Angela Di Maso
Ritratto d'artista

Vendere ombre

Elena Arvigo: «Che cosa sono? Attrice è poco, artista è troppo. Preferisco la definizione che diede Eugenio Barba, "Siamo venditori di ombre”. E comunque un sogno può essere raggiunto per contrasti. Lo trovo più divertente»

Nome e cognome: Elena Arvigo.

Professione: Attrice. (Mi sento spesso un salmone però!)! Vorrei anche dire che la parola “attrice” mi sembra sempre sbagliata e “artista” mi sembra sempre “troppo”. Nella prefazione di un bellissimo libro, “La struttura dei corpi sottili” di Kassim Bayatly, Eugenio Barba dice “vendiamo ombre“. Ecco, questa mi sembra la definizione più bella che ho mai sentito di questo bellissimo mio mestiere. Che è un mestiere, non una professione. E io non sono una professionista – son ritardataria e non ho mia la memoria!!!

Età: Darò i numeri! Il numero di ore che Giulietta dorme prima di risvegliarsi. Il numero della regola con cui il Re di Cuori cerca di mandare via Alice dal tribunale.

Da bambina sognavi di fare l’attrice? No, mi piaceva ballare però – ho studiato danza tanti anni e sognavo di far la ballerina, quella con le punte e il tutù. E forse era davvero il mio talento…saltavo altissimo, ballavo sempre e cantavo sopra la lucidatrice usando il manico come microfono. Ma ero troppo piccola per prendere decisioni per me e nella mia famiglia lo studio era prioritario e la danza quando diventò ingombrante fu eliminata e sostituita da altri sport che poi a loro volta venivano sostituiti quando entravo in agonismo e gli allenamenti si facevano troppo frequenti. Chiara Giordano, la mia compagna di banco del Liceo, dice che io dicevo di voler far l’attrice ma io, sinceramente, non me lo ricordo per niente.

Elena Arvigo.5Cosa significa per te recitare? Recitare è tante cose. Una fuga e un atto di libertà, recitare è danzare e offrire la propria paura e trasformarla in oro. La vita è compressa dentro una maglia di regole, doveri e ruoli. Il debito con la realtà è alto. Ognuno tira onestamente l’acqua al suo mulino e non affogare dentro le ruote dei mulini degli altri è davvero difficile. Recitare (e per me “recitare” è in teatro, davanti e per un pubblico “vivo“), è un momento in cui nessuno può più dire nulla: ” Rien ne va plus, les jeux sont faits.”. La vita la si lascia alla spalle e lì comincia una nuova vita, con un‘ altra sostanza. Quella dei sogni, qualcuno ha detto. E’ un tempo sospeso in cui tutto quello che è “di troppo“ nella vita, il troppo sentire e vedere e capire, tutto diventa prezioso. Non esiste “troppo” e niente è ingombrante. Davvero si può volare certe sere. E la paura di vivere, che tanto intralcia nella vita, diventa oro se offerta. Credo poi che, certe sere, quelle davvero belle, recitare assomigli molto ad una preghiera. Non per chiedere ma per ringraziare. Ringraziare di quel che sta accadendo e che forse riaccadrà. Come fosse un Eclissi. Ecco, forse questa è l’immagine che più rende per me l’idea di quel momento di allineamento raro e prezioso tra il sogno e la realtà: l’Eclissi. Recitare è poi certe volte anche un riscatto – è il rescue remedy di certe giornate tutte sbagliate – in cui è così difficile trovare la misura. Nella rappresentazione della vita tutto è permesso e nessuno può più sgridare per le inadeguatezze “terrene”. Sul palco so cosa fare. Nella vita son un po’ perduta nella burocrazia del quotidiano che detesto e che mi azzanna le caviglie.

Il tuo film preferito? Gli Spostati di John Houston, La Notte di Antonioni, Film Blue di Kieślowski, Irma la dolce di Billie Wilder. Non saprei e soprattutto non voglio sceglierne uno solo. Invece le sequenze più belle sono quella iniziale del Tè nel deserto di Bertolucci (quando parla della differenza tra viaggiatore e turista, il riassunto di quel meraviglioso film) e la sequenza finale de Le notti di Cabiria di Fellini: lo sguardo in camera di Giulietta Masina per ringraziare, forse Federico, forse il pubblico, per essere arrivati fin là insieme a lei.

