Ilaria Palomba
Una raccolta fuori dal comune

Poesia performance

«Miles, poesie in presa diretta» di Claudio Marrucci è un testo molto particolare in quanto scaturito direttamente dal Festival di Performazione Nostos: tra parole e azione

Miles, poesie in presa diretta di Claudio Marrucci (Fusibilialibri, 2016, pp. 77, euro 13), è un testo molto particolare in quanto scaturito dal Festival di Performazione Nostos, organizzato dall’artista-attore-performer Antonio Bilo Canella, nel contesto del Festival Line 0 presso La Rampa Prenestina, nel febbraio 2015. Ero personalmente presente all’evento e ricordo il clima di connessione e innesto tra le arti. Si è trattato di tre giorni di improvvisazione totale in cui attori, performer, scrittori, pittori, danzatori si lasciavano influenzare l’un l’altro e ciascuno improvvisava sull’onda dei contenuti proposti dall’altro. Il libro di Marrucci dunque nasce immerso nel liquido amniotico della creazione dal nulla, del vuoto che si riempie di parola, dell’interconnessione con il sentire di altri. È una performazione della parola. La performazione è un’arte del vuoto, ovvero ha a che fare con il tirare fuori qualcosa dal nulla, l’attesa che qualcosa si manifesti e, nel momento in cui si manifesta, è simile a un rito dionisiaco, una forma di teatro sacro all’Antonin Artaud, iniziazione e catarsi. Potrebbe essere recepita come una via di mezzo tra teatro e performance art, ma, kantianamente, senza concetto. E così arrivano le poesie di Claudio, come un getto di fuoco, energia primordiale, sensazioni intime, senza concetto.

Io sono questa luce che ti sfiora e ti accarezza.
Io sono questo mare rosa che ti avvolge.
Io sono il rosso delle nuvole che ogni notte sprofonda all’orizzonte.
Io sono il riflesso della tua assenza, la solitudine del tuo meriggio, la nostalgia delle tue labbra.
La mia parola invoca e dalla profondità dello spirito, costruisce un castello dorato che domina boschi, armenti e campi arati.
Per favore, non trasformiamolo, in una prigione di marmo.

Miles, poesie in presa diretta di Claudio MarrucciÈ qui la forza del testo, essere jazz, ritmo, musica, suono, parola che si fa corpo, colore che investe di sé il mondo. Ci sono le pulsioni estreme, l’amore che sfugge e non s’afferra, la potenza del mito, la bellezza degli istanti che corrono. Non per altro nella postfazione la danzatrice Maria Concetta Borgese scrive: «Il criterio estetico dell’unità dei diversi, ereditato dai greci, sembrò soddisfatto nella supremazia della transizione – che oggi possiamo chiamare struttura – secondo la quale in tutte le esperienze estetiche ogni parte procede dalla precedente; testimonianze ne furono la progressione logica adottata nelle tragedie, ma anche nei balletti, o la simmetria delle masse nell’architettura classica».

La citazione iniziale di Miles Davis recita: «Se una musica ti fa muovere i piedi e la senti lungo la schiena non devi chiedere a nessuno se è una bella musica oppure no.» E l’altra, di Basquiat: «Non so come descrivere il mio lavoro, non è mai la stessa cosa. Sarebbe come chiedere a Miles Davis: “Com’è il suono della tua tromba?”». È proprio la spontaneità dell’atto creativo a emergere in questi versi che rimandano costantemente a un altrove, pur restando pienamente piantati in un dentro, dentro la carne, dentro i colori, dentro i corpi e le digradazioni dei toni e gli impeti dei movimenti, in un piano che è sempre di trascendenza immanente, estasi del gesto, incarnazione di un sentire insieme personale e universale.

L’arabo infelice
commenta felice,
l’infelicità dei suoi ardori:
– Lei non tornerà.
Adesso sta con me,
non so per quanto,
in fondo, l’ho amata tanto – .

Le sezioni in cui si articola il testo sono tre: Kind of Red, Kind of Yellow, Kind of Violet, rispettivamente ispirate alle tre giornate di performazione. Le tinte forti, talvolta fortemente erotiche e vitalistiche della prima sezione si legano a quelle dolci e melanconiche della seconda, di viaggio, partenza, abbandono ma anche ritorno, per giungere infine alla terza, in cui a predominare è l’oscurità, l’attesa, il silenzio, che si conclude poi con un ritornello, un rito, un canto, ma anche una preghiera.

Cosa di lupo, coda di volpe
la tua lingua mi spinge alle corde.
Cosa di lupo, coda di volpe
le tue mani abbracciano dolce.
Cosa di lupo, coda di volpe
oggi è amore ma domani sarà morte.

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