Angela Di Maso
Visto al Bellini di Napoli

Bordello da sogno

Carlo Cerciello riporta in scena (con Fulvia Carotenuto e Imma Villa) "Bordello di mare con città" di Enzo Moscato: uno spettacolo che fa dell’intuizione, e non solo della deduzione, il suo più grande mezzo di coinvolgimento del pubblico

La stagione del Teatro Bellini di Napoli è stata inaugurata da Bordello di mare con città spettacolo formato da un cast stellare: alla drammaturgia Enzo Moscato, alla regia Carlo Cerciello, in scena le attrici migliori del momento: Fulvia Carotenuto, Imma Villa, Cristina Donadio, con Ivana Maione, Lello Serao, lo stesso Enzo Moscato e la giovane Sefora Russo. Prodotto da Elledieffe, la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo diretta da Carolina Rosi e dal teatro Elicantropo, Bordello di mare con città, è una partitura inedita che riassume in sé l’intera produzione teatrale – scandagliata in filosofia, antropologia, poesia – di Enzo Moscato, e sintetizzabile nel concetto chiave di Pièce noire.

Il teatro ha dichiarato il Sold out per tutta la durata dello spettacolo, in scena dal 25 ottobre fino al 6 novembre, ancora prima che lo stesso avesse luogo. Il botteghino è stato letteralmente preso d’assalto. Quello che molti aspettavano di vedere da questo spettacolo non è accaduto, e cioè l’errore da parte di un regista come Cerciello per avere scelto un testo, diciamolo pure, datato (scritto nel 1987), e in cui la storia di una ex prostituta dei bassi napoletani eretta d’improvviso a santa guaritrice tanto da suscitare clamore nella vecchia Napoli, destando l’attenzione della stampa e della chiesa con l’invio da parte di quest’ultima di un cardinale che ne dovrà decidere il processo di beatificazione o di eretica scomunica, non fa più scalpore. Insomma, nulla di nuovo all’orizzonte, perlomeno drammaturgicamente parlando. Ed invece ecco compiersi il miracolo.

La visione di Bordello di mare con città crea scompiglio. Il pubblico stesso esce dal teatro destabilizzato perché quello che accade nel passaggio tra il primo ed il secondo atto – atti che sembrano pezzi teatrali a sé stanti – serba del geniale.

BORDELLO DI MARE CON CITTA’Carlo Cerciello spacca il testo. Il primo atto si apre con la scenografia – di Roberto Crea – che un tempo il regista aveva ideato per Scannasurice – altro testo di Moscato, la quale fortunata messinscena non solo ha conferito premi al regista e alla sua primadonna Imma Villa, ma ha segnato un felice sposalizio tra lui e il drammaturgo napoletano – un labirinto quadrato che cadendo, letteralmente, ci fa entrare nelle stanze di una ex casa di tolleranza, di cui ciò che balza immediatamente all’occhio è il ritorno di quinte e scene alla maniera del novecentesco teatro naturalista, ovvero prima della pirandelliana riforma dell’abbattimento della quarta parete; con statue, parati kitsch e centralmente posto su di essi uno strambo quadro raffigurante la vecchia e defunta maitresse di quel bordello, ora non più casa dispensatrice di piacere, ma di sollievo e guarigione.

Assunta Di Maio (Fulvia Carotenuto) è una santa capace attraverso l’imposizione delle stigmate alle mani e recitando una sanscrita formula magica, di guarire puttane, qui sinonimo di chi svende non solo il proprio corpo, ma l’anima intera a chi prepotentemente, e con incapacità, detta potere. È stata Titina (Imma Villa), madre della piccola Betty (Sefora Russo), ad inventare e sostenere la santità di Assunta, divenendone governante e consigliera, e che in realtà di quel bordello non ne hai mai fatto un’ex, tenendo a lavorare ‘a nero’, e all’insaputa della santa, due donne, Madamina (Cristina Donadio) e Cleò (Ivana Maione) che economicamente s’aiutano e lo aiutano col mestiere più antico del mondo. Un giornalista (Enzo Moscato) troppo curioso e l’arrivo del cardinale (Lello Serao), scoperchieranno il vaso di Pandora strapieno delle più infime azioni. La santa non santa si vendicherà proprio con Titina per l’altare di menzogne costruito, rendendo la fanciullesca Betty agnello sacrificale al potere ecclesiale.

Sipario. Le luci (di Cesare Accetta) accecano il pubblico.

Una voce registrata (il suono è di Hubert Westkemper) parla di qualcosa di inconfessabile che verrà detto alla Chiesa e che farà «il mazzo a tutti quanti». È la voce di Annibale Ruccello nei panni di Don Catellino, il prete della sua pièce Ferdinando, poco prima di essere ammazzato non dal veleno ma dall’amore… come lui stesso terrà a precisare a Donna Gesualdina. E quella voce esce da quello stesso quadro posto al centro della scena che raffigura proprio Annibale Ruccello ne Le cinque rose di Jennifer.

