Anna Camaiti Hostert
Cartolina da Chicago

La marea rosa

L'èra Trump è cominciata con una marcia globale delle donne (e non solo). Perché da Washington all'Europa è chiaro che la posta in gioco è radicale: la tutela dei diritti basilari

Una distesa di berretti rosa ha invaso le piazze delle più grandi metropoli di tutti gli Stati Uniti a partire da Washington, New York, Chicago, Boston, Los Angeles, Denver, Seattle e di molte città del mondo: Parigi, Londra, Roma, Sidney, Città del Capo e altre ancora. Negli States, le marce di ogni singola città hanno tutte registrato più di 100.000 partecipanti arrivando in alcuni casi anche a 500.000 persone. Il tutto è cominciato da un progetto iniziale, Pussyhat, fondato da due donne di Los Angeles, rispettivamente di 29 e 38 anni, Krista Suh e Jayna Zweiman, che dalla somiglianza con le parole Pussycat (micino) e Pussy (vagina), in polemica con le affermazioni misogine di Donald Trump durante la campagna elettorale, in novembre si sono inventate questa parola d’ordine e hanno ispirato le marce di oggi. Le organizzatrici hanno commissionato e ricevuto decine di migliaia di berretti rosa fatti a maglia da donne in tutto il paese da distribuire a molti di coloro che hanno deciso di partecipare alle marce. Poi il movimento è divenuto viral, si è espanso ed è divenuto Women’s March. Così, sabato 21 gennaio sono state organizzate contemporaneamente nelle piazze di molte città americane e del mondo marce di protesta. Donne, uomini, bambini hanno sfilato nelle piazze per manifestare contro il presidente Trump che proprio ieri ha fatto il suo giuramento facendo dichiarazioni fedeli alla sua piattaforma elettorale. Uno spettacolo impressionante: centinaia di migliaia di persone. “A sea of pink” (un mare di rosa) ovunque.

Queste marce vogliono ribadire che la riforma sanitaria (Affordable Care Act che va sotto il nome di Obamacare ma che in pochi sanno essere la stessa cosa) e Planet Parenthood, (la pianificazione familiare che include anche la possibilità di pratiche abortive), non si devono toccare. E che non si può fare una politica discriminatoria contro gli emigrati, i musulmani in particolare, i neri e soprattutto contro le donne, i cui diritti rientrano nella lotta per i diritti umani. E dunque sono essenziali per la sinistra e per tutte le battaglie di progresso: proprio al contrario di quello che pensa Slavoj Zizek (Corriere della Sera 16 gennaio 2017) il quale elogia il fatto che il conservatore “protofascista” Trump sia il solo che si occupa degli operai, mentre la sinistra persegue solo politiche di austerità che affamano le classi povere. Anche se poi lo stesso professore non disdegna di insegnare nelle università più liberal e di sinistra degli Stati Uniti: da Princeton a NYU, dalla Columbia a SUNY etc…

donne congro trump3Zizek invita chi ancora si considera comunista, di sinistra, come lui (sic!), a un superamento della political correctness, quella stessa che ha stabilito i diritti delle donne, delle comunità LGBT e delle minoranze etniche razziali e religiose, concentrando invece l’attenzione sulla reinvenzione dei beni comuni. A Zizek, che tra di essi indica l’ecologia, il superamento della crisi finanziaria, la proprietà intellettuale, la biogenetica, e la crisi dei rifugiati, rispondo che queste sono giuste rivendicazioni, ma non bastano. Infatti non si può prescindere dai pilastri della political correctness che hanno sancito i diritti delle donne e quelli razziali. Anzi, senza di essi non si va da nessuna parte e non si fa nessuna politica sociale. E ricordo che se negli Stati Uniti siamo riusciti a superare il tabù del primo presidente nero, non siamo però riusciti a infrangere the glass ceiling di una donna presidente. E questo la dice lunga. E non basta rispondere ciò che è solo dovuto al fatto che la personalità di Hillary Clinton non era adatta.

Mi permetto al proposito di ricordare che in un dibattito di circa mezzo secolo fa le teoriche del femminismo mondiale obiettarono al progetto comunista che se la contraddizione fondamentale e strutturale del capitalismo non viene trasformata da altre, solo apparentemente subalterne, in realtà invece essenziali alla natura e alla ridefinizione di quella stessa, come la cosiddetta questione femminile che comprende ovviamente anche quelle della comunità LGBT e quella razziale, non si potrà mai realizzare una società comunista. E, dunque, questo piccolo cappellino che ha marciato nel mondo è molto di più di una mera riaffermazione della political correctness.

II berretto è rosa e ha due piccole orecchie che imitano la forma della testa di un gatto. «Penso che questo progetto abbia una risonanza molto forte perché quello che realmente vogliamo dire oggi è che non importa chi sei o dove stai, chiunque e dovunque può essere politicamente attivo», dice Zweiman. E non riguarda solo le donne, ma tutti quei soggetti che si sentono minacciati da certe affermazioni del nuovo presidente che ha manifestato nel corso della campagna elettorale atteggiamenti estremamente misogini, razzisti e omofobi. È una chiamata all’impegno e non è, come qualcuno scrive o afferma, un invito alla ribellione e alla non accettazione del risultato elettorale. Michael Moore a Washington e la senatrice Elizabeth Warren a Boston hanno invitato ognuno a impegnarsi politicamente candidandosi per cariche pubbliche. «Di certo, questa manifestazione ha paradossalmente a che vedere con il fare la calza, cosa tipicamente femminile – ha detto Suh – ma è molto di più. In questo periodo politicamente così divisivo e dove il ciclo dell’informazione è tanto pessimistico, la gente manifesta dimostrando che l’attivismo collettivo e individuale è fondamentale. Perché dà l’opportunità alle persone di stare insieme fisicamente, e di rappresentare se stessi nella marcia assicurando supporto e calore umano».

Una di queste persone, un personaggio di quelli che di solito non hanno voce in giornate come queste, è Lisa Daniel, madre di quattro maschi, laureata in matematica, ma rimasta a casa per occuparsi dei figli e che fa fatica ad arrivare alla fine del mese, nonostante il marito sia un ingegnere informatico che lavora in una società di computer. Ma Lisa non ha potuto rinunciare a questa chiamata e ha fatto 4 cappellini da donare per le marce. Si commuove facendomi vedere il bigliettino che ha ricevuto alcuni giorni fa da una signora che oggi ha partecipato alla marcia di Washington e a cui è toccato uno dei berretti rosa fatto con le sue mani. La signora l’ha ringraziata per averle permesso di partecipare a questa manifestazione che, come oggi abbiamo visto, è stata un trionfo. Grazie Lisa, sei tu l’eroina di oggi.

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