Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Paolo Febbraro

Il senso, subito

Dopo le intemperanze delle avanguardie che hanno mortificato il linguaggio svuotandolo, la poesia prosastica del poeta romano scommette sul recupero dell’assunto poetico. Seguendo il suo “rigoroso istinto”…

La grande scommessa del poeta romano Paolo Febbraro è quella di restituire alla poesia il senso perduto, come avverte nella nota alla raccolta Il bene materiale (2008): «non voglio aspettare il senso, lo pretendo tutto e subito». Febbraro, oltre al libro citato, ha pubblicato Il secondo fine (1999) e Il Diario di Kaspar Hauser (2003). L’ultimo volume di versi, Fuori per l’inverno (96 pagine, 7 euro), è stato stampato da Nottetempo nel 2014. Attivo anche sul versante critico oltre che valente traduttore, Febbraro si può considerare uno degli esponenti di punta di quella linea poetica che, sulla falsariga delle teorizzazioni di Alfonso Berardinelli e Giorgio Manacorda, tende a un recupero della dimensione prosastica al fine di rendere maggiormente fruibile l’assunto poetico, dopo le intemperanze delle avanguardie che hanno sempre più mortificato il linguaggio svuotandolo di senso. L’uso di una lingua piana e colloquiale contrasta con la cripticità, con l’autoreferenzialità, di tanta poesia contemporanea. Il lavoro di Febbraro risulta quanto mai omogeneo sul piano strutturale, rivelandosi attraverso voci monologanti che si inseguono lungo tutto il percorso dell’ultima raccolta, creando momenti singolari che, per la loro emblematicità, si configurano come espressione di una poetica che ha una cadenza classica: «Splende, non lontana, lamellare / la lunga memoria del mare».

Mi sembra che nella sua ultima raccolta, Fuori per l’inverno, sia presente il tentativo di conciliare alcuni riferimenti letterari (variazioni da Char, Heaney, Ted Hughes ecc.) con una misura narrativamente più distesa e articolata rispetto alle sillogi precedenti.
cop-febbraroIn Fuori per l’inverno non c’è alcun disegno programmatico da me voluto. Quando scrivo versi, come tutti, credo, seguo l’ispirazione del momento. Quando allestisco il libro, poi, trovo delle somiglianze, riconosco dei nuclei, delle gravitazioni immaginative, e ne faccio delle sezioni. Càpita che poesie accantonate per anni trovino in quel contesto il loro posto, che reagiscano bene con altri componimenti. Il tutto avviene per connessioni mentali istintive, una sorta di “rigoroso istinto” a costruire. E in effetti, come lei diceva, trovo anch’io in Fuori per l’inverno una misura narrativa più distesa rispetto ai libri precedenti. Ma in ogni opera vedo oggi connessioni interne, e molte anche fra le opere prese nel loro insieme. Quanto ai riferimenti letterari, mi piace allestire un’opera comprendendovi le voci altrui che suonano insieme alla mia.

Nella sua ultima raccolta ci sono alcuni “monologhi” in versi (Guido Cavalcanti, Iscariota, Cassandra ecc.) che riguardano figure storiche o mitiche. In che modo mette in relazione tali figure con la realtà odierna?
La relazione c’è senz’altro, ma non saprei dire qual è. Credo che in poesia Cassandra o il fiume Tevere visto ieri mattina siano ugualmente storici e mitici. Le poesie accadono sempre al presente.

Lei recentemente ha pubblicato una monografia sul poeta irlandese Seamus Heaney. Può parlarci di questo lavoro?
È stato un atto di amore intellettuale e di affetto. Ho cercato di trasformare l’amicizia provata per Heaney negli ultimi anni della sua vita in intelligenza critica. E poi – come accade ogni volta che scrivo un saggio su un grande scrittore, Palazzeschi, Saba, Primo Levi – ho tentato attraverso Heaney di capire ancora meglio cos’è la poesia. Infine, in un’Italia ancora impantanata in avanguardismi, idealismi e nichilismi, ho voluto proporre l’interpretazione di un poeta radicato nella propria terra così come nella propria lingua.

Come ritiene si sia evoluta (o involuta) la scena poetica italiana in questi ultimi decenni?
In generale, sono molto critico riguardo a ciò che è accaduto dagli anni Settanta del Novecento in poi. È entrato in crisi il rapporto fra i poeti bravi – capaci di lavorare su sé stessi e sulla lingua – e il pubblico dei lettori e dei critici, sia quelli universitari sia quelli militanti. Con la cultura di massa, la vecchia autorevole società letteraria non ha potuto più “gestire” i valori e le carriere editoriali, così gli autori più interessanti si sono dispersi nella solitudine di uno scarso riconoscimento. Ho da poco pubblicato un’opera antologica che comprende sessanta poesie di altrettanti autori contemporanei e il mio relativo commento. Nell’introduzione ho scritto di averla composta non solo perché la poesia italiana esiste, ma anche perché esista.