Il tuo spettacolo teatrale preferito? (Fatto da te o da altri) Il Giardino di ciliegi di Strehler è uno spettacolo che non ho visto dal vivo purtroppo, ma il video lo conosco a memoria. E lo trovo meraviglioso. Il miracolo di Giulia Lazzarini e Valentina Cortese. Dal vivo ho dei ricordi di alcune serate molto speciali. La prima volta che ho visto l’Arlecchino al Piccolo. Era la versione originale ed era davvero una magia. Ricordo il vento che spostava gli oggetti e le candele. E poi il Macbeth di Nekrosius, che sono rimasta inchiodata alla sedia. Ho capito il significato di “essere inchiodati“. Da spettatrice però – se devo essere sincera – mi emoziona di più il balletto o l’opera – che mi sembrano sempre dei piccoli miracoli. La musica e soprattutto il ballo arrivano davvero in profondità, in quello spazio di meraviglia che da pubblico mi piace tanto visitare.

Qual è l’attrice da cui hai imparato di più? Sono innamorata di Giulia Lazzarini. Le attrici però da cui ho appreso di più – che mi hanno aiutato di più ad avere fiducia in me e a capire la mia direzione – sono due insegnanti: si chiamano Geraldine Baron e Elizabeth Kemp. Geraldine non c’è più. Faceva dei seminari meravigliosi ad Asolo in un convento e si lavorava davvero “fuori dal mondo “in maniera meravigliosa. Elizabeth Kemp è la direttrice dell’Actor’s Studio a N.Y. e fa invece un lavoro sui sogni e sui simboli bellissimo. Poi mi piace sempre “guardare“ Debra Winger che è la mia attrice preferita. E poi Jessica Lange. E Meryl Streep e Viviene Leigh e Kate Winslet e Juliette Binoche e Monica Vitti e l’immensa Ingrid Bergman.

Elena Arvigo.2Qual è il regista da cui hai imparato di più? Molti e non necessariamente lavorandoci. Anche leggere le lettere di Cechov è interessante e utile, così come i film di Ingmar Bergman. Sicuramente però devo molto a Valerio Binasco, che è stato un incontro “reale” importante in un momento cruciale. L’ho incontrato in un momento in cui rischiavo di diventare una attrice di professione. Per fortuna l’ho incontrato e così ho sventato quel pericolo! Tante delle cose di cui parlava io non le capivo ma sono stati semi importanti. Una volta durante le prove di Noccioline (io ero” Silly“ la sorella di Charlie Brown) era arrabbiato con me che recitavo:…«smettila di recitare!» e mi ha lanciato una bottiglia piena d’acqua. (L’ho scansata !!!).

Il libro sul comodino: Non ho libri sul comodino. Li ho dappertutto ma non sul comodino. E la sera è un momento della giornata in cui raramente leggo. I libri li compro, tanti, tantissimi. Li affitto, li prendo con me , li regalo, li perdo, li ricompro, li strappo, li coloro, li taglio, li strapazzo. E a volte li leggo pure! I libri sono amici carissimi che mi tengono compagnia e mi confortano. Ne ho sempre tanti intorno, in macchina, nelle valigie, nelle tante borse che sempre mi porto dietro. Non ho imparato a viaggiare leggera. Anzi porto sempre più cose e spesso sono proprio libri. Al momento i libri che mi ruotano intorno sono: L’autoritratto di Truffaut, che sono una raccolta di lettere e ogni tanto me ne leggo una; Travestimenti di Jean Cocteau che è bellissimo dunque ne leggo una pagina a caso per volta per non finirlo; Both sides di Joni Mitchell e un libricino di poesie bellissime di Vladimir Holan e il mito di Sisifo di Camus e poi altri vari che ho con me nelle borse.

La canzone che ti rappresenta: Forse Everything di Alanis Morrissette. Forse Ride di Lana Del Rey…il monologo iniziale è bellissimo. Forse Sempre e per Sempre di De Gregori. Ma se mi avessi chiesto una musica sarei stata più contenta e avrei detto il Walzer dei fiori tratto da “Lo schiaccianoci” di Tchaikovsky che è bellissimo da ballare o magari quello di Shostakovich.

