Nicola Bottiglieri
Un libro per Natale

L’obelisco della vita

Rileggete “L'obelisco nero” di Erich Maria Remarque: una trattato tragicomico sulla vita che cerca di opporsi a qualunque catastrofe. Soprattutto quelle della Storia

Avevo letto Lobelisco nero di Erich Maria Remarque più di 30 anni fa, pubblicato da Mondadori nel 1966, e mi avevano colpito, oltre la copertina dai colori giallastri che raffigurava un soldato tedesco con l’elmo sovrastato da un punteruolo ben temperato, la ricchezza di aneddoti e di situazioni grottesche occorse nella cittadina di Werdenbrück al giovane Ludwig, volontario della grande Guerra “sul fronte occidentale”, nella Germania della Repubblica di Weimar. Ora ritrovo il romanzo ristampato dalla Neri Pozza (pp.480, 15 Euro), con una copertina in bianco e nero che raffigura uomini sospesi in aria su una giostra che anche io frequentavo da ragazzo “il cancioinculo”. Ho subito acquistato la ristampa, per ritrovare le emozioni di una volta. Le quali ci sono tutte, anche se ora mi accorgo che il racconto è scritto in prima persona, usando il tempo presente, di conseguenza il ritmo narrativo somiglia molto “ad una soggettiva fatta con la camera in spalla” (allora non mi occupavo di cinema) che il mondo in pieno sfacelo nel quale si svolge l’azione mi ricorda alcune scene del film Cabaret con Liza Minnelli e certe situazioni sono simili a quelle grottesche e surreali dei film di Emir Kusturica.

remarqueLudwig lavora in una ditta di onoranze funebri dove un obelisco nero aspetta di essere venduto, cosa che avverrà solo alla fine del romanzo. Fra la lettura degli annunci funebri, le riflessioni su rapporto danaro e dolore, Ludwig la domenica suona l’organo nella chiesa di un manicomio, dove è ricoverata la giovane Isabelle, schizofrenica. In questi anni una birra costa una quantità di marchi dal peso pari a due chili di carta, gli operai sono pagati due volte al giorno e quando si va al ristorante bisogna pagare in anticipo, perché alla fine del pranzo il marco avrà già subito una svalutazione. In questa realtà assurda, Isabelle rinchiusa nel manicomio sembra l’unica sana di mente, mentre la Germania e l’Europa stessa arano a piene mani il solco nel quale sboccerà la seconda guerra mondiale.

Schizofrenia, riflessioni su una guerra appena conclusa, ma anche sana voglia di vivere, che in un contesto simile si tinge di humor nero dissacrante. A Werdenbrück il falegname Wilke fabbrica bare nelle quali fa la pennichella nel pomeriggio, (ma che ha paura dei morti a mezzanotte); una donna è capace di strappare dal muro chiodi ben infissi non con le mani ma con il culo; Knopf, il maresciallo in pensione va in bicicletta nelle case dove vi è stato un decesso per vendere lapidi, cippi e colonne spezzate e ha l’abitudine di orinare sull’obelisco nero… fin quando una notte di bevute, Dio dal cielo lo rimprovera con voce tonante ed egli l’ascolta mettendosi sugli attenti!

Naturalmente, il romanzo non si limita a raccontare solo questi episodi, ma ha come perno narrativo l’amicizia fra Ludwig e George Kroll, figlio del proprietario della ditta funebre, una amicizia rinvigorita da solide bevute di grappa raffreddate da generosi boccali di birra, da letture di poesie e da confessioni intime, la quale si interrompono quando Ludwig sii trasferisce a Berlino e George gli presta il suo abito migliore con la promessa di scriversi e ritrovarsi….

In questi anni, quando ripensavo all’Obelisco nero mi chiedevo sempre se si fossero ritrovati i due amici e dove: in una trincea, in un campo di concentramento, o solo nella scrittura perché le amicizie della giovinezza sono fiori di una sola stagione…

Il romanzo è l’affresco autobiografico di una provincia tedesca dove la storia matura in modo tenace, mentre la felicità, in un mondo che corre verso la catastrofe, non può che consistere in un pasto all’osteria, una bottiglia di grappa, una sera d’amore effimero e intenso.

Leggere vuol dire aprire una finestra sul mondo, ri-leggere significa ripiegarsi su se stesso. Ma se il libro è stato letto vari decenni indietro, uno rischia di non rialzarsi più con la schiena, perché il tempo semina i suoi malanni anche con l’inchiostro.

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