Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Il romanzo del razzismo

Un bellissimo romanzo di Jodie Picoult (“Small Great Things” ancora inedito in Italia) spiega molto del mondo ignoto a se stesso che ha votato Trump. È una storia di razzismo strisciante e violento che colpisce dove meno te lo aspetti

Il backlash seguito alla presidenza Obama con l’elezione del bianchissimo e slavato/parrucchino arancione, Donald Trump, si fa sentire già anche sul piano culturale. Così le storie di un razzismo mai sopito che sono sempre vissute in un background silenzioso oggi emergono in tutta la loro potenza velenosa. È uscito da poco, purtroppo solo negli Stati Uniti, un libro di Jodie Picoult, Small Great Things (New York, Ballantine Books, 2016) il cui titolo viene dalla frase di Martin Luther King “If I cannot do great things, I can do small things in a great way” (se non posso fare grandi cose posso però fare piccole cose in un modo fantastico). Il libro è scritto da un’autrice “bianca con privilegi di classe” come lei stessa si definisce senza farne mistero. Picoult, autrice di successo di più di venti romanzi e numero uno tra i best-seller del New York Times, dopo un profondo lavoro di ricerca, comprendente, tra le altre cose, numerose interviste a donne e uomini di colore che “hanno condiviso l’esperienza di cosa si provi veramente a essere neri in America”, ci ha regalato questo avvincente dramma. E ha inoltre esplorato le radici del razzismo dalla parte dei bianchi, compiendo numerosi interviste anche a gruppi di skinhead e concludendo che, seppure parlare di razzismo è difficile, “noi bianchi abbiamo la necessità di parlarne tra di noi. Perché così un maggior numero di persone ascolterà e – spero – la conversazione si allargherà”. A suggerire che c’è bisogno di affrontare le radici di un problema che è incistato nel DNA del paese. E che per essere superato va discusso e portato alla luce in tutta la sua negatività.

jodie-picoult-small-great-thingsQueste le intenzioni che hanno spinto Picoult a scrivere questo racconto tratto da un fatto realmente accaduto. Che risponde ai criteri classici del romanzo, parlando di un tema di attualità in modo avvincente e ben costruito. È la storia di un’infermiera nera Ruth Jefferson, vedova di un soldato morto in Afghanistan, madre single di un figlio teenager che va alle superiori. La donna lavora nel reparto maternità di un ospedale del Connecticut, da più di venti anni stimata e benvoluta da tutti, quando all’orizzonte si presenta una famiglia di “suprematisti bianchi”, Turk e Brittany Bauer, che si recano in ospedale dove la donna partorisce il loro primo figlio, Davis. Turk richiede che Ruth non interagisca con loro e non tocchi il loro bambino, ma quando il reparto è a corto di personale, Ruth si trova da sola con il piccolo che improvvisamente ha difficoltà di respirazione. In quel momento deve decidere se obbedire al suo senso di umanità e al giuramento che ha fatto come infermiera o seguire gli ordini che ha ricevuto di stare alla larga dal bambino come richiesto dai genitori. Alla fine Ruth media tra ambedue le cose, ma ci saranno serie conseguenze. I genitori, è facilmente intuibile, hanno bisogno di qualcuno da incolpare. Specie se questo qualcuno è nero. La licenza da infermiera di Ruth viene sospesa. Lei viene accusata di un atto criminale e il suo destino è nelle mani della sua avvocatessa d’ufficio, la bianca Kennedy McQuarrie. L’autrice sa come costruire i suoi personaggi dal di fuori e dal di dentro e ci costringe a rimanere incollati alla pagina fino alla conclusione del libro.

Picoult, nel corso della storia che è principalmente la storia di questo processo, parla da diversi punti di vista quello di Ruth, quello dell’avvocatessa bianca e quello del razzista bianco Turk. Ci mostra inoltre numerose metamorfosi dei personaggi. Va detto che particolarmente interessante è la costruzione del personaggio di Turk che, al di là del fatto delle numerose aberranti ideologie di cui è vittima consenziente, appare umano specie nella sua veste di marito e di padre. Vediamo la sua rabbia e la sua impotenza: quelle stesse che hanno spinto molti giovani della sua età e con le sue inclinazioni a votare Trump senza capirne bene le conseguenza. La sua personalità e la sua storia così, come le ha costruite Picoult, ci permettono di capire come è arrivato a odiare, come ha conosciuto Brittany e come vendicare il figlio divenga la sua motivazione vitale. La sua vicenda sembra rientrare nei canoni della storia del movimento degli white supremacist americani, ma dati i tempi e il clima politico si rivela davvero un’osservazione acuta e preveggente dentro i motivi che spingono molti giovani a aderire a questa ideologia.