Descrivi il tuo giorno perfetto. Il giorno perfetto arriva all’improvviso e assomiglia ad una giornata normale in cui però ti rendi conto della bellezza di ogni cosa. Se poi hai a portata di mano le persone che ami allora è davvero speciale. Se c’è anche il sole e perdi di vista il tempo e c’è un po’ di venticello e qualche gabbiano che fa “cra cra” allora è proprio un paradiso.

Il primo bacio: rivelazione o delusione? Non me lo ricordo benissimo.se devo essere sincera. Il bacio in sé non lo ricordo. Ricordo l’effetto. Sono quasi svenuta e lui pure. Ricordo bene la persona però e che di baci ce ne furono tanti altri.

Strategia di conquista: qual è la tua? Non credo di essere una gran stratega. Non che voglia negare di non sapere quello che magari dovrei fare per “conquistare”, ma di solito faccio esattamente il contrario. Non ho ancora ben capito perché. Credo di avere un indole dispettosa e a volte inutilmente fiera. Quando ero piccola a scuola c’era un mio compagno che mi piaceva, ci picchiavamo sempre Ce lo siamo detto e chiesto anni dopo, incontrandoci per caso nella sala d’aspetto di un dentista a Genova: “Ma perché? Mah!” Forse c’era in me già il presagio che l’amore è un gran guaio. Comunque credo di essere troppo impulsiva e fatalista e anche un po’ pigra per poter davvero avere davvero una strategia e poi addirittura, anche metterla in atto. C’è poi in me la convinzione che i sentimenti veri siano resistenti al tempo e alle strategie. Dunque essere se stessi a gamba tesa, senza timore di esser ridicoli o di apparir qualcosa di sbagliato. E i baci verranno da soli.

Categorie umane che non ti piacciono? Non mi piacciono le persone superficiali, i codardi e gli ipocriti. Però pensandoci un attimo anche chi divide in categorie le persone non mi piace. Non è forse una cosa molto superficiale? Le persone sono creature complesse e la vita non è un’impresa da poco. Detto questo esistono delle persone fuori da questo discorso. Le persone che abusano del loro potere, gli impostori, quelli che non hanno rispetto della vita. Chi è violento con i bambini, le donne, gli animali. Ci sono persone che davvero sono “senza Dio”. Queste non solo non mi piacciono ma ne ho proprio paura. Mi fanno anche paura le persone che non hanno fiducia in loro stesse. Le cose peggiori io le ho fatte quando ho avuta paura. E credo valga per tutti.

Classifica per sedurre: bellezza, ricchezza, cervello, humour. Tante sono le belle qualità/talenti che un uomo può avere per far fermare il respiro (la ricchezza la escluderei da queste!). Ma tutte sono opache se manca il cuore. E se c’è il cuore tanto ci si può perdonare.

Il sesso nobilita l’amore o viceversa? Non esiste un testo sacro di per se’. E’ il lettore che lo rende tale, dice Jodorowski. Ed io son d’accordo!

Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Nelle affinità elettive credo sia contemplato anche l’elogio degli opposti. Credo. Ogni persona è così diversa dalla altre. E il motivo per cui ci si piace è bello che sia anche un po’ misterioso.

