Ilaria Palomba
Un esordio narrativo felice

Lo zoo di Veronica

Elisabetta Pastore, in "Non respirare", racconta la doppia vita di una giovane avvocata precaria che di notte, per mantenere il compagno eroinomane, lavora per una chat porno. Il ritratto di una società che mercifica tutto

Non respirare (Frassinelli, 2016, pp. 244, euro 18,00), esordio della giovane Elisabetta Pastore, è un romanzo sulla precarietà dell’esistenza, sui trentenni di oggi, sfruttati fino all’osso e poi gettati, ma anche sulla precarietà dei sentimenti, dei rapporti umani, e dei corpi.

Veronica ha trent’anni, è del Sud e vive a Roma, con Marco, eroinomane. Per pagare l’affitto e mantenere il suo ragazzo, fa due lavori. Di giorno è avvocato in un importante studio della città, per pochi soldi al mese. Di notte fa la centralinista di una hot-line, con il nome Jasmine. Qui sarà a contatto con una molteplicità di voci, dagli uomini smaniosi del suo corpo, alla dolce Lucia, abbandonata dalla sua ragazza e in cerca di un po’ di amore, anche se a pagamento; dall’uomo misterioso che la conduce alla perdizione, allo squallido giudice Capogrosso, che di giorno è un distinto borghese e uomo di potere e di notte cerca nella voce di Jasmine un orgasmo quanto più sporco possibile. Certo è che in entrambi i luoghi, nello studio come nella putrida bettola, in cui è costretta a fingere orgasmi per tutta la notte, lei resta sempre un oggetto, un qualcosa da usare e poi riporre, un essere fragile di cui ci si può servire fino allo stremo. E i suoi sentimenti, i suoi desideri, valgono meno di zero. Persino il tossico Marco sembra abusare della sua pazienza, della sua benevolenza, della sua dolcezza e dei suoi (pochi) soldi. Ma ciò che le insegnerà questo doloroso viaggio agli inferi è la volontà di decidere sul proprio destino, la capacità di sottrarsi ai giochi di potere, la possibilità di dire no.

Non-respirare-di-Elisabetta-Pastore-sperlingClaustrofobico, scritto magnificamente, con uno stile pulito eppure alto, descrive con precisione millimetrica la sensazione, tutta femminile, del sentirsi completamente una cosa, un gioco, un oggetto, non una persona. Viene da chiedersi se, al di là delle indubbie ricerche, di cui si avverte lo spessore sin dalla prima pagina, non ci sia anche una parte dell’autrice (se non addirittura una parte di ogni donna) che una volta nella vita dev’essersi sentita in tal modo. È un libro molto doloroso ma c’è anche una profonda ricerca di bellezza. La protagonista