Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Prima e dopo il sepolcro

La Resurrezione di Cristo sconfigge la morte, è l’inizio di una nuova era dove l’uomo, di fronte alla salvezza, è ancora più bisognoso di aiuto. Perché la porta del Regno è stretta. Da “La Passione” di Mario Luzi

Pasqua. Resurrezione. Immagine incancellabile, come quasi sempre, del grande Mario Luzi. La vita è deflagrata: potenza poetica imparafrasabile: vita come energia incandescente che deflagra, sbriciolando le pareti dure, lapidee del sepolcro. L’anima che Michelangelo, artista supremo della linea che da Alighieri porta a Foscolo fino a Yeats e Luzi, cerca e trova nelle fibre del marmo («conoscenza per ardore» da un verso di questi), qui esplode facendo polvere non del nostro corpo mortale, come recitava giustamente la vulgata prima di quell’evento. Ma facendo polvere della pietra, lacerata, pietra infranta, vita che ritorna, possente.
Ma solo da ora, ora che è risorto – questo è il senso eliotiananamente complesso, lampante quanto insondabile della poesia – l’uomo ha davvero bisogno di aiuto. Prima della Resurrezione, sottomesso alla dura legge del Fato, alla realtà della morte, l’uomo doveva agire religiosamente, ma non necessariamente supplicare. Ora che è definitivamente liberato, grazie alla certezza della Resurrezione, la sua preghiera (l’uomo prega da sempre, dall’attimo in cui non è più ominide) ha davvero bisogno dell’aiuto di Dio, perché è più libero, vivente in una vita che comprende la morte ma anche il suo superamento.
Qualcosa di simile a una epocale poesia di Thomas Stearns Eliot, il faro del Novecento, poesia a questa simmetrica: perché mentre qui Luzi canta la Resurrezione, l’esito, Eliot, in quei versi di Viaggio dei Magi, canta la Nascita, l’origine. Della vita di Cristo. E il poeta americano-inglese rappresenta i Magi, partiti da Oriente seguendo una stella, i sapienti zoroastriani sconvolti dalla nascita, dal bambino appena nato che sanno essere Dio: da quel momento sono at desease, “ormai a disagio” nel loro mondo; è nata una nuova età. Così, in Luzi, dopo la Resurrezione: l’uomo non può più pregare come prima, ha altra coscienza di sé e più profondo bisogno di compagnia, di aiuto.
Luzi, sommo poeta, diviene a un certo punto anche autore di teatro, come Eliot e pochi altri poeti moderni. A mio parere il suo teatro, pur di alta levatura, non è al pari della sua poesia, tranne che in due casi: la prima opera, Ipazia, e l’ultima, La Passione, da cui sono tratti questi versi, questa parte finale. Non a caso sono le due opere in cui il poeta è svincolato dalla struttura drammaturgica, dalla storia, dall’intreccio, dalla pratica teatrale in senso stretto, in cui, insomma, il teatro è pura voce vocante, poesia orale, come fu in origine.
Certezza del superamento della morte: «La morte ha perduto il duro agone», questo verso di Luzi suona consentaneo a uno, memorabile, di Dylan Thomas, che non si riferiva alla Pasqua, ma alla speranza e al senso della poesia stessa: And death shall have no dominion, «E la morte non avrà dominio».

 

 

Piero della Francesca

Dal sepolcro la vita è deflagrata.

La morte ha perduto il duro agone.

Comincia un’era nuova:

l’uomo riconciliato nella nuova

alleanza sancita dal tuo sangue

ha dinanzi a sé la via.

Difficile tenersi in quel cammino.

La porta del tuo regno è stretta.

Ora sì, o Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto,

ora che invochiamo il tuo soccorso,

tu, guida e presidio, non ce lo negare.

L’offesa del mondo è stata immane.

Infinitamente più grande è stato il tuo amore.

Noi con amore ti chiediamo amore.

Mario Luzi
(Da La Passione)

 

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