Costretta a scegliere: cinema o teatro? E’ una domanda che mi manda in confusione. Io Ho sempre scelto il Teatro. E’ stato ed è un amore felice, corrisposto. A volte le condizioni sono difficili ma è amore. Io ho scelto il teatro e il teatro ha scelto me. Con il cinema invece e’ un rapporto difficile …mi ha sempre o quasi respinto o forse poco mi sono “fatta scegliere” dal cinema. Non saprei…Il teatro per me è stato sempre il luogo della fuga e il rifugio. I teatri a me piacciono sempre, anche di giorno quando non c’è nessuno. Come le chiese. Il teatro è vivo. Il Cinema è postumo. Il teatro non mi fa sentire solo “attrice”. E’ un contenitore di tante possibilità e vite e sogni da sognare. E’ davvero una terra di mezzo bellissima. E i ruoli sono belli. Ci sono i miti e gli archetipi. Il cinema forse non l’ho ancora mai davvero incontrato. Ho tanti piccoli dolori legati al cinema. Poche gioie.   Qualche film bello l’ho fatto… ma ci vuole anche il ruolo che permetta di perdersi un po’. Almeno Mai incontrato davvero un ruolo che mi abbia fatto girare la testa. Poi c’è da dire che tutte le fasi che portano ad essere scelti sono faticose e davvero lontane dal mio modo di fare questo mestiere. Lo spettro dei “provini“ con i casting. Incontri spesso surreali dopo i quali ti fai un paio di prosecchi per dimenticarli. Quel vuoto. Questa recitazione che è spesso chiacchierare. Essere scelta e poi le produzioni che impongono qualcuno di più conosciuto al grande pubblico. Inoltre ormai per qualche perversione che non so spiegare l’80 per cento del cinema è in romano o comunque in dialetto. Perché? …. Se non è scritto in romano è pensato in romano…con quel modo “alla mano. Mi sento più naturale a dire “la Navicella spaziale è atterrata su Marte“… che dire “ma che stai a fare?“ e queste conversazioni informative che non si sa perché le scrivano. Anche sul set non mi son quasi mai divertita. Sulle fiction è impossibile. Tutte questa ricerca di “naturalezza“ porta nei fatti la situazione in quei momenti ad essere quanto di più artificiale possa esistere. Non c’è nessun illusione che stia accadendo qualcosa. Non succede davvero nulla. Le uniche esperienze belle riguardano film molto indipendenti o cortometraggi. Il ricordo più bello è la sequenza finale di un film molto indipendente che non credo uscirà mai dei Fratelli D’Innocenzo: ”Il ratto”. Ecco in questo caso il cinema è diventato un luogo possibile da scegliere. Non solo un luogo vuoto e di rifiuto. Anche altri film indipendenti sono stati belli, o cortometraggi … ma poi la frustrazione che non trovano distribuzione …. “Nel futuro chissà magari avverrà un incontro giusto con il cinema e prenderà forma questo appuntamento che tanto si e rimandato con qualcosa di davvero bello. Forse farò il mio film facendone anche la regia. Chissà. Un sogno c’è.

Elena Arvigo.4C‘è qualcosa che rimpiangi di non avere detto a qualcuno? No.

Shakespeare, Eduardo o Beckett? Shakespeare.

Qual è il tuo ricordo più caro? Sono segreti che mi porto nel taschino. Sono persone e momenti e piccoli gesti che mi tengono compagnia.

E il ricordo più terribile? Dei momenti più dolorosi non ho ricordo. Se non la sensazione del corto circuito. La difficoltà a ricordarli. E me li tengo per me.

L’ultima volta che sei andata a teatro cos’hai visto? Ho visto tre volte di seguito Emila di Tolcachir. E‘ l’effetto che mi fa sempre Giulia Lazzarini.

Racconta il tuo ultimo spettacolo: L’ultimo nel senso del più nuovo e mio è “Una ragazza lasciata a metà”. Non sono capace di raccontare gli spettacoli. E’ una bella storia. Mi ha aiutato a metterla in scena Giuliano Scarpinato. Siamo andati per ora solo in scena a Trend. Spero di riuscire a portarlo avanti. Il romanzo edito da Safarà, una casa editrice che pubblica libri bellissimi, è stato un caso letterario ed è davvero un linguaggio e una storia straordinaria.

Perché il pubblico dovrebbe venire a vederlo? Per passare una serata insieme.

Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice? Sì, lo è. E’ inutilmente corrotto perché tra l’altro, i denari che girano son davvero pochi. E’ la tristissima guerra dei poveri. Non entro nei dettagli che poi non resisterei e farei nomi e parlerei di situazioni molto reali e concrete che di peli sulla lingua ne ho davvero pochi.

Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora). Che mi piace comprare detersivi potenti.

Piatto preferito. Le penne all’arrabbiata.

C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? La parità di trattamento non c’è da nessuna parte, e non c’è mai stata in nessun luogo. Nessuno, o quasi, sa chi era Mary Cassatt. Era una pittrice che ha inventato l’impressionismo. Il padre dell’impressionismo però per tutti è Manet. La storia è sempre scritta al maschile mai la femminile. Nel teatro è uguale. Si potrebbe entrare nei dettagli ma nella sostanza è questo.

