Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Stefano Simoncelli

Il rischio dell’amore

Dall’apprendistato nella gloriosa rivista “Sul porto”, alle collaborazioni con Benzoni e Sereni, Caproni e Pasolini, all’ultima raccolta dove sempre di più si configura una poetica autentica nel suo schierarsi dalla parte degli “ultimi”

Stefano Simoncelli, autore schivo e appartato, ha al suo attivo le sillogi Poesie d’avventura (1989), Giocavo all’ala (2004), La rissa degli angeli (2006) e Terza copia del gelo (2012). L’ultima raccolta, edita da Italic Pequod nel 2014, si intitola Hotel degli introvabili (160 pagine, 15 euro). Simoncelli aveva esordito nel 1981, con Via dei Platani, nel quaderno collettivo di Guanda che raccoglieva i tre poeti che facevano capo alla rivista Sul Porto. Pubblicata tra gli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta con la collaborazione del compianto Ferruccio Benzoni e Walter Valeri, la rivista si configurò, fin da subito, come una delle espressioni culturali più vivaci della provincia, tesa a conciliare un assunto poetico di stampo antiaccademico con importanti riflessioni di matrice socio-politica.

Il dettato di Simoncelli con gli anni ha acquisito una sorta di sabiana “scontrosa grazia”, resa più stridente dal fatto che i temi trattati rimandano spesso al distacco dalle persone care. Sempre in bilico tra eros e thanatos, la poesia di Simoncelli si delinea infatti come un lancinante canzoniere d’amore, vissuto sull’onda di una “memoria incessante” di ascendenza ungarettiana che cerca di carpire al nulla qualche lacerto di sopravvivenza.

Soprattutto nell’ultima raccolta si è palesata la tendenza di Simoncelli a orientarsi sempre più in direzione di un dettato prosastico che risente di un vissuto in cui gli esiti criptici che ammorbano tanta nostra poesia contemporanea sono banditi a favore di un’autenticità che si palesa nelle figure degli “ultimi”, degli emarginati, siano essi extracomunitari o stravaganti personaggi che affollavano un tempo le strade della nostra provincia.

cop SimoncelliDurante il periodo di apprendistato della rivista Sul Porto da lei curata con Ferruccio Benzoni e Walter Valeri in quel di Cesenatico, si sono stabiliti proficui contatti di collaborazione con intellettuali del calibro di Fortini, Sereni, Raboni, Pasolini, Bertolucci, Caproni e Giudici. Qual è la figura che ricorda con maggior trasporto?
Mi verrebbe da rispondere: tutti quanti, perché ognuno di questi grandi poeti mi ha dato qualcosa di importante, decisivo, profondo e indissolubile. Vorrei qui ricordare alcune circostanze ed episodi. La notte in cui ho accompagnato Caproni alla stazione di Bologna a vedere i treni e il ritorno sotto i portici di via Indipendenza fino all’Hotel Roma dove alloggiava. Aveva appena vinto il premio Gatti con Il muro della terra. Le passeggiate con Giovanni Raboni per via Buenos Aires fino a un bar di cui non ricordo il nome dove prendevamo un tè parlando soprattutto di calcio. Le volte in cui l’altro Giovanni, Giudici, mi veniva a vedere e tifava ai tempi in cui “giocavo all’ala”. Conservo come una reliquia una fotografia in cui sono in accappatoio e Giovanni mi è seduto accanto. Mi chiedo ancora come ci sia finito su quella panca di spogliatoio e chi ce l’abbia scattata. Le visite indimenticabili a Pasolini a Roma, in via Eufrate, e a Chiaia. Gli incontri con Fortini in via Legnano prima dell’uscita di ogni numero di Sul Porto. Leggeva i testi, ci catechizzava e poi finivamo alla Mantovana, un ristorante nei paraggi dell’Arena che purtroppo non esiste più. Ma la figura che ricordo con maggior trasporto, con amore vorrei dire, è senz’altro Vittorio Sereni. È sufficiente leggere l’epistolario tra noi di Sul Porto e questo grandissimo poeta pubblicato da San Marco dei Giustiniani con il titolo Miei cari tutti quanti… per capire quanto profonda, sincera, disinteressata, magica, insostituibile e, per un certo verso, inspiegabile sia stata la nostra amicizia. Gli ho voluto e gli voglio un bene sconfinato.

Lei è stato uno degli amici più intimi del poeta Ferruccio Benzoni di cui l’anno prossimo ricorre il ventennale della morte. Può brevemente ricordare la sua figura?
Ricordare “brevemente” Ferruccio Benzoni per me è impossibile. Mi limito a dire che senza di lui non avrei mai scritto un verso e Sul Porto non sarebbe nato. Insomma: se non lo avessi incontrato la mia vita sarebbe stata certamente diversa e soprattutto molto più povera di umanità e poesia. Aggiungo che è una vergogna, di cui qualcuno in futuro dovrà rispondere, il fatto che i suoi libri siano ormai introvabili. Le nuove generazioni che si avvicinano alla poesia hanno il diritto di conoscere e studiare Benzoni. L’importanza e l’altezza della sua opera meriterebbero senz’altro un Oscar, ma si sa come vanno le cose editoriali in questo paese orrendo, come direbbe Pasolini.

