Lidia Lombardi
Storia di una giornata particolare

Gita di ferragosto

Da Roma a Siena alle Alpi, oggi tutta l'Italia si riposa, mangia, qualcuno va in processione e prega. È il rito consueto, secolare, del ferragosto fatto di devozione e cocomeri

Un segno italianissimo del Ferragosto, la festa dell’ubriacatura estiva prima del ripiegamento autunnale (ahimé fatto di scadenze, tasse, imposte, spese per l’istruzione dei figli, città intasate di immondizia, buche e macchine)? Beh, il più paradigmatico di un Bel Paese tra sacro e profano, campanilistico eppur osannato dal turismo internazionale, furbo, rissoso e pacioccone è in questi giorni nel Duomo di Siena. La maggior chiesa della città toscana è dedicata a Maria Vergine che sale in cielo e viene pavesata con tutte le bandiere dei rioni alla vigilia del maggior Palio, appunto quello dell’Assunta, che si corre il 16 agosto.

Riti, Avemarie, colori medievali e ferocia popolare, nella corsa forsennata dei cavalli, mentre la storia della città e della Divina Bellezza, esito del Buon Governo, viene ripercorsa da un video-mapping in 3d proiettato su triplice schermo allestito sulla facciata del Duomo Nuovo, esperimento unico e suggestivo. Pur se, a dirla tutta, basato sull’utopia macroscopica della Pace mentre Isis ed imitatori incutono tanta paura da imporre la clausura dentro il proprio orticello.

Dunque Ferragosto de noantri, sulle spiagge con la sabbia sgualcita dalle turbe di bagnanti, che recano nelle enormi buche riempite di legni bruciacchiati il segno dei falò notturni della vigilia e che si svegliano nella caciara dei gavettoni, nell’armeggiare di coltellacci che trafiggono giganteschi cocomeri al grido di “daje ch’è rosso”.

Gli occhi saranno stanchi per la nottata passata a guardare il cielo screziato di fuochi d’artificio che, nonostante Nizza, avranno illuminato il mare da duna a duna. Polpacci e cosce sono indolenziti per il trekking di montagna, spesso un pellegrinaggio a una cappella d’alta quota, come ce ne sono in Trentino. In cento e cento paesi ci si infilerà nelle processioni dette dell’Inchinata, allorché il popolo si genuflette al cospetto della Vergine, che non solo è nata senza la macchia del peccato originale, ma non muore, piuttosto sale in cielo contornata da fasci di luce e da un girotondo di angeli, come nei dipinti di Tiziano e di Mantegna. È, il giorno dell’Assunta, una sorta di atto conclusivo della vita terrena di Cristo, crocifisso e risorto a Pasqua, ricomparso agli Apostoli increduli, infine asceso al Padre: eccolo raggiunto lassù, il 15 agosto, dalla Madonna, un portento che la consacra come la più santa delle donne. Tutto lo Stivale è percorso dai riti dell’Inchinata. Avviene nella provincia di Roma, per esempio ad Arsoli, che domina la valle dell’Aniene ed è dominata dal Castello dei principi Massimo, devoti a San Filippo Neri. Qui l’Inchinata porta in strada antiche macchine processionali e si tiene il 14 alle 21 con replica la mattina di Ferragosto. A Gerano è intitolata a Santa Maria Assunta la chiesa arcipretale, voluta nell’anno del Signore 1077 dall’Abate Giovanni e ampliata nell’Ottocento da quell’architetto Valadier che a Roma regalò Piazza del Popolo.

La devozione che ha inglobato nel cristianesimo le pagane “feriae augustae” si scioglie poi negli auguri e nella baldoria. Festeggiano le mille e mille Assunte di tutta Italia, diventate Assuntine, Tine e perfino, snobisticamente, Susy. Sulle tavole di mezza Italia si servirà il piccione arrostito, su quelle romane impererà il pollo coi peperoni, un tripudio di colori col rosso del pomodorino, il giallo e verde delle verdure. Lo avranno preceduto – alla faccia della nouvelle cuisine – le fettuccine ai fegatelli, lo seguirà una insalatina acetosissima, come la voleva Aldo Fabrizi, “pe’ sciacquasse la bocca”. Anguria e affogato al caffè faranno il resto e si finirà in gloria con la pennica o, quando il pomeriggio avanza, con la partitella a calcetto sui prati o sul bagnasciuga.

Ma non è finita. Il giorno dopo, se a Siena c’è il Palio, dalle Alpi alla Sicilia si prega San Rocco, col suo cane mansueto, protettore dalla peste. Bella la statua nella cappella di Fiumefreddo Bruzio, il borgo calabrese affacciato sul Tirreno. Suggestiva la cappella bianca su uno sperone di roccia a Cervara, il comune più alto della provincia romana con i suoi 1043 metri d’altezza. A Venezia frotte di visitatori varcano il portone della Scuola Grande di San Rocco, che raccoglie il ciclo massimo di dipinti del Tintoretto commissionato al visionario artista dalla più potente confraternita.  A Roma si spalanca la chiesa dedicata a questo aureolato, di fronte all’Ara Pacis.

Dopo i bagordi ferragostani pare che l’estate cominci il suo declino. Tutti a casa, a rimuginare su passato e futuro.

Facebooktwitterlinkedin