Mai capitato di dover rifiutare un contratto? Se sì, perché. Sì, per motivi vari: sovrapposizioni o incompatibilità varie. Sicuramente da qualche anno ho smesso di andare a provini di pubblicità perché anche quando mi sceglievano poi non mi andava di dare la mia voce e la mia “faccia“ in prestito per vendere prodotti che sono sempre un illusione ottica. Mi sembra di tradire i motivi per cui faccio questo mestiere. E’ un atto di libertà. Dunque perché dovrei dare in prestito la mia faccia per vendere un dentifricio, un fondotinta o ancora peggio un pollo? Cioè per aiutare l’industria della schiavitù? No grazie.

Di lasciarti sfuggire un’occasione di lavoro e di pentirtene subito dopo? Certo tante volte ne ho perse tante per non esser riuscita ad arrivare ad organizzarmi. Sono sempre in ritardo e tanti incontri li ho persi anche soltanto e semplicemente non andando, non rispondendo ad email o messaggi. Il pentimento sì, anche se poi mi scatta un grande “AMEN “. Se davvero mi volevi mi aspettavi. Ma capisco che ognuno abbia i suoi tempi. Dunque non mi arrabbio. E spero nella fisica quantistica che farà ritrovare ogni cosa.

Elena Arvigo.3Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare nel cinema? Frances (Jessica Lange). E Nikita.

Quale ruolo ti piacerebbe interpretare in teatro? Liubov de Il giardino dei ciliegi e Cleopatra.

Da chi vorresti essere diretta? Da chiunque lo sappia e lo voglia fare con maestria, grazia e allegria.

Tre doti e tre difetti che bisogna avere e non avere per poter fare questo mestiere. Perseveranza, talento e pazienza. I difetti non saprei…ma poi anche qui non so bene come interpretare la domanda… son sempre dei mix personali e unici.

Cosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse? Einstein diceva che se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita. Ecco più o meno questo.

Gli alieni ti rapiscono e tu puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? Di uccidermi. Non voglio andare con loro. La vita è già abbastanza insopportabile accanto alle persone che amo. Se devo ricominciare preferisco chiudere la partita qua. E decidere io.

La frase più romantica che ti sia capitato di dire in scena: “Raccontami ancora. Raccontami ancora una storia, ti prego“.

La frase più triste che ti sia toccato di dire in scena: Mi dispiace non posso“…

Cosa vorresti che il pubblico ricordasse di te? Non lo so. Mi piacerebbe lasciare qualcosa. Ma neanche io lo riesco a definire Voglia di libertà ma in senso ampio…non “qualcosa di me“.

Hai mai litigato con un regista per una questione di interpretazione del personaggio? Direi di No.

Se potessi svegliarti domani con una nuova dote quale sceglieresti? La leggerezza e la puntualità.

Che cosa è troppo serio per scherzarci su? Si può scherzare quasi su tutto. Dipende da chi lo fa, dalle intenzioni. Ci sono persone che sono fastidiose e volgari anche quando fanno la lista della spesa. Ci vuole testa e cuore. Poi ci sono argomenti fuori dalla lista delle cose possibili. Sulla violenza e gli abusi non si scherza. Sul dolore degli altri non si scherza. A meno che non siano presenti anche loro – i diretti interessati – e riescano a riderne, Si scherza sulle cose serie per portare un sorriso non per ferire. Detesto il sarcasmo e chi prende in giro. Non amo le imitazioni a meno che appunto non siano poetiche.

Se potessi conoscere il tuo futuro cosa vorresti sapere?   Niente.

