Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Alberto Bertoni

Il taglio del dolore

Una preghiera senza fede e senza trascendenze, ma dotata di una sua struttura liturgica e di una sua destinazione metafisica: questa è la poesia per l’autore modenese, che nei suoi versi parla della vita attraverso gli aspetti più dolorosi e controversi

«Vivo solo il taglio del dolore / dato e subìto, / immane, definitivo». Questi versi, tratti dall’Ottava stazione della sezione Via crucis (con Stefano Tassinari) possono idealmente costituire la maniera migliore per rapportarsi all’ultima raccolta Traversate (152 pagine, 12 euro) di Alberto Bertoni. Pubblicata nella collana “Ungarettiana” della Società Editrice Fiorentina nel 2014, questa silloge tocca temi dolorosi e controversi come quelli della morte e del lutto, senza tuttavia farsene irretire ma anzi diventando un pretesto per parlare della vita e delle sue implicazioni e assumendo a tratti il tono di una preghiera laica come in questi versi dedicati alla madre scomparsa: «Ma io lo so che solo per mia colpa / mia colpa mia massima colpa / di troppo caldo sei morta, / non ti ho fatto godere nel mio fiato / l’alba del tempo ritrovato».
Il dettato di Bertoni discende da quella linea poetica che parte da Montale per approdare a Cucchi, passando attraverso le esperienze fondamentali di Sereni e Giudici che, non a caso, firmò la prefazione alla raccolta Lettere stagionali (1996). Gli altri libri poetici dell’autore modenese, molto conosciuto anche come critico, sono Tatì (1999), Il catalogo è questo. Poesie 1978-2000 (2000), Le cose dopo (2003), Ho visto perdere Varenne (2006), Ricordi di Alzheimer (2008), Recordare (2011) e Il letto vuoto (2012).

Nell’introduzione a Traversate Paolo Valesio fa riferimento all’elemento della pietas «concepita da un ateo» (una delle sezioni del libro si intitola, non a caso, Via Crucis ed è suddivisa in quattordici parti, come le stazioni della Via Crucis).
TraversatePer me, laico e non credente fin da quando ero molto piccolo (mi arresi sul problema del peccato di pensiero prima della quarta comunione, nel ’64, a nove anni), la poesia ha assolto la funzione della preghiera: una preghiera senza fede e senza trascendenze, ma dotata di una sua struttura liturgica e di una sua destinazione comunque metafisica. La questione si è accentuata e per così dire radicalizzata quando ho cominciato a entrare in contatto con l’esperienza della morte, prima quella dei nonni, poi quella drammatica, “demente”, di entrambi i genitori, fra il 2006 e il 2010, e infine – almeno per ora – quella di un coetaneo scrittore, amico per più di trent’anni, Stefano Tassinari, che ha lottato per otto anni contro un tumore e poi, nel maggio del 2012, è morto. Gli sono stato vicino fin quasi alla fine: la sua malattia e poi la sua agonia mi hanno fatto riflettere molto sulla fragilità e l’imperscrutabilità della vicenda umana, tra corpo e spirito; e anche sul rapporto fra il morire a meno di sessant’anni e la cultura, la pratica prolungata per tutta la vita, della scrittura letteraria. Toccava a me “fargli la notte” due giorni prima che morisse: ma per fortuna altri amici e la moglie non mi hanno lasciato solo al suo capezzale, perché a un certo punto gli si è rotto il respiro – l’hanno ripreso in extremis con una terapia d’urgenza – ed è nata una lotta violentissima fra il suo desiderio di vivere e il suo respiro che non voleva più saperne di attingere aria e di trasmetterla ai polmoni. Una lotta con o contro l’angelo della morte, cui ho assistito in presa diretta e che ha prodotto la sequenza di Via crucis, che certo non è la miglior cosa che ho scritto, ma che rimane la più autentica, la più diretta e la più testimoniale possibile: dunque la più umana, al di là del suo valore letterario. Chi mi conosce sa che è una bestemmia, quella che sto pronunciando, ma in questo specifico caso è una bestemmia portatrice di verità.

