silvestri, Mondadori, 2011, p.70-71).

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