Come costruisci i personaggi che interpreti? Non ho un metodo, però sicuramente ci sono dei passaggi che attraverso sempre. Lascio sempre che la trasformazione accada un po’ con i tempi giusti. It takes what it takes! Il personaggio per me è un entità viva e deve essere lui a darmi il permesso di entrare nel suo mondo. Comincio un po’ a guardare il mondo con i suoi occhi. Camminare “come se”. E’ come quando vado in una nuova città. Non mi piace andare per musei o mostre o nei posti indicati dalle guide. Li evito proprio. Mi piace camminare prima di tutto e respirare un po’ quell’aria. Magari prendere un autobus a caso e vedere dove va. Lascio che sia un po’ la città a svelarmi quel che vuole che io veda. Non mi piace pensare che ho tre giorni per vedere una città. Anche se sono solo tre mi piace fare come se fossero mille – e poi magari chissà potrei tornarci se non ho esaurito la curiosità. Così con i personaggi. Comunque parto sempre da dentro. Dai pensieri. Sogni. Poi magari questo porta a delle conseguenze esteriori. Mi compro un vestito “come se”– mi taglio e coloro e capelli “come se“ – ma parto sempre da me. Da quello che io posso dare al personaggio per regalargli una nuova vita. Ancora un giro di giostra per Ofelia, Giocasta, Anna, Svetlana!!! Il mio giro di giostra insieme come se ci facessimo una cavalcata sullo stesso cavallo. Una bella cavalcata inizia piano andando al passo, ci si deve annusare, sentire … e poi un po’ al trotto e poi via … si corre. Non mi interessa partire da fuori, cioè, dal prendere decisioni a priori. I personaggi che ho attraversato mi han lasciato cose bellissime, rivelato parti di me e tanti me li porto nel taschino. Non mi interessa il lavoro sulle cose esteriori. Una delle cose su cui non so e non amo lavorare sono i dialetti. Sono pronta per fare la principessa di guerre stellari, Harry Potter, Anna Karenina, la fidanzata di Edward mani di forbici, Cleopatra, Irma la Dolce – ma il lavoro sui dialetti che sempre viene richiesto in questo paese come condizione prima e necessari a per riuscire a interpretare la trovo una cosa un po’ assurda e quasi una perversione. Irma la Dolce se fosse fatta qua in Italia, ecco, la farebbero subito parlare in napoletano oppure in romagnolo e lui in milanese. E renderebbero la storia una storia di borgata. Perché? Questa ricerca di “realismo“ non mi interessa e non mi diverte per niente. Per questo, credo, detesto tanti i provini che chiedono un immediatezza che è innaturale per un processo che per essere magnifico deve essere profondo. Per quel che chiedono spesso sono più adatti i non attori o comunque attori che hanno il talento di essere giusti per quel ruolo. Per fare un nano scelgono un nano, il principe ha gli occhi azzurri e se la storia è ambientata a Frosinone devono parlar tutti ciociaro. Per questo il teatro sarà sempre più interessante del cinema. Eppure uno dei film che più ha fatto sognare è Colazione da Tiffany con Audrey Hepburn. Lei è una prostituta nei fatti. Ma non posso pensare a qualcuno più regale di lei. E aveva vestiti di Givenchy. Il sogno può essere raggiunto per contrasti. Lo trovo più divertente. C’è da dire che questo mio “modo“ interno deriva da una mia incapacità. In qualche modo. Mia mamma è nata in Egitto ed è arrivata in Italia a 20 anni. Parla un italiano perfetto ma senza nessun inflessione e anche mio padre. Dunque per me è l’italiano – o l’inglese – la lingua che mi “connette“ con qualcosa di interno e profondo. E nel mio immaginario sono più vicina a una favola, alla Storia Infinita. A qualcosa di surreale che alla storia della famiglia della porta accanto.

Elena Arvigo.1Parallelamente al tuo percorso artistico, trovi che in questi anni ci sia stata un’evoluzione o un deterioramento del teatro? Nella risposta che mi viene più spontanea è un deterioramento. Però negli anni ho acquistato anche una consapevolezza che all’inizio non avevo. Mi sono diplomata al Piccolo e all’inizio ho solo lavorato come scritturata in grandi compagnie, dunque non avevo la percezione che ho ora. Però un peggioramento c’è stato sicuramente.

Il rapporto con la parola. La interroghi, la ricerchi, la domini o ti fai dominare? La parola è la punta dell’Iceberg. Ci sono i pensieri, le emozioni, le intenzioni e poi arriva la parola. Per ultima. E’ bello quando con le parole si riesce a danzare a giocare. Quando il suono e il senso e il sentire volano insieme senza che nessuno comandi. Certamente le parole hanno anche una loro vita che esula dal senso. Dire Incertezza tre volte è diverso che dire Sogno o Mascalzone matricolato. I suoni evocano anche qualcosa ma non deve essere solo un gioco altrimenti dopo un po’ è noioso. Non mi piace la parola dominare. Mi piace la parola danzare.

