Giuliana Vitali
A proposito di "Botanica"

Botanica della musica

Con il loro nuovo lavoro i Deproducers mescolano musica, scienza e arte nel tentativo di rendere esplicito il magma creativo che mette in relazione emozioni e conoscenza

“Siamo ospiti di un giardino nel quale il 97,3% della biomassa è vegetale (…), la specie umana, con i suoi sette miliardi di esemplari, rappresenta soltanto lo 0,01% dell’intera biomassa”. Con queste parole inizia il nuovo capitolo musicale dal titolo Botanica ideato dai Deproducers, gruppo nato dall’incontro dei produttori e musicisti Vittorio Cosma, Max Casacci, Riccardo Sinigallia e Gianni Maroccolo, con lo scopo di raccontare la scienza attraverso la combinazione tra sperimentazioni musicali, narrazioni e immagini. Gli artisti, già qualche anno fa, portarono in giro per teatri il loro primo progetto – Planetario – in collaborazione con l’astrofisico Fabio Peri, creando composizioni fluttuanti tra le atmosfere visionarie e suggestive dello Spazio.

Ora la band, insieme al neurobiologo Stefano Mancuso e al batterista Simone Filippi, è in tour con Botanica (edizioni Ala Bianca): un viaggio nella vita nascosta delle piante. L’opera ha una struttura circolare che può essere divisa in tre parti: nella prima si indaga sulla condizione umana in relazione al mondo vegetale; la seconda è di carattere etico-sociale e la terza è una riflessione sul futuro della specie umana. La musica è cinematografica: il mix tra il racconto dei testi, i rumori primitivi, l’elettronica, il rock e il jazz, disegna il grande affresco del mondo vegetale in rapporto con l’uomo che, illusoriamente, tenta di prenderne il sopravvento. Il primo brano dell’album – Pianeta verde – è di grande impatto emotivo: la voce di Sinigallia si muove sul ritmo concitato e frenetico delle tastiere e le percussioni di Cosma fino alla sola parte strumentale che si apre d’improvviso in una poliritmia di suoni tribali (si percepiscono anche lontani i cori delle mondine di Novi) distorti dai sintetizzatori insieme alla chitarra elettrica di Casacci e il basso esperto di Maroccolo.

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Tutto si acquieta quando nel pezzo seguente i suoni diventano più sottili e cadenzati come in suggestioni di attesa e di fragilità dell’uomo di fronte all’inesorabilità della natura la cui vita, si presuppone, continuerà a pulsare anche senza di noi. Piano e chitarra acustica corrono su una linea temporale con la voce narrante che scandisce gli eventi più importanti dell’evoluzione umana dalle prime civiltà alle scoperte, dalle rivoluzioni fino alle guerre di cui la longevità del mondo vegetale – per alcune specie millenarie – è sempre stata testimone. I tamburi si fermano per lasciare spazio al brano Fotosintesi: l’avanzare dei suoni metallici come strumenti di operai in attività, sembrano tagliare fasci di luce fino ad accecarci, rendendoci spettatori ignari di un sistema perfetto e necessario. La voce di Mancuso ci introduce alla breve traccia, Radici, in cui percepiamo più chiaramente l’Estraj: uno dei particolari strumenti indiani ad arco di Beppe Brotto (collaboratore alla musica). Il suono dolce, come un lamento, suggerisce il movimento scavatore delle radici alla ricerca di solidi appigli. La quinta traccia – Natura psicoattiva – prepara alla parte più sociale dell’album, dove la musica sembra accompagnare i testi, adesso protagonisti, che affrontano – in modo scientifico ma inevitabilmente allusivo – temi come le droghe naturali; l’orizzontalità degli organi delle piante in contrapposizione al sistema verticistico degli animali, dove è il cervello ad impartire gli ordini; la necessità di differenziazione delle specie vegetali che è ricchezza e sopravvivenza. L’ultima parte è un invito alla riflessione: i suoni acquistano fisicità con delle bacchette che colpiscono superfici di legno, il suono delle chitarre si distorce e si sporca con i sintetizzatori creando un’atmosfera caotica fino alla liberatoria apertura corale in cui gli ottoni dell’Orchestra Roma Sinfonietta, sembrano muoversi con delicatezza su un morbido pavimento erboso in una marcia apparentemente senza fine.

L’idea dei Deproducers ha in sé un modo rivoluzionario di concepire la conoscenza in relazione all’arte. Il loro rifiuto di quello che è spesso un sistema élitario e comprensibile a pochi, abbatte i muri e diventa di facile accesso a tutti. Non solo agli adulti ma anche ai bambini per i quali forse servirebbe un’educazione alla bellezza del sapere – nel senso più ampio della parola – attraverso metodi di insegnamento meno didascalici e più creativi e sensoriali. E il linguaggio universale della musica è forse l’unica arte che possa suscitare meraviglia e curiosità, aprendo la mente all’intuizione, all’apprendimento di qualsiasi disciplina in modo unico e personale.

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