Jolanda Bufalini
Il caso Roma (in vista delle elezioni)

Salviamo la politica!

Perché un'intellettuale con una storia ricca e limpida, decide di prendere il cammino della politica dal basso? Perché il vero cambiamento non nasce dalla tabula rasa, ma si costruisce attraverso la formazione delle persone e la condivisione degli ideali

Il 2013, l’anno in cui a Roma Ignazio Marino diventò sindaco, fu un anno incredibile per la capitale d’Italia. Eventi di portata mondiale o anche solo nazionale che la hanno toccata nel profondo: si dimise il papa, Vatileaks era alla sua prima puntata, Pierluigi Bersani perse incredibilmente le elezioni, il Parlamento in seduta congiunta impallinò Romano Prodi. Giorgio Napolitano salì per la seconda volta, da presidente, al Quirinale. Evento senza precedenti come le dimissioni del pontefice. Circostanze epocali di cui il ventre cinico e antico, abituato a convivere con istituzioni millenarie, della Capitale, non sembra essersi accorto. Alle politiche, fra non voto e voto a Beppe Grillo, il 50 per cento dei romani si espresse “contro”. Questo sì, il dato numerico, fu notato e ne nacque la candidatura del “marziano” per dare un segno di discontinuità. Ma fra il ventre della città e il marziano non si è mai stabilito un circuito, un metabolismo sano.

Lo shock non è stato “Mafia capitale” perché, come diceva Pasolini, “io so”. Lo shock è stato lo tsunami che si è abbattuto su Roma e sulle sue istituzioni rappresentative, democratiche, come si trattasse di capanne costruite su palafitte e non di palazzi di pietra vegliati da padri fondatori del diritto, della cultura, della politica, della storia. Un vento forte ha iniziato a soffiare e ci ha tolto il diritto di parola, mentre la cultura salda da cui proveniamo dovrebbe distinguere fra esercizio della magistratura e uso strumentale delle inchieste. Siamo stati tutti commissariati, nell’amministrazione con il prefetto Tronca, nel partito di maggioranza, il Pd, con Matteo Orfini. Si è spento ogni dibattito pubblico sui problemi, sulle speranze, sulle possibilità di cambiare. Soprattutto si è chiusa la discussione sulle possibilità di convivenza di interessi diversi, di pubblico e privato, di nativi e immigrati, di sperimentazione sotterranea e di cultura della legalità. Il pensionato e l’artigiano affittuari di un immobile del comune trattati dai media come fossero quel ministro che non sapeva di aver comprato un appartamento con soldi di altri. Il teatro di Giancarlo Sepe, che ha sede da 44 anni in uno scantinato di Trastevere, considerato come un immobile di lusso e messo sotto sfratto. Come se nel centro storico di Roma dovesse valere solo la legge del mercato. Una Disneyland per ricchi che giostra intorno al Colosseo.

Certo, lo so che la giostra c’è davvero, camion bar dei Tredicine e gladiatori, sine cura a personaggi sempre verdi e piccole o grandi corruzioni negli uffici. Il punto è che non credo che la tabula rasa serva a cambiare verso il meglio. Ce lo dice l’esperienza più che ventennale da Mani pulite in poi: tutto si corrompe se non c’è progetto sostenuto da un essere parte, a difesa dei deboli, e dall’etica pubblica, se al centro non si mette l’interesse pubblico come spazio di convivenza. La mala gestione ha infettato tutto e ha prodotto un mostro che si morde la coda. Facciamo l’esempio del verde pubblico a Roma: tutti ci lamentiamo dello stato di abbandono dei giardini, delle sterpaglie alte e pericolose. Sappiamo ma dimentichiamo che l’ex assessore all’Ambiente, Estella Marino, ha interrotto gli affidamenti alle cooperative che facevano capo a Buzzi, ha indetto nuovi bandi che, se va bene, consentiranno di attivare il servizio a giugno. Penso che abbia intrapreso questa strada con convinzione ma, se non lo avesse fatto, sarebbe stata scorticata viva per aver prolungato i contratti alle coop di mafia capitale. È il cane che si morde la coda, mentre nessuno fa la domanda vera: perché un bando deve stagionare tanto a lungo? Quanti passaggi, quanti controlli, quante firme e commissioni esaminatrici, quante difficoltà a formare le commissioni?

Veniamo a me. Sono candidata nella lista civica che sostiene la presidente del Municipio 1 di Roma (Centro storico, Prati, Esquilino, Monti, Celio, Testaccio, Trastevere). Un amico a cui ho mandato la notizia via e mail, mi ha risposto: “Hai scelto di tuffarti nella tempesta”. Effettivamente sì, ho volentieri accettato la proposta della presidente del Municipio Sabrina Alfonsi, di fare parte della lista civica che la sostiene, dopo una vita certo non lontana dall’impegno ma esercitato sinora attraverso la scrittura, il giornalismo. L’ho fatto per due ragioni fondamentali, la prima è che nel 2013 sono stati eletti nei municipi di Roma giovani donne e uomini preparati, che hanno ben lavorato in condizioni difficilissime. Queste persone costituiscono una rete democratica e civile, vicina ai problemi dei cittadini, ispirata da valori di solidarietà, che si è misurata e si misura con le difficoltà di governo dell’amministrazione e le sue necessità di riforma. Come dicevo sopra, non credo che il vero cambiamento possa nascere dalla tabula rasa, il cambiamento si costruisce attraverso la formazione delle persone e la condivisione degli ideali, la conoscenza e le capacità tecniche al servizio dell’interesse pubblico. La seconda ragione è che la lista civica, che non è apparentata con liste del Campidoglio, rappresenta uno strumento di rinnovamento della politica nel legame con un progetto territoriale. Candidate e candidati della lista civica, se saranno eletti, si impegnano a rinnovare il modo di lavorare nel consiglio municipale, esaminando nel merito progetti e proposte, senza far prevalere logiche di appartenenza e convenienze del momento.

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