Cosa pensi delle nuove generazioni di attori che, a volte, passano direttamente dai talent al palcoscenico? Credo che dovrebbero non esistere questi Talent. Non capisco chi lo fa né chi li guarda. Come i reality. Una schifezza. Totale. Senza se e senza ma. Nascono dalla perversione dell’apparire. Della televisione. Credo che chi esce da lì abbia davvero poche speranze. Ma non di lavorare o di guadagnare. Poche speranze.

La morte: paura o liberazione? Nessuno è tornato! Forse …

Ti viene data la possibilità di presentare tre proposte di legge in materia spettacolo. Cosa proponi? Chiederei a Carlotta Viscovo di darmi una mano. Lei ora è alla testa del sindacato degli attori ed è secondo me molto brava. Però una cosa mi piacerebbe: che ogni teatro dovesse avere uno sportello per proposte progetti e ci fosse un reale scambio. Mah! Sogni…

Cosa è necessario per un’attrice: memoria storica o physique du rôle? E’ necessario che sia necessario stare in scena e raccontare. E’ necessario l’entusiasmo. Poi non si sa dove questo può portare. Partire dal divertirsi. Dal giocare.

Hai un sogno nel cassetto che oggi può aprire. Cosa viene fuori? Arrivare alla fine di questa intervista DIFFICILISSIMA e andare a dormire è un desiderio piccolo ma concreto. E poi altre che riguardano la mia vita privata. Sogni semplici ma belli. Quello che riguarda la mia vita privata faccio davvero fatica a scriverlo.

I soldi fanno la felicità? No ovviamente. Però senza ci possono essere momenti molto difficili e frustranti.

Qual è il tuo rapporto con i social network? Alti e bassi. A tratti mi sembra di abusarne, però è normale. Faccio una vita nomade e molto solitaria alla fine. Non ho una cerchia di amici in un luogo. Sono tutti sparpagliati. Inoltre mi aiutano a parlare dei miei progetti. Comunque in generale vorrei usarli di meno.

Il tuo rapporto con la critica. Quale quella che più ti ha ferita in questi anni. La critica è sempre stata molto gentile e generosa con me. Ed è stato importante per me. I mie spettacoli sono autoprodotti e non avevo davvero conoscenze nella critica. Prima che cominciassi a fare i miei spettacoli mi avevano magari recensito in alcuni spettacoli ma erano progetti “prestigiosi“ in cui il nome del regista mangiava tutti gli altri. In Noccioline di Binasco o ne Le signorine di Wilko di Hermanis si parlava della regia e poco degli interpreti. I mie spettacoli sono spettacoli di recitazione soprattutto: mi son regalata ruoli da protagonista che per come vanno le cose in questo paese nessuno mi avrebbe mai fatto fare. Gli attori bravi sono tenuti in panchina per lo più e lavorano per lo più i parenti e gli amici (stretti) nei ruoli importanti. Oppure nomi famosi, a volte davvero ridicoli. Poi adesso che c’è questa crisi leggere i nomi dei protagonisti nei cartelloni è abbastanza deprimente. Quindi il fatto di fare spettacoli in cui ero protagonista e che avessero rassegne stampe molto belle di 50, 60 pagine mi ha aiutato prima di tutto ad esistere. Devo molto a Franco Cordelli e a Rodolfo di Giammarco che non conoscevo ma che sono venuti a vedermi anche in spazi off e recensendomi a volte in maniera davvero magnifica mi hanno aiutata a incuriosire gli altri critici facendo una recensione bella a me, non fai un favore a nessuno. Dunque io la critica la devo solo ringraziare. Almeno loro vengono a teatro. I direttori di teatro sarebbero bello qualche volta lo facessero per il gusto di farlo e trovare nuovi spettacoli. Invece sono già sopraffatti da quel che “devono“ fare.  

Poco prima dell’inizio e poi della fine di un tuo spettacolo, a cosa, o a chi, pensi? E’ un segreto!

