Ilaria Palomba
A proposito di “Un tango per Victor”

Il tango di Pinochet

Lorenzo Mazzoni ha costruito una storia d'amore e di precarietà interiore che mescola il Cile e l'Europa mettendo a confronto la Storia con l'attualità

Un tango per Victor, pubblicato per la prima volta da La carmelina-linea Bn edizioni nel 2007 e ripubblicato ora da Edicola (2016, pp. 103, euro 11), di Lorenzo Mazzoni, è un romanzo breve. Il protagonista, Denil, è un italo cileno trapiantato ad Amsterdam, dove di giorno lavora in un coffie-shop e di notte fa il dj rock. Il testo è costellato da una sferzante colonna sonora che va dai Beatles ai Traffic, passando per i The Animals e gli Stooges e molti altri miti degli anni trascorsi. Denil ha uno zio di nome Victor, scappato dalla dittatura cilena e amante di Victor Jara, che nella vita avrebbe solo voluto uccidere personalmente Pinochet e non si è mai perdonato di non esservi riuscito. Costui è un personaggio interessante, rappresenta per Denil il legame con un passato personale e storico che lui non conosce ma da cui è costantemente chiamato. Nella vita del protagonista entrerà repentinamente un altro tipo di musica: il tango, attraverso una misteriosa e affascinante tanghera di nome Julia, che in pochi giorni gli sconvolgerà l’esistenza.

È un libro che si vorrebbe non finisse mai perché racconta una certa realtà precaria geograficamente, storicamente e sentimentalmente, in cui molti al giorno d’oggi possono immedesimarsi. È scritto in modo fluido, con un linguaggio che scorre come musica. In alcuni passi vi sono delle riflessioni molto attuali proprio sul concetto di precarietà, per non parlare degli affascinanti quanto sofferti racconti dello zio Victor, che narra il Cile prima e dopo Pinochet, un paese in principio libero devastato da una dittatura feroce.

Un tango per VictorAl di là della musicalità delle parole e delle interessanti digressioni storiche e sociali, d’altronde non sono esattamente digressioni poiché perfettamente inserite nella cornice narrativa attraverso i dialoghi o le riflessioni personali del protagonista e degli altri personaggi, quel che colpisce è la purezza con cui sono descritti i sentimenti. Forse Denil è in un certo senso un ragazzo di un tempo altro, legato a un’immagine dell’amore meravigliosamente innocente. Proprio per questo, come tutte le persone pure, è destinato a soffrire. Accade a un certo punto che la donna di cui s’invaghisce debba fare una scelta, la classica scelta tra travolgimento e stabilità. È un momento, quello, molto vero del romanzo e oserei dire universale. Là dove i sentimenti conducono a un bivio, e non c’è modo di tornare indietro. Là dove la bellezza effimera dell’innamoramento, quel sentire estremo, che è in qualche modo un tornare fanciulli, lascia il posto ai meccanismi del mondo. Universale bivio in cui la maggior parte delle persone solitamente sceglie la stabilità. Denil è in qualche modo un eroe della spensieratezza, e della purezza in ogni sua forma, a partire dalla musica.

Ci sono altri personaggi caratteristici, come il santone rasta che ogni lunedì mattina, mentre fuma una canna, dice l’oroscopo al protagonista, oppure l’opulenta Mahulena, che fa il gioco dell’alfabeto con i pretendenti, mai sazia di avventure erotiche. La leggerezza e l’ironia sono sapientemente alternate a momenti di grande intensità emotiva. Un libro che si legge con piacere e insieme stimola riflessioni importanti sul tempo presente, senza dimenticare mai la Storia e le sue tracce.

«Zio Victor e Julia hanno ripreso a parlare. Lui ha la sua chitarra in grembo.
– Allende ha rappresentato il nobile tentativo di emancipazione delle classi più deboli dalla miseria e dallo sfruttamento. Il sogno di una società senza classi e senza padroni… ehi, ecco che arriva il nostro musicalizador! Bravo Denil, bella serata! Vieni, vieni qui con noi! – mi dice zio Victor battendo il palmo della mano sulla sedia vuota che divide lui da Julia. – Stavo parlando a Julia, vi conoscete, no? di Allende e dei gloriosi giorni della Unidad Popular.
– Doveva essere molto bello – dice Julia guardandomi mentre mi siedo accanto a lei, – Ciao – mi sussurra, con un sorriso.
– Ciao.
– Sì, il Cile di Allende era meraviglioso. Era la speranza… finché non sono usciti i porci dalle gabbie portandoci l’oscurità – sospira zio Victor, osservandoci serio – Perché l’11 settembre del 1973 è calata la notte sul Cile ed è iniziato il genocidio. Coi preti che benedivano il macello e il Generale con gli occhiali scuri seduto in tribuna d’onore allo stadio di Santiago. I soldati che perquisivano la gente per strada, i fucili a canne mozze piantati nei denti dei passanti, le porte sfondate delle abitazioni, gli studenti contro il muro, le ragazze trascinate da camionette… è calata la notte sul Cile, tanto tempo fa…
– Anche sulla mia innocenza – è la voce di Julia, mi volto e ha gli occhi lucidi».

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