La costruzione verista del primo atto connota la recitazione, così come la musica d’accompagnamento scenico, decifrabile in semplici melodie etniche-armoniche. Nessuna innovazione. Nessuna sperimentazione. Un ritorno al teatro «di vecchia scuola». E invece, ecco aprirsi il sipario sul secondo atto, e con esso ecco aprirsi la mente dell’osservatore/spettatore che attraverso la maniacale cura del suono, l’evocazione dell’inconscio e il sogno come elemento di continuità tra realtà e immaginazione, hanno reso unico e finalmente riconoscibile lo sguardo teatrale di Carlo Cerciello.

La musica (di Paolo Coletta) rievocando un’idea di finzione patinata e leziosa, diventa brechtianamente psichedelica. Il declamato delle due prostitute, Cleò e Madamina, di neomelodico e desimoniano stampo, i costumi (di Alessandro Ciammarughi) chiarificatori di indecorosa e carnascialesca napoletanità.

La linearità della storia narrata da Enzo Moscato e commissionatagli un anno dopo la morte prematura e tragica di Annibale Ruccello, diventa nelle mani di Carlo Cerciello metafora di un bordello inteso etimologicamente come ‘caos’ in cui vige oramai da tempo l’uomo, nel senso più infimo di animale sociale, politico e artistico. È un giochino astuto e sottile quello che compie il regista confondendo abilmente testuale e metatestuale, in un estro surrealista di lynchana ispirazione.

L’atto spacca l’idea di un teatro di parola perché trasforma la stessa in rumore, lamento, nenia, isterismo. In scena paramenti che simulano un doppio sipario. Ecco la riforma pirandelliana compiersi. Teatro nel teatro: se tutto il mondo è palcoscenico non ha più senso isolarlo dal palco stesso. Al centro scena una bara con dentro l’immaginario corpo di Betty uccisa dall’abuso sessuale del cardinale. Le prostitute Cleò e Madamina diventano pasoliniana corale. Titina chiede il miracolo ad Assunta di riportarle sua figlia in vita. Ma di miracoli non ne sono mai accaduti.

La drammaturgia di Moscato è fatta di soglie, di zone liminari, di confini distanti dall’assolato e rassicurante centro della scena dal teatro tradizionale, laddove il suo sguardo si spinge guidando gli occhi degli spettatori secondo un’unica verità, perversa e crudele. Senza redenzione, ma in divenire.

BORDELLO DI MARE CON CITTA’Il secondo atto è un’opera magistrale in cui si seguono i percorsi della mente, programmaticamente, edonisticamente senza una meta. La sensazione è che Cerciello stia giocando con lo spettatore. Si diverte a confonderlo, in realtà gli dà una chiave di lettura ben precisa quando pone la maschera di Pulcinella ai piedi della bara. Questo è il paese di Pulcinella, e la sua morte rappresenta non solo quella del paese, ma della grave crisi del teatro che lo sta portando verso un disfacimento totale.

Uno spettacolo enigmatico, delirante, visionario, oscuro, ambiguo e onirico. Una sfida alla logica e la cui visione cattura e coinvolge lo spettatore che fin da subito rinuncia ad una visione passiva e inizia a produrre interpretazioni possibili. È qui che il teatro diventa una satira feroce. È qui che il teatro diventa azione sociale. Siamo di fronte all’Otto e mezzo di Cerciello (e il paragone con Fellini non è casuale, maestro italiano che ha meglio identificato cinema e sogno, qui teatro e mefistofelico sogno). È uno spettacolo in cui le sue idee sembrano trovare compimento in una forma definitiva di un vasto discorso fatto di divagazioni teatrali, surrealismo, trascendenza, psicoanalisi e soprattutto critica alla doppia società: umana e dello spettacolo. È uno spettacolo che fa a pezzi la convenzione fossilizzata del teatro non solo napoletano.

Bordello rappresenta una specie di rivoluzione copernicana: uno spettacolo che fa dell’intuizione, e non solo della deduzione, il suo più grande mezzo di coinvolgimento.

La bellezza dello spettacolo va oltre la semplice complessità che la distingue: basti pensare all’intensità di alcune scene, che riescono a suscitare emozione nel modo più spontaneo, senza ricorso a modalità canoniche, come il pianto di Imma Villa, autentico lirismo; alla straordinaria prova attoriale di Fulvia Carotenuto capace quasi di trasformarsi a livello fisico nella sua interpretazione, alla sensualità divina di Cristina Donadio fino alla popolana carnalità di Ivana Maione, al grottesco di Lello Serao.

E mentre lo spettacolo si sta chiudendo sulle miserie di tutti, ecco anche compiersi l’omaggio di Moscato e di Cerciello a Ruccello, di cui quest’anno si commemorano i trent’anni dalla sua scomparsa: il virgiliano giornalista prende il quadro, lo depone sulla bara e declama versi di Emily Dickinson, meglio nota come la poetessa dell’immortalità.

Perché immortale resterà sempre e per sempre il suo teatro.

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Le foto di scena sono di Andrea Falasconi

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