Dopo la pubblicazione della raccolta Giocavo all’ala nel 2004 si è intensificata la sua produzione poetica. A cosa pensa sia dovuto?
Dopo l’uscita nel 1987 del libro Poesie d’avventura, fortemente voluta dall’amico Enzo Siciliano che dirigeva per l’editore Gremese la collana «Gli spilli», sono caduto in una lunga, gelida e onnivora depressione. Inutile elencarne qui i motivi. Posso appena dire che leggevo soltanto libri gialli, giocavo a scacchi per ore e che non ricordo quasi niente di quei quindici anni. Questo fino all’aprile del 2000 quando, dopo una lunga e tremenda malattia, è morta mia madre. Credo che quella perdita insostenibile mi abbia spinto a cercare un motivo di sopravvivenza nella poesia: ero un naufrago che tentava di aggrapparsi a un relitto per non affogare in un mare di dolore immenso e sconosciuto. Così, con molta fatica, ho ripreso a scrivere e sono nate le poesie per mia madre che si trovano in Giocavo all’ala. Ancora una volta è stato Enzo Siciliano, che per tutti quegli anni non mi aveva mai fatto mancare la sua amicizia, a spingermi alla pubblicazione presentandomi a Marco Monina e Antonio Rizzo della Pequod di Ancona, che sono diventati miei fratelli. Da quel momento è cominciata ad affluire e a prendere forma dentro di me una cascata inarrestabile di parole che si sono concretizzate in due libri: Terza copia del gelo e Hotel degli introvabili.

Quali differenze intercorrono fra la situazione poetica degli anni Settanta/Ottanta e l’attuale?
Le differenze sono enormi. Negli anni Settanta/Ottanta in Italia scrivevano e pubblicavano grandi poeti come Montale, Sereni, Luzi, Caproni, Bertolucci e Zanzotto. Mi piace, per immensa stima e amicizia, aggiungere anche il nome di Alfonso Gatto. In più Sereni dirigeva lo Specchio di Mondadori e questo era una garanzia di serietà, massima competenza e giusta meritocrazia. Bisogna soprattutto aggiungere che a quei tempi esisteva una critica molto attenta e carismatica (su tutti Contini) in grado di creare delle gerarchie vere, pulite e sacrosante. Oggi non è più così purtroppo. La critica la esercitano i poeti più affermati e agguerriti (nel senso di carriera) recensendosi l’un l’altro, premiandosi a vicenda, pubblicandosi nelle case editrici più prestigiose, e così facendo hanno creato una specie di cupola imperforabile che ha danneggiato, secondo il mio modesto parere, la loro poesia e compromesso quella delle generazioni successive. A questo punto voglio essere un’altra volta provocatorio e dire che i poeti più necessari e determinanti di questo inizio millennio pubblicano in case editrici di seconda e terza fascia. Due nomi su tutti: Alessandro Ceni e Adelelmo Ruggieri. Chi li conosce? Qualche addetto ai lavori forse, ma poi il vuoto assoluto.

Quali sono i suoi autori di riferimento?
Mi considero un trasversale e non ho veri autori di riferimento. Ho certi libri che mi sono rimasti dentro e non mi hanno più abbandonato. Spesso sono libri che non hanno niente o poco a che vedere con la mia poesia, ma se devo fare per forza dei nomi dico Luciano Erba e Pier Carlo Ponzini.

Lei vive e opera in provincia. Quali sono al riguardo vantaggi e svantaggi?
La provincia non esiste più. Quando abbiamo creato Sul Porto si potevano toccare con mano molte diversità sostanziali che abbiamo cercato di marcare preferendola alla città e raccontandola sulla nostra pelle. Oggi un nuovo Sul Porto non sarebbe più possibile in quanto tutto è globalizzato e assorbito da una specie di entropia che ha degradato e annullato ogni differenza. Posso soltanto dire che ho scelto da sempre di vivere appartato e lontano, molto lontano, dal mondo editoriale e letterario italiano.

A cosa sta lavorando attualmente?
Monina e Rizzo della Pequod mi hanno chiesto di preparare un’antologia delle mie cose più significative in quanto i libri sono ormai esauriti e introvabili. Credo che uscirà nel 2017 con la postfazione dell’amico Massimo Raffaeli.

Può commentare la poesia inedita che qui presenta?
Ho scelto una poesia d’amore in quanto scrivere d’amore è la cosa più difficile essendo l’amore difficile. Mi sembra che l’abbia detto Rilke, ma sono convinto che in poesia come nella vita bisogna avere il coraggio di rischiare.

 

Stefano Simoncelli

Passione postuma

Cercavo di invecchiare con cura

e molta parsimonia. Cercavo

non ricordo più che cosa

bufera dopo bufera

nella rovinosa avanzata degli inverni.

 

Può darsi che desiderassi ibernarmi

e la neve cancellasse le mie tracce

clandestine sul fango dei giardini,

ma mi ritrovo contro un muro,

un altro muro e poi una piazza

 

o il rimpianto di una piazza

e più avanti una galleria

attraversata da ombre

incappucciate di gabellieri o monatti

che una di queste notti mi trascineranno via,

 

sempre e soltanto qui a respirare l’aria

che hai respirato mentre passavi

per caso o per sbaglio.

Stefano Simoncelli

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