Il teatro riesce ancora a catalizzare la passione civile del pubblico in modo attivo? Credo di sì! Anzi sì! Ne sono sicura. Altrimenti non avrebbe senso farlo. E credo ne abbia.

Nella tua valigia dell’attrice cosa non manca mai (metaforicamente o materialmente)? Libri, un tramezzino, il Sargenor (che è un ricostituente). I cani e i gatti.

Con i tagli economici alla cultura, il teatro diventerà un’arte di nicchia oppure ci sarà una prevalenza di teatro di medio-basso livello o amatoriale? Entrambe le cose direi ma un po’ credo sia sempre stato così. Il teatro che sta nel presente, che provoca, è un’arte di nicchia. Come la poesia. Non è per tutti. Richiede scelta e impegno da parte del pubblico. E’ un’onda che bisogna andare al mare a vederla. E all’ora giusta. Se la metti dentro una scatola per farla veder a più persone diventa acqua ferma. Il teatro commerciale è ovunque. Il fatto grave di oggi è che anche i teatri nazionali fanno teatro commerciale. Cercano nomi. Nei titoli e negli interpreti. Ma se lo fanno loro il teatro commerciale, se le fanno pure loro le operazioni, il teatro, gli spettacoli da sostenere, chi lo sostiene? C’è una strategia ma non per sostenere. Per uccidere.

C’è un autore teatrale che credi sia poco considerato e che andrebbe rivalutato e rappresentato? In questo paese tutta la drammaturgia contemporanea andrebbe valorizzata. Qualche fortunato autore c’è ma sono episodi. Non esiste una drammaturgia vera e propria come per esempio in Gran Bretagna. Sarebbe davvero necessario che i teatri sostenessero gli scrittori e producessero drammaturgia e la rappresentassero. Ma è davvero un discorso surreale considerando la situazione del teatro in questo momento. Inoltre ci sarebbe da parlare della differenza tra drammaturgia e scrittura scenica. Il discorso è complesso. E la mancanza di lavoro l’ha reso più ingarbugliato.

Meglio essere sereni, contenti o felici? Direi contenti di essere felici. Serenamente stare. Ma sono giochi di parole. La vita è cosi inafferrabile e le parole troppo semplici.

Progetti futuri? Sto lavorando su L’imperatore della sconfitta di Jan Fabre, Nel 2011 avevo letto questo testo e mi era molto piaciuto. Avevo fatto un laboratorio con lui alla biennale proprio per chiedergli i diritti. Poi è un progetto che è rimasto nel cassetto per questi anni. Oggi l’out off in questi suoi 40 anni (celebra i suoi 40 anni) voleva mettere inscena qualcosa di Fabre e così è ritornato in corsa L’imperatore. E’ un monologo ma ho scelto di condividere la scena con un altro attore: Marco Vergani. E anche la regia con Tjaiz Bozano. Il gruppo è davvero bello. Tutti fuoriclasse. Alessandro Di Cola realizzerà le scenografie e Carolina Ielardi i video. Non so come verrà lo spettacolo ma di sicuro ci stiamo divertendo. E questo mi sembra già qualcosa. Alla fine che almeno rimanga il ricordo di un bel viaggio e aver capito qualcosa di più di sé. L’IMPERATORE parla della NECESSITA’ di fallire come condizione necessaria per poter ricominciare. Dunque aspettiamo questa nuova sconfitta!

Un consiglio ad una giovane che voglia fare l’attrice. Non saprei. E’ un mestiere così strano. Direi forse di vivere il più possibile per avere poi qualcosa da raccontare quando sale sul palco. Vivere e poi buttarsi sul palco a vedere l’effetto che fa. Non accanirsi a diventare “bravi“. Se non ci si diverte lasciar perdere e passare a cercare qualcosa che piaccia, che diverta, che la vita scorre veloce e bisogna fare cose e avere accanto persone che ci piacciono. O almeno non smettere mai di cercarle. Non so se è un buon consiglio. Io non ottengo gran risultati, però mi diverto sempre Sono molto affaticata ma sono libera.

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Foto di Marco Di Marco, Marcello Norberth, Damiano D’Innocenzo, Pino Le Pera, Azzurra Primavera.

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