Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Se Vespa fosse…

...se fosse americano, sarebbe stato subito sospeso. ...se fosse una persona seria, si sarebbe dimesso. Perché la tv pubblica non è il luogo giusto dal quale la mafia possa lanciare un messaggio alla magistratura

«S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo…» scriveva l’arrabbiato poeta senese Cecco Angiolieri alla fine del ‘200. E per tutti auspicava sventure da parte della natura, di papi, imperatori, perfino di Dio; sventure che si sarebbero dovute abbattere sul mondo e perfino sui suoi genitori. Ma c’era quel prezioso se… che ipoteticamente lo separava da un reale che non sarebbe mai caduto vittima delle sue ire. Sicuramente non giustificate. O perlomeno eccessive rispetto alle colpe commesse dalle sue potenziali vittime.

Eppure ci sarebbe di che essere furiosi dopo l’intervista di Bruno Vespa al figlio del capo dei capi della mafia siciliana, Totò Riina, nella sua trasmissione Porta a Porta. O forse ci sarebbe motivo di che auspicare per lui almeno una delle tremende punizioni invocate dal poeta senese. O forse, senza essere così estremi, basterebbe dire che se il nostro fosse un paese civile dove l’informazione è indipendente e libera ci sarebbe da aspettarsi che quello che si definisce un professionista, riuscito a passare indenne attraverso molte e diverse legislature senza mai «sporcarsi le mani», si dimettesse. O che la Rai, la televisione di servizio pubblico, lo sospendesse. Eppure niente di tutto ciò.

Perché questa volta l’ha fatta davvero troppo grossa. E non bastano i paragoni impropri che Vespa invoca citando alcuni suoi grandi colleghi come Santoro, Biagi, o Marrazzo che hanno intervistato rispettivamente il figlio di Ciancimino, Sindona, Liggio, Piromalli, Cutolo o altri capi mafiosi, camorristi, banchieri corrotti. Personaggi che, nel suo arrogante delirio, Vespa peraltro accomuna ad alcuni terroristi intervistati dagli stessi giornalisti, adducendo come scusa il fatto che anche in questi casi c’è stata mancanza di rispetto nei confronti dei parenti delle vittime. Perché questo non è il punto. Intanto confonde due tipi di crimini completamente diversi contribuendo a quel clima di «notte in cui tutte le vacche sono nere» che certo non aiuta a definire meglio il suo peccato e che, non a caso, il figlio del boss mafioso usa quando dice che «la mafia è tutto e non è niente». Non mi soffermo sulle differenze tra le organizzazioni criminali mafiose e quelle terroristiche perché troppo evidenti e perché il paragone non aiuta a definire il peccato di Vespa. Anzi.

Perché il nocciolo di cui si sta parlando sta proprio nelle parole che Roberto Saviano dai microfoni di Che tempo che fa di Raitre ha spiegato in modo assai chiaro ed esauriente. Lo scrittore infatti facendo un’analisi puntuale e precisa su temi sui quali nessuno lo batte, analizzando parola per parola l’intervista, ha affermato che quello è stato un palcoscenico per Riina jr. per mandare un messaggio chiaro ed inequivocabile non al pubblico (e dunque non c’era nessun intento informativo nell’intervista e non c’era neanche un problema di share), ma ai giudici e a Cosa Nostra. Gli intenti che Riina si è proposto e che Saviano ha magistralmente illustrato, facendo riferimento ad una serie artifici retorici e testuali, ad omissioni e risposte vaghe in modo indiretto ed estremamente sottile del boss sono due: chiedere alla magistratura di introdurre il reato di dissociazione come per i terroristi (come si vede il terrorismo ritorna e non è un caso) in modo tale da evitare ai mafiosi di “pentirsi” (i cosiddetti collaboratori di giustizia infatti sono l’incubo della mafia) e a Cosa Nostra di prendersi le sue responsabilità e di non intervenire in questo scambio «culturale e poi giuridico» con lo Stato basato sul modello dei terroristi politici. Come si vede dunque molto di più di un’intervista a scopi informativi o sensazionalistici. Bensì una piattaforma per aprire un dialogo con le istituzioni da un lato e per mandare un messaggio a Cosa Nostra dall’altro. Il tutto attraverso la Tv pubblica. Un episodio gravissimo. Non discuto sul fatto che Vespa ne sia stato il mezzo, lo strumento inconsapevole. Ne sono certa. Ma i casi erano due: o non mandava in onda l’intervista o la faceva virare in una direzione diversa. Mettendo il giovane capo mafioso alle strette. Il fatto successivo, quello di non ammettere l’errore lo rende ancora più colpevole, e quello di cercare di trovare compagni di cordata, per quanto eccellenti, addirittura indifendibile. Perché rispetto a loro la situazione è molto diversa. E peggio di tutto sono stati il silenzio e l’imbarazzo della Rai.

Negli Stati Uniti per errori di questo genere ci si dimette o si è obbligati dal proprio canale a dimettersi. Anzi per errori molto meno significativi. Voglio ricordare due casi emblematici, molto meno gravi di questo. Il primo fu quello di Andy Rooney storico giornalista di CBS deceduto nel 2011 che nel 1990 durante il famoso programma 60 minutes fu sospeso senza paga, direttamente dal presidente del canale David Burke, per affermazioni antigay. Scrisse di suo pugno una lettera di scuse indirizzata alle organizzazioni gay. Dopo 4 settimane il programma perse il 20% dell’audience e il canale diede l’ordine di riassumerlo. In più il giornalista pubblicamente fece un’ammissione di colpa scrivendo, tra l’altro, dando prova di grande umiltà, le seguenti parole: «Per il resto della mia vita sarò conosciuto come un bigotto razzista e come qualcuno che ha reso la vita più difficile agli omosessuali. Questo mi ha fatto sentire malissimo e da ciò ho imparato molto».

L’altro caso è quello di un altro famoso anchorman di NBC, Brian Williams, che nel febbraio 2015 fu sospeso per 6 mesi dal programma Nightly News per avere falsificato eventi che accaddero quando era corrispondente in Iraq durante la Guerra del Golfo del 2003. Il giornalista affermò infatti di essersi trovato su un elicottero che fu costretto a causa di una sparatoria ad un atterraggio di emergenza, mentre il pilota successivamente affermò che il giornalista arrivò solo un’ora dopo. Nel settembre 2015 la sua sospensione fu rimossa, ma non ritornò allo stesso canale bensì a una rete consorella e meno importante, la MSNBC.

Come si vede seppure i casi non sono analoghi, in quanto da un lato ci sono affermazioni razziste in un caso e false dall’altro, ci sono tuttavia delle regole etiche nel giornalismo che non possono essere trascurate. Tra di esse quelle di non avere pregiudizi, di dire la verità e soprattutto di non dare spazio a dichiarazioni da parte di criminali dando loro il potere (empowering them) di usare il mezzo televisivo come piattaforma per i propri messaggi. Specie quando quel canale è parte di un servizio pubblico. Perché è come dare a quei criminali una legittimità che non potrebbero avere per definizione se il nostro fosse un paese civile. Ma forse questo è proprio quel se/if che ci separa dal mondo anglosassone.

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