Una delle sue raccolte più importanti, già arrivata alla terza edizione, si intitola Ricordi di Alzheimer. L’idea di questo libro è scaturita dalla malattia di suo padre, una sorta di doloroso diario.
La terza edizione di Ricordi di Alzheimer (che uscirà nel Natale 2016) è per me un grande motivo di orgoglio, anche nei confronti del mio editore “storico” di poesia (e non solo), che è Massimo Scrignòli, uno dei pochi che antepone a tutto la cura quasi maniacale e comunque radicalmente artigianale dei libri editi da Book. Ho avuto molte remore, in realtà, nel 2008, quando mi sono accorto che era nato un nuovo libro di poesia, senza che io l’avessi progettato o lo volessi: e per di più – per la prima volta – un libro monotematico, esposto, non lirico, che traeva materia da un durissimo nucleo di dolore privato, in quanto tale irredimibile e incomunicabile. Dal 2001 (in realtà da prima) al 2006 ero stato accanto a un padre che aveva ricevuto la diagnosi di Alzheimer: un padre convivente ma non “amico”, cui ero legato da un rapporto di cordialità ma non di confidenza. Il nuovo libro era un perfetto campione di quella “poesia del dolore” che da lettore e da critico avevo sempre guardato con sospetto, diffidenza e un pizzico di sarcasmo. Come per la Via crucis di cui sopra, però, interveniva la questione dell’assoluta verità, spinta talvolta oltre il confine dell’impudicizia, che aveva attanagliato e impregnato il mio dire. Altro che poeta fingitore e menzognero! L’io narrante era un “poverocristo” soggetto a un “balbo parlare” – per dirla con Montale – e a un grado sottozero dell’esistenza. Così, alla fine, il libro l’ho pubblicato. Poi, nella storia dei Ricordi di Alzheimer, sono intervenute due altre ragioni ben differenziate fra loro: la prima è che, quando l’edizione 2008 si è esaurita, circa tre anni dopo l’uscita, ho piantato all’editore un piccolo capriccio, dicendogli che ero disponibile alla seconda edizione solo se mi permetteva di togliere e di aggiungere alcuni testi, oltre che di ristrutturare tutto il materiale secondo una partizione “stagionale”. Dopo averci pensato un po’ Scrignòli ha accettato e nel 2012 è uscita la seconda edizione (a quel punto non semplice ristampa, ma proprio “edizione”). Scrignòli non ha il vizio del gioco d’azzardo, ma aveva scommesso sul cavallo giusto, perché – non appena uscito – il libro è stato adottato dai medici e dai cooperatori toscani impegnati nella cura dell’Alzheimer. Bruciata anche la seconda edizione, ovviamente – io che invece sono un inveterato giocatore di cavalli – ho posto altre condizioni al mio editore, per pubblicare la terza. Ho distrutto l’ordine “stagionale”, aggiunto alcuni altri testi (in realtà non si riesce più a smettere, di parlare di Alzheimer, una volta contratto tale vizio assurdo) e introdotto il racconto in prosa di tutta la vicenda che mi ha legato alla malattia di mio padre. Così, in realtà, ognuna delle tre edizioni è un libro nuovo, rispetto a quello precedente: vale a dire, il pieno compimento di una poetica in tutto e per tutto alzheimeriana.

Lei insegna Letteratura all’Università di Bologna. Quale pensa sia il ruolo di un docente nei confronti degli adolescenti che, in genere, snobbano la poesia?
L’assunto non è vero, perché gli adolescenti non snobbano affatto la poesia, anzi se ne appassionano. Il problema è trovare il metodo, la chiave giusta per cominciare a costruir loro l’ossatura di una competenza e incanalare così le loro pulsioni ancora grezze e tutte istintive entro gli argini di una plausibile lingua poetica. Quindi, le antologie di Mengaldo e di Testa, per cominciare.

Rispetto ai tempi dei suoi esordi come pensa sia cambiata la cognizione della poesia nel nostro paese?
È cambiata in peggio, perché è venuta meno quell’educazione alla poesia (anche facendone imparare un certo numero a memoria) che cominciava alle elementari e finiva con l’esame di maturità. Oggi si è certi – a livello ministeriale – che la poesia sia una componente fondamentale dell’educazione letteraria nelle scuole di ogni ordine e grado? Personalmente ne dubito molto e la poesia, soprattutto alle superiori, è abbandonata alla libera iniziativa dei singoli docenti. D’altra parte, c’è poco da fare, a partire dagli anni Settanta la funzione poetica è stata fagocitata dalla canzone d’autore e poi dal rap…

Cosa pensa della situazione poetica attuale?
Ne penso bene se si guarda alla situazione dal punto di vista della scrittura in prima persona; molto male se la si osserva invece da quello di una lettura concentrata, solitaria, silenziosa.

Può commentare la poesia inedita presentata?
È una poesia che dà l’impressione di declinare al presente una tipica situazione da dialogo lirico io/tu. E invece è un frammento di memoria lontanissima, che descrive due ventenni su una Fiat 131 azzurrina a farsi trapassare e bagnare dalla luce autunnale di un sole al tramonto, in un vigneto d’Emilia. Lei aveva appena cominciato a fumare, lui non poteva, perché già da qualche anno giocava alle corse ogni suo avere.

***

Alberto Bertoni

Racconto d’autunno

Mai saputo che fosse così bello

calarsi in un vigneto

di nebbia e di ruggine intenso

nel vaghissimo incenso

dell’aria di stamane

 

Starci immobili dentro

e ricordare tutto o niente

come gas evanescente

mettere ogni perdita al bando

osservando la cisterna e poi la siepe

il mondo tutt’attorno acqua

e nuvole di terra come cielo

 

Lasciare la bufera ai tuoi racconti

con le loro stringate conclusioni

che per questo e di questo

non si muore

ma che sono solo brutti sogni

le fisime dell’ultimo respiro

gli annaspamenti all’infinito

del giorno che ti vibra

fino in fondo

l’intonazione bassa, di gola

 

Sarà il fumo che prima non fumavi

tanto ma davanti a tuo padre

ancora non t’attenti

o forse un fuoco fatuo sulle labbra

un annuncio di giudizio universale

 

Fra nuvole e cortecce

più importante quel ritmo

preso al volo

oggi che ti donano molto

le mèches incendiarie

con tutto il loro intrico

questo slancio finale

verso il seno del mare

Alberto Bertoni

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