Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

La nuova Trumpcare

Il presidente perde un'altra battaglia importante sulla riforma della sanità. A meno che il no alla riforma dell'Obamacare non sia da leggere come una nuova puntata della sfida fra Trump e il "suo" partito

Mi ero ripromessa di attendere la fine dei 100 giorni canonici dopo i quali si può cominciare ad avere un quadro del nuovo presidente e della sua impronta politica prima di scrivere ancora su Trump. Questa pausa, però, è stata interrotta dal primo grande tentativo (fallito) del partito repubblicano di cancellare la riforma sanitaria di Obama (Obamacare) votandone una nuova. Un obiettivo che forse merita una breve riflessione. Trump ha premesso che se il partito non avesse trovato un accordo (cosa quasi certa) tra l’anima più conservatrice e quella più moderata votando all’unanimità la legge presentata per respingere l’Affordable Care Act di Obama, l’avrebbe lasciata così come era. E così è stato.

Un giorno di vittoria per i democratici che, compatti, non hanno ovviamente votato la nuova versione della legge e hanno fatto una conferenza stampa per spiegarne i motivi. In essa, Pelosi e gli altri hanno mostrato un’unità di intenti mai vista prima: è uno degli effetti che la presidenza Trump sta producendo. La macchina del partito si è messa in moto e sono comparsi perfino stickers con scritto Hands off Obamacare

Vien fatto di dire “chi la fa l’aspetti”. Infatti il GOP sta assaporando lo stesso trattamento che per otto anni ha riservato all’amministrazione Obama. Anche se questo non si può definire un successo della democrazia parlamentare ormai abituata a una faziosità partigiana oltre ogni limite. E che nasce dagli anni della presidenza Obama quando compatti i repubblicani non hanno votato riforme proposte dal presidente anche quando essi stessi ne erano stati gli ispiratori. Va detto inoltre che la loro riforma, che avrebbe dovuto sostituire quella del predecessore di Trump, avrebbe lasciato 24 milioni di americani senza assicurazione medica.

contro obamacare

In tutte le più importanti città americane ci sono state manifestazioni contro la cancellazione dell’Affordable Care Act. Anche se a onore del vero ci sarebbero molte cose che andrebbero cambiate o per lo meno migliorate. Gli stessi democratici sono concordi sulla necessità di aggiustamenti. Ma per Trump, dopo la scomparsa dall’orizzonte di alcuni dei suoi collaboratori più fidati e con la saga delle intercettazioni russe nel quartier generale democratico ancora in corso, non è un momento felice. Il suo indice di gradimento ha raggiunto livelli molto bassi. Inoltre si trova di fronte un partito repubblicano diviso. Il paradosso rimane proprio il fatto che a far decadere la nuova riforma sono stati dentro il partito proprio quei conservatori che ne avevano fatto una bandiera durante le elezioni e di cui dovranno rispondere al proprio elettorato. Ma ciò dimostra anche una grande perdita di credibilità delle istituzioni democratiche. In primis di quella parlamentare e dei partiti che in essa siedono.

A detta del presidente stesso però la riforma sanitaria non è una sua priorità. E l’ultimatum allo speaker Paul Ryan ne è stata la prova. Viene perfino da pensare che forse la velocità con cui Trump ha liquidato il soggetto fosse studiata al tavolino. Al di là delle accuse che ha fatto ai democratici che hanno votato contro e che sarebbero dunque responsabili del fallimento del progetto secondo il presidente, viene da pensare che le manifestazioni di piazza dei giorni scorsi contro la cancellazione della riforma abbiano fatto riflettere Trump sulla possibilità che forse lasciare esistere quella che c’è non sarebbe poi la cosa peggiore. Proprio vista la reazione popolare. Perché non dimentichiamo che Trump non è uomo di apparato o di partito. Il suo obiettivo principale, vista la sua funzione destabilizzatrice a livello istituzionale, è quella di avere un consenso personale. E la riforma così com’è piace alla maggioranza degli americani che la vogliono mantenere. Da uomo d’affari e dunque di grande senso pratico il presidente si è reso conto che la maggior parte degli americani, quella stessa che ha votato per la sua concorrente alle elezioni, la vuole. E dunque va anche bene così. Anzi va meglio. Smarcato dal partito, responsabile del fallimento, adesso Trump non si rende nemico il popolo e ha voce in capitolo per rimbeccare il partito repubblicano a cui rimproverare un errore politico non di poco conto. Nei suoi confronti è adesso debitore. Non potrebbe andare meglio!

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