Lorena Piras
Una (atipica) passeggiata romana

Da Faranda a Farouk

La via Veneto di Faranda e Morucci, l'omicidio Faorouk, le bombe sovietiche al Café de Paris e quelle all'Hotel Flora: viaggio nella Roma del crimine. Quello internazionale...

Immaginate di sovrapporre la foto in bianco e nero di una strada a ciò che quella strada è diventata oggi. Passato e presente in un’unica sequenza spazio temporale, vecchi negozi accanto ad automobili moderne, cabine telefoniche dove ora c’è il wi-fi. Palazzi, finestre, quelli di un tempo, ora custodiscono i segreti e l’intimità di nuove famiglie. Immaginate poi di incontrare un giornalista investigativo, uno di quelli che lavorano con l’inchiostro dei fascicoli modificato dalla chimica del tempo, uno di quelli abituati a girare le pagine degli anni con la curiosità e la voglia di scoprire chi siamo stati, chi, quei fogli, li ha scritti.

Ecco che allora, in compagnia di Fabio Sanvitale, quel giornalista, decidiamo di leggere e raccontare un pezzo di Roma senza andare per frasi fatte. La Roma da cronaca nera, lontana dai magneti a forma di Colosseo e dalle ceste dei negozi cinesi dove miniature di San Pietro si mischiano a quelle delle torre di Pisa. Roma come un museo a cielo aperto del crimine metropolitano.

L’occasione è offerta da Not For Tourist Rome, che ha organizzato un crime tour nella capitale.

Ci incontriamo a piazza Barberini che subito non è più un’immagine abusata da cartolina, ma una storia. Quella di quando Moretti, lì, alla luce del sole, si incontra con Morucci e la Faranda che esprimono il loro dissenso sulla condanna a morte di Moro.

christa-wanningerRisaliamo via Veneto. La Dolce Vita, fatta di protagonisti e comparse, alberghi lussuosi e pensioni da due lire. L’Hotel Excelsior e la sua cupola cuspidata che fa da riparo a divi e divine e, poco distante, una pensioncina. È il 1963. Una ragazza tedesca di 24 anni, Christa Wanninger (nella foto accanto), cappuccino per pranzo e il sogno di un marito italiano, da quella pensione, pensione Leonardi,  esce, col suo cappotto verde e le unghie finte, per percorrere i pochi passi che la separano da via Emilia 81, dove vive una sua amica. A saperlo, sembra proprio di vederla camminare ancora su quella strada. Cosa mai può succedere in pochi metri, in un pomeriggio di maggio nella via dei sogni e dei lustrini? Può succedere di non accorgersi di essere seguiti da tempo, non sapere che ogni abitudine è registrata nella mente di un uomo ossessionato dai propri mostri. Sette coltellate sul pianerottolo di un palazzo di via Emilia 81, e, di Christa, resta una macchia di sangue per terra e la vanità di un’unghia finta nell’ascensore. Non c’è più la pensione Leonardi in via Sicilia, al 79 di via Emilia non c’è più il negozio di frutta e verdura di cui vennero sentiti garzone e titolare. All’angolo con via Lombardia non c’è più l’orologio su cui si regolò un altro testimone. Non c’è più niente,ora, ma a saper ascoltare e a voler scoprire un’altra Roma, c’è ancora tutto. Lo scrive Calvino ne Le città invisibili a proposito di Zaira, ma è perfetto per Roma: «… Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole».

Via Veneto icona di se stessa, come il Rosati di Piazza del Popolo, fotografato da una stoccata di Flaiano che, osservando con malinconia tagliente i nuovi frequentatori dei tavolini che lo hanno visto protagonista con Brancati, Pannunzio e Arbasino, dice «Vedi quelli? Si credono noi». Quelli sono i turisti che inseguono l’illusione della Ekberg e della Gardner, che trovano chiuso il Café de Paris e forse non sanno che lì, Sinatra, quando non suonava il pianoforte all’Harry’s bar, questo sì che è rimasto, come anche il Doney, stanco dei flash fece scoppiare una rissa, e che fu Modugno a sedarla.

Sanvitale descrive una Roma che sognava, che non poteva immaginare che l’Hotel Flora, l’hotel di Liz Taylor e Richard Burton, sarebbe stato teatro del terrorismo internazionale, quando, nel 1981, una bomba collocata sotto il letto della stanza numero 320 uccide un ospite registrato sotto falso nome e che è in realtà un esponente dell’Olp. Sembra che i momenti impiegati per accendersi un sigaro, servano a Fabio per arrivare al 1985 quando al Café de Paris non siede più Fellini ma decine di turisti: i feriti delle due bombe a mano F1 sovietiche lanciate dal palestinese Abu Sereya, saranno 38 (nella foto accanto al titolo, il locale subito dopo l’esplosione, all’epoca).

Continuando a camminare, si capisce quanto si intreccino le strade e le storie, a Via Veneto. Comparse e protagonisti, abbiamo detto. Così, a un anno da quando la povera Christa trova la morte in via Emilia, una ricca coppia di egiziani, arriva da Losanna e sale lungo il tappeto rosso delle scalette che conducono alla lussuosa Residenza. Via Emilia, ancora. Lasciano le valigie nella camera 23 ed escono nel freddo di una sera di gennaio. Lei è bellissima, di quella bellezza che stordisce e non si perdona. Lui è più grande di lei, è suo marito, padre dei suoi figli, e già da tempo sa di essere tradito. Sono i coniugi Bebawi, e possiamo vederli, lei in pelliccia e con un foulard in testa, lui in cappotto grigio e colbacco, mentre vanno a piedi verso la vicina via Lazio, dove, al terzo piano del civico 9, è la sede della Tricotex. Ora non c’è più. Per guardare quel portone, quelle finestre, bisogna dare le spalle a un centro massaggi thailandese. Anche questo, segno del tempo che passa. Chissà se parlano, se procedono affiancati, se uno precede l’altra. Sappiamo che a guidare i loro passi è la folie à deux, l’accordo di morte che sta per lasciare a terra sfigurato dal vetriolo e colpito da cinque proiettili Farouk Chourbagi, libanese ma egiziano di nascita, presidente della Tricotex e amante di lei, di Claire Bebawi. Pensano persino di sposarsi, ma arriva l’opposizione della famiglia di Farouk e Claire, che non conosce il significato di un no, non la prende bene e giura vendetta. Oriana Fallaci su L’Europeo in poche parole tratteggia la figura del giovane amante: «Farouk con la sua sensualità, Farouk con i suoi miliardi, con le sue promesse, le sue attricette di via Veneto, le sue vallette del Musichiere, il suo nome identico al nome di un re». Già, quel Re Farouk, che, non gradendo i flash di Tazio Secchiaroli nella saletta privata del Café de Paris, lo aggredisce guadagnando la prima pagina de Il Giorno e scaldando ancora di più il ferragosto del 1958.

Ci sono piccole scottature sulle mani di seta di Claire, mani che non hanno mai conosciuto altra occupazione se non il trucco. Non sa, non può sapere, che il vetriolo, a contatto con l’emoglobina del sangue, schizza. Dice di essersi bruciata cucinando, poi che è stato suo marito a sparare e versare l’acido, e lei è rimasta ferita nella confusione. Il marito accusa la moglie, la moglie accusa il marito. Sono saliti insieme, poi uno per volta, uno non sapeva cosa volesse fare l’altra. È colpa di Claire, no, di Youssef. Il rimpallo paralizza il processo perché è impossibile condannare senza prove due imputati che si rinfacciano reciprocamente lo stesso reato. Assoluzione in primo grado, sentenza ribaltata in secondo grado a Firenze, ma Claire e Youssef hanno lasciato l’Italia e non sconteranno nessuno dei ventidue anni cui sono stati condannati.

Eppure la verità è scritta nero su bianco, sul fascicolo, ma non viene letta. Una parte della perizia autoptica non viene trascritta nella conclusione, da qui “l’assenza di prove” che inchiodino i due coniugi alla scena del crimine e alle proprie responsabilità.

Arriviamo a Porta Pinciana, via Veneto è tutta davanti a noi, solenne e dissacrata: portieri in livrea, autisti, un signore con i capelli bianchi e la giacca alla marinara cammina con la mano sinistra nella tasca dei pantaloni accanto a una donna in gonna gipsy e scarpe da tennis, un cameriere col pizzetto che gli ricama il volto porta il succo di frutta a un bambino che gioca col cellulare, gambette scoperte, magliettina con lo stampato di un giocatore di polo, il colletto sollevato da adulto in miniatura.

gino-girolimoniStiamo per salutarci ma c’è ancora il tempo per nominare un’altra traversa di via Veneto: via Romagna, dove Ralph Lyonel Brydges è stato cappellano della Holy Trinity Church. Sono gli anni di Gino Girolimoni (il cosiddetto “mostro di Roma”, nella foto accanto), e Brydges, in quella storia, ha una sua parte.

Poco distante, via Puccini 9. È ormai il 1970, la Dolce Vita è finita. Il palazzo borghese al quartiere Pinciano, è quello dei Casati Stampa. L’Italia della rivoluzione dei costumi, quell’anno, scoprirà il sapore di spiare i segreti delle vittime dal buco della serratura.

Pensiamo a Girolimoni, ai Casati Stampa, a quelle che saranno altre passeggiate, a quanto una strada possa condurre lontano, mentre ora, entrando in quel cuore che è Villa Borghese, dribbliamo pakistani che vendono rose, gente che corre verso la metro e i fantasmi di via Veneto.

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