Angela Di Maso
Visto al San Ferdinando di Napoli

Vaudeville Ruccello

Nuovo allestimento per "Ferdinando", il capolavoro di Annibale Ruccello. La regista Nadia Baldi (con Gea Martire e Chiara Baffi protagoniste) ne ha fatto quasi un'opéra comique dove amore e morte finiscono per coincidere

Quando Annibale Ruccello scrisse Ferdinando non pensò di certo al capolavoro teatrale che sarebbe divenuto, anche se i riconoscimenti non tardarono a giungere. Due premi IDI: nel 1985 come migliore testo teatrale, il secondo nel 1986 come miglior messinscena. Sua musa e destinataria fu Isa Danieli, la quale ancora tutt’oggi porta in giro l’allestimento originale costruito dallo stesso drammaturgo stabiese, morto prematuramente e tragicamente il 12 settembre del 1986, l’anno stesso della sua consacrazione.

In ogni e dove Ferdinando riscuote successo. Non ha più importanza la critica. Quel che conta è il solo pubblico. Un pubblico che sorride, ride, resta basito, si commuove. Perché Ferdinando è tutto questo. È una scrittura barocca semplificata nei più infimi e dolorosi sentimenti umani. L’amore e la solitudine dell’amore: «la questione borbonica è un pretesto» – diceva lo stesso Ruccello. Quello che a lui premeva indagare era il nobile sentimento e le sue infinite, meravigliose e devastanti sfaccettature. L’amore che sporca l’amore quando questo viene beffato, truffato, tradito e negato.

I protagonisti: Donna Clotilde, baronessa borbonica che si è rifugiata in una villa della zona vesuviana, scegliendo l’isolamento come segno di disprezzo per la nuova cultura piccolo borghese che si va affermando dopo l’unificazione d’Italia; Donna Gesualdina, sua serva e parente, zitella; Don Catellino, parroco del paese e assetato di potere e soldi; Ferdinando, un demonio in vesti angeliche che vende il proprio statuario e giovane corpo pur di ottenere consensi e favori. Altro non sono che specchi riflessi di se stessi.

E poi c’è la lingua, non il semplice vernacolo partenopeo, ma storia della lingua napoletana, in cui ogni parola, studiata, ricercata e approfondita dal filosofo ed antropologo Ruccello, è oro filigranato.

Gea Martire in Ferdinando di Ruccello regia Nadia BaldiOra, misurarsi col capolavoro originale è sempre cosa ostica, anche perché vivissimo ne è il ricordo ed inevitabile il confronto. Eppure, la regista Nadia Baldi ne ha disegnato una nuova visione: in scena al San Ferdinando di Napoli, prodotto da Teatro Segreto, il Ferdinando di Ruccello interpretato da Gea Martire, Chiara Baffi, Fulvio Cauteruccio, Francesco Roccasecca diventa un vaudeville francese.

Il palco è rivestito da tende (scene di Luigi Ferrigno), dietro le quali giochi di luci e video (disegno luci di Nadia Baldi) proiettano in fermo, immagini dei personaggi stessi. Al centro palco, un maestoso letto; dalle americane calano fili con appesi naturalistici oggetti di scena (Alovisi attrezzeria) che non verranno mai strappati, ma accarezzati dandone il senso dell’uso. Carrelli a rotelle divengono sedie, scale e letto. Due atti. Due ore e mezza di messinscena.

Donna Clotilde è nel suo letto. «Suo» è aggettivo predominante. Tutto le appartiene, compreso il letto che non la ospita, ma è essa stessa incarnita (e incarnita al suo interno): la sua camicia da notte (costumi di Carlo Poggioli) diventa il prolungamento del lenzuolo bianco e candido che ricopre il nero e fango della sua impietosa ed impetuosa anima. Detta legge. Detta regole. Lancia scongiuri e anatemi a chiunque osi parlare in italiano. Maltratta, umilia e deride Donna Gesualdina, zitella e figlia di zoccola, sua serva e carnefice. Apparentemente mite e consenziente. Il suo unico peccato sarà di essersi innamorata di Don Catellino, perverso ed ambiguo prelato che non disdegna ragazzini a lei. L’arrivo di Ferdinando è devastante. Quegli equilibri così ben costruiti cadono al primo battito di ciglia del giovane: tutti lo desiderano. Ma è un desiderio sessuale che si trasforma in appetito bulimico. Dall’Eros al Thanatos il passo è brevissimo.

Fulvio Cauteruccio e Francesco Roccasecca in FerdinandoNadia Baldi costruisce la regia come un melodramma. Come nell’Opéra-comique (in musica, in teatro appunto in forma vaudeville), carica i personaggi. Il primo atto diviene commedia quasi leggera. Gli attori assumeranno su di sé movenze e cadenze linguistiche unite a espressioni corporee tipiche dell’opera buffa. Il secondo atto – lo svelamento – l’opera da buffa passa a seria con un recitato di tipo dritto e in cui si dà ampio respiro a quella che viene definita in tecnica “poetica degli affetti”: ogni personaggio si rivela. Ognuno ambisce ad un briciolo di amore. Nella rivelazione ognuno trova la sua morte. La morte, fisica per Don Catellino, sentimentale per le due donne, avviene esclusivamente per la mancanza di quell’amore che nel sesso ha trovato strada più semplice, ma che ambiva ad altro.

Discreto il cast attoriale. Strada ancora tutta in salita, ma grande opportunità di crescita è stata data al giovane Francesco Roccasecca, allievo della scuola di teatro dello Stabile; Fulvio Cauteruccio non sempre in corda, poiché spesso persosi troppo nella troppa caratterizzazione del personaggio, appannandone la bellezza/bruttezza del personaggio. Bravissima e preponderante Gea Martire che affabula, diverte e raggela il pubblico, dando vita ad una nuova Donna Clotilde costruita su e con lucida follia. Il ruolo di Donna Gesualdina, difficilissimo, si può tradurre in musica nella romanza Vissi d’Arte, vissi d’amore tratta dalla Tosca di Puccini: solo le cantanti che hanno raggiunto una certa maturità artistica e personale sono davvero in grado di eseguirla col pathos e la tecnica richiesta. Nonostante questo, Chiara Baffi non delude. Ha un suo fascino e la sua voce tenera unita alla bruttura delle parole che pronuncia, ben rende l’ambiguo personaggio.

Comunque, in qualsiasi modo si presenti, è la drammaturgia di Annibale Ruccello il vero capolavoro!

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