Può parlarci della rubrica, da lei curata, dedicata alla poesia nell’inserto domenicale del Sole 24 Ore?
L’intento è simile. Che ogni settimana una poesia possa essere letta da centomila persone, col piccolo aiuto del commento che propongo, mi fa pensare di rendere un servizio alla parte migliore della società italiana, non predeterminata per reddito o ceto (il quotidiano costa pochi euro), ma dalla curiosità e dal desiderio di leggere. Per creare una “poesia italiana” occorre mettere in contatto gli autori con i loro potenziali lettori, e farli reagire in una vicendevole, esigente influenza. Forse è un’utopia, ma per temperamento non riesco a curarmi solo della mia creatività personale. Vivere a fondo il proprio dono poetico vuol dire interrogarlo e metterlo in relazione con quello degli altri, del proprio tempo e del passato. In più, avendo pubblicato moltissimi poeti stranieri – protagonisti di una prossima antologia –, ho voluto mostrare quanto è ampia la “possibilità di poesia”, oggi, contro tutti coloro che l’hanno dichiarata esaurita, e anche riconoscere pubblicamente il grande e oscuro lavoro svolto dai nostri traduttori.

Cosa pensa dei blog che si occupano di poesia?
Sono il trasferimento sul web delle riviste e rivistine di un tempo. Per essere sincero, non amo le pubblicazioni specializzate, preferisco quelle in cui la poesia appare fra le altre arti o a fianco di saggi e articoli diversamente orientati. Comunque, la forma del blog aperto ai contributi dei lettori è utile, mobile e inquietante, proprio come la democrazia.

Cosa sta preparando attualmente?
Sto studiando e traducendo un poeta inglese del primo Novecento, le cui poesie scelte dovrei pubblicare nella primavera del 2017. E come dicevo ho già in programma l’antologia dei poeti stranieri tradotti in italiano che ho dapprima pubblicato nella rubrica sul Sole 24 Ore. Ma soprattutto, credo di non essere lontano dal compimento di un nuovo libro poetico e di un volume che vado allestendo e riscrivendo da anni, dal titolo La poesia allo stato critico. Saggi Interventi Interviste. L’uscita di entrambi non è prossima, perché non ho molto tempo da dedicare alla scrittura.

Può commentarci la poesia inedita presentata?
Preferisco non farlo.

***

febbraro 

Esame di ammissione

Ho interrogato la Storia,

lasciandola seduta al suo banco

senza chiamarla alla cattedra,

e accanto il docente di sostegno

col suo tipico sorriso preoccupato,

il libro aperto davanti

per darle coraggio.

 

Inizialmente la candidata mostrò

sicure cognizioni di Geografia

soprattutto al riguardo di siti europei

e di grandi fiumi, con qualche specifica

ossessione per i luoghi di battaglie.

 

Nel Diritto e in Teologia

l’esposizione fu esatta e monocorde

recitata sulla stessa nota.

 

Nelle lingue, sorprendentemente,

ammise di trascurare le classiche

ma fu sciolta, con un ammicco,

in quella vittoriosa nel futuro.

 

Letteratura: si fece seria, compunta,

poi snocciolò data di edizione

numero di pagine indice e riassunto

di dieci conclamati capolavori.

 

La musica? Delusione totale:

in piedi canterellò soddisfatta

brani bandistici, ariette, inni

buoni per congressi, o a ingrossare cortei.

 

Le quattro operazioni aritmetiche

furono compiute come si deve;

ma mi colpì il rossore sulle guance,

lo sguardo di sottecchi, vergognoso,

che mi lanciò alla moltiplicazione.

 

Richiesta di esprimere un’intenzione

sul proprio avvenire professionale

la Storia esitò per la prima volta

balbettando anche lei “informatica”

ma subito aggiungendo, con pudore,

il desiderio di dedicarsi

nel tempo libero ai crimini irrisolti.

 

Nel complesso, esame superato.

Sola appendice: sul libro di testo

più volte sfogliato dall’interrogata

non compariva nessuna immagine

ma solo una compatta serie di segni

in alfabeto braille.

Paolo Febbraro
(La foto di Paolo Febbraro è di Daniela Cinelli Ardmore)

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