Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Obama, presidente unitario

Obama si prepara a lasciare la Casa Bianca mentre Trump (almeno a parole) si prepara a smontare tutte le sue conquiste che tendevano a unificare un paese razzista e pieno di squilibri sociali

E mentre Obama – che conclude il secondo ed ultimo mandato presidenziale con una cena piena di vip dello spettacolo alla casa Bianca – si appresta a rientrare a Chicago, sua città di origine, questa metropoli lo accoglie sferrando un colpo mortale alla visione unitaria che ha cercato di imprimere alla politica con particolare attenzione ai tormentati rapporti razziali. Infatti, a conferma della sua reputazione di città violenta, Chicago compare in questi giorni sulle cronache nazionali proprio per l’assalto razzista di quattro giovani neri contro un altrettanto giovane bianco con problemi mentali. «Noi non siamo red states or blue states ma gli Stati Uniti d’America» aveva affermato al suo esordio il neo presidente riferendosi ai colori rispettivamente del partito repubblicano e democratico. Sperando che questo spirito unitario potesse, se non eliminare, almeno placare le tensioni razziali, spina che ancora fa sanguinare il cuore di questo paese e iniziare un periodo di collaborazione tra i due partiti. Ma così non è stato.

Oggi qualcuno, dopo l’elezione che ha sancito il trionfo di Donald Trump, accusa invece la presidenza Obama di avere provocato un peggioramento dei rapporti razziali. Non c’è bisogno di essere afroamericani per dire che a parte tempi in cui le relazioni tra bianchi e neri sono state molto peggio di adesso, molta gente, consciamente o meno, nella situazione odierna, è costretta a riflettere profondamente sullo stato di queste tensioni accorgendosi che lo stato dell’arte non è proprio quello di un paese civile. E accusa di questa dolorosa presa di coscienza, il presidente uscente. Come se cacciare la polvere sotto il tappeto bastasse ad eliminarla. Obama è stato il trigger di un razzismo mai cancellato e che riaffiora proprio quando il primo presidente nero costringe una parte del paese a guardarsi l’ombelico. Obama ha inoltre ricevuto notevoli accuse di non avere fatto abbastanza per gli afroamericani più poveri.

Ma, a dispetto di queste posizioni, la sua legacy non passerà alla storia come divisiva: piuttosto, al contrario, come esempio di grande unità. Vale per tutti quello che è accaduto con la sua Obamacare (Affordable Care Act) che il presidente ha difeso fino in fondo, mentre i repubblicani si ripromettono di smantellarla immediatamente. Almeno a parole. Ed è proprio tornando indietro alla sua creazione che si vedono le caratteristiche di unitarietà della presidenza Obama. A chi allora gli aveva chiesto perché non estendesse la già esistente Medicare (l’assistenza medica agli ultrasessantacinquenni) a tutti, Obama rispose che voleva farne una basata su quei principi promulgati dalla Heritage Foundation dell’allora governatore repubblicano del Massachusetts, Mitt Romney perché aveva avuto successo in quello stato. Eppure questo tentativo di Obama di tendere la mano ai repubblicani fu respinto come tutte le sue altre proposte osteggiate dalla destra più estrema. I repubblicani si sono perfino lamentati che Obama poteva fare di più. Ma adesso che il destino della riforma sanitaria è nelle loro mani, saranno loro a dover affrontare l’elettorato.

obama5Il Congresso ha il potere di respingere la riforma sanitaria, ma le diverse realtà sociali non permettono di tagliare fuori milioni di cittadini dall’accesso al servizio sanitario nazionale senza rimpiazzarlo con qualcosa di equivalente o, come Trump ha affermato, con “qualcosa di eccezionale” (something terrific). Senza specificazioni. Molta gente che adesso beneficia della riforma non sa neanche che è proprio grazie all’Obamacare, quella stessa che i conservatori hanno insegnato loro ad odiare, che usufruisce di certi servizi che prima non esistevano. Ma sapranno certamente a chi dare la colpa se i repubblicani la elimineranno.

Anche Trump ha cominciato a vedere la riforma di Obama più favorevolmente dopo avere capito cosa contiene. Infatti già dopo il suo primo incontro con il presidente uscente ha fatto promesse nuove di mantenere lo scheletro di una copertura universale senza esclusione per quella che viene definita “condizione preesistente” (prima di Obama poteva essere una discriminante pregiudiziale sulla quale poteva venire rifiutata l’assicurazione medica) e il diritto di includere almeno un figlio sul piano sanitario familiare fino a 26 anni. Ma come Trump pensi di sostenere questa riforma non l’ha ancora detto. Come per tutto il resto, Trump lascia che sia il Congresso a decidere.

Allo stesso tempo Obama in queste ultime settimane si è impegnato a compiere dei passi fondamentali per assicurare la caratteristica di unitarietà della sua legacy. E così, visto che non gli è riuscito proprio per la tenace opposizione dei repubblicani legati a doppio filo alla NRA (National Rifle Association) di regolamentare l’uso e l’acquisto delle armi (è ancora calda l’emozione per l’ultima sparatoria di Fort Lauderdale), ha scelto di rivolgersi ad altri settori. Tra cui quello dell’ambiente e quello della famiglia. Ha così istituito due aree protette in Utah e Nevada per impedire che vengano sfruttate altrimenti; ha scritto nuove regole per proteggere Planned Parenthood dalla possibilità che gli stati tolgano loro i finanziamenti. Ha inoltre ordinato di trasferire i detenuti di Guantanámo e minaccia di punire la Russia per le recenti interferenze di pirateria nelle elezioni presidenziali. Certo Trump può cancellare tutti gli ordini esecutivi di Obama, ma come ha sperimentato lo stesso Obama dopo la presidenza Bush, i tempi di certe scadenze, come nel caso del ritiro dall’Iraq, sono dettati dal predecessore. Certo Obama lascia per tutti un paese migliore di quando l’ha trovato.

Si può dire in sostanza che la presidenza Obama si sia mossa sotto il segno dell’unitarietà piuttosto che sotto quello della divisività. Perché al di là delle opinioni diverse e delle diverse inclinazioni il primo presidente nero degli Stati Uniti ha operato nell’interesse di tutti cercando, per quanto gli è stato possibile, di evitare divisioni e partigianerie che invece sono state il cavallo di battaglia di un partito repubblicano che con il suo gridlock e il suo ostruzionismo pregiudiziale ha fatto della divisività il suo mantra durante i due mandati di Obama. E forse, sebbene la legacy sia negli occhi dell’osservatore, spesso la gente non riesce ad apprezzare certe conquiste fino a quando qualcuno non cerca di togliergliele.

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