Poi c’è il personaggio dell’avvocatessa Kennedy sposata a un chirurgo e con un’adorabile figlia piccola. Il suo è un viaggio dentro se stessa che la costringe a notare come anche in lei ci siano i semi del pregiudizio razziale di cui non è apparentemente cosciente. C’è un momento nella conclusione della sua arringa in cui dice “C’è stato un momento quando ho cominciato a lavorare a questo caso in cui ho catalogato me stessa come una non razzista. Adesso invece ho capito che lo sono”.

white-supremacistQualcuno ha obiettato che il personaggio di Ruth sia quello meno credibile perché’ troppo “costruito”, soprattutto in contrasto con la sorella militante Rachel/Adisa (il nome viene cambiato quando la giovane ha un risveglio di coscienza razziale sui vent’anni). Ruth invece si è sempre battuta per l’integrazione, ha studiato a Yale e ha seguito un cursus honorum costruito da e per i bianchi. E così ce l’ha fatta. Fino a quando l’imponderabile accade e tutto viene messo in discussione Il romanzo ha obiettivi troppo “didattici”, è stato scritto. Credo che questa critica sia ingiusta e forse un po’ venata di ideologismo. Infatti non bisogna dimenticare che Picoult scrive per un’audience bianca, cercando di portare a coscienza un problema delicato che risiede nei meandri profondi dell’anima bianca di un paese che ha avuto la segregazione prima e la discriminazione poi. E che, nonostante il primo presidente nero della sua storia, deve ancora fare i conti con il riflesso scuro ( in molti sensi) dentro lo specchio della storia. E con le difficoltà a superare una fase molto legata al suo essere ciò che è. Dunque non è essenziale un personaggio nero troppo aderente ai canoni del realismo afroamericano. E neanche troppo emarginato o tantomeno che si autoemargina coscientemente.

L’evoluzione del processo nel romanzo è fantastica perché segue punto per punto una logica stringente e acuminata di tutti i motivi che hanno determinato l’accusa a Ruth, ma anche degli stereotipi che l’hanno accompagnata. E così c’è un crescendo di indizi, testimonianze, scoperte che creano un’atmosfera davvero di suspense e analizzano quanto i pregiudizi razziali ancora giochino un ruolo fondamentale nelle decisioni del paese. E poi c’è la fine con un’improvvisa e inaspettata piroetta di 360 gradi con rivelazioni, trasformazioni epifanie. Picoult che vuole portare all’attenzione cosciente il problema razziale in America ci riesce con successo.

In attesa però che il libro venga tradotto in italiano, c’è sempre da noi il bellissimo libro di Leone Piccioni Troppa morte troppa vita. Viaggi e pensieri intorno agli Usa (Firenze, Vallecchi editore, 1969; si trova anche su Amazon) che seppure scritto quasi cinquant’anni fa, ancora si rivela un potente e fresco strumento di analisi dell’America. Anche quella di oggi. Con l’idea di una dimensione epica e tragica allo stesso tempo, Piccioni ci da’ un’immagine delle contraddizioni che agitano questo grande paese e che ne sono l’unica vera natura. A maggior ragione oggi nell’America di Trump. I quattro saggi che ne fanno parte mettono a fuoco senza paracadute i problemi di un paese che a una vitalità affascinante abbina un razzismo profondo e senza senso. Scritto con grande amore e passione, ma anche con grande spirito critico rivela la vera natura del problema razziale con un titolo che da solo è un programma in quanto individua, specie per noi europei, la grande attrattività dell’America: il suo fascino e la sua pericolosità. È ancora il ritratto di un paese che, malgre tout, fa parte integrante del nostro immaginario collettivo. Per quanto ancora non è dato saperlo.

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