Luca Fortis
Un ricordo personale di Marco Pannella

Il mantra della libertà

Un militante del Partito radicale ricorda gli anni trascorsi al fianco del suo leader che coltivava il culto della diversità, difesa a tutti i costi, senza paura e senza infingimenti. Più che un'esperienza politica, una scuola di vita

Una cosa è certa, la morte di Marco Pannella rappresenta, per me, la fine di un’epoca. Questo non vuol essere un ricordo politico, ma strettamente personale. Iniziai a frequentare il mondo radicale dodici anni fa, quando ero ancora all’università. A forza di dire a un amico radicale che il suo partito avrebbe dovuto fare questo o quello, lui mi disse: «ma perché non lo vieni a dire in associazione?».

Erano gli anni del referendum contro la legge 40 sulla fecondazione assistita. Iniziai con i tavolini per raccogliere le firme e dopo due mesi ero già nella segreteria dell’Associazione Radicale Enzo Tortora di Milano. Ai congressi nazionali, come a quelli cittadini, trovavi seduti uno accanto all’altro ex terroristi, di sinistra, come di destra, economisti, marchettari, ragazzi di buona famiglia, come delle periferie, monaci buddisti, preti, prostitute, manager o ex carcerati. Tutti hanno sempre avuto lo stesso valore. Questa fu la prima sensazione che ebbi del mondo di Marco Pannella.

Piano piano cominciai a conoscere meglio anche i radicali romani e del resto d’Italia. Una delle cose che più mi colpirono fu che più che un partito politico i radicali sembravano una scuola di vita. C’era chi faceva politica e molti che semplicemente vivevano da radicali. Si tratta di un mondo che ha una precisa filosofia e scuola di pensiero, quella libertaria. Molte delle persone che lo frequentano hanno spesso un fuoco dentro e una storia personale che le hanno portate a cercare un mondo in cui la loro specificità non li facesse sentire diversi. Spesso si dice che, se si mettono insieme dieci ebrei, si avranno undici idee diverse, lo stesso vale per i radicali. Pannella ha sempre coltivato questo.

Pur essendo stato un leader dai tratti anche forti, ha sempre saputo circondarsi da mille diversità. Chi frequentava un congresso radicale, non essendo del partito, poteva trovare le assisi anche rissose o complicate da seguire, ma era proprio questo culto della libertà che portava e continua a portare a scontri spesso biblici, che hanno sempre fatto parte della liturgia dei radicali. Un po’ come quando tra amici si discute di politica urlando, ma in fondo è solo un modo di fare. Un altro degli insegnamenti di Marco che ho sempre apprezzato è stato quello di collaborare con gli avversari, se si è d’accordo con loro su un specifico punto, senza che questo indebolisca la lotta politica sui punti su cui non si è d’accordo. I radicali hanno sempre fatto battaglie con l’associazionismo cattolico a favore del miglioramento delle condizioni dei carcerati, per poi combattere politicamente le stesse associazioni su temi come l’aborto.

Un altro mantra radicale che mi ha sempre affascinato è quello che perfino il peggior criminale abbia diritto a una difesa. La mia personale impressione di questo mondo è che mi ha sempre costretto a pormi domande, a difendere libertà che magari non condividevo o a combattere alcuni dei peggiori istinti, tipo buttare la chiave della cella, senza alcuna possibilità di redenzione, nel caso qualcuno appaia chiaramente colpevole. Pasolini disse nel 1975 a un congresso dei radicali: «Dunque, bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. È ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche – ed è tutto dire – di fascisti». Queste parole penso esprimano meglio di tutto le battaglie di Pannella.

Da quando ho cominciato a lavorare come giornalista ho continuato a frequentare questo mondo, pur non avendo più alcuna carica politica, perché ha sempre continuato a nutrire la mia mente, sia con idee che con persone. Questo rappresenta il più grande regalo che Marco Pannella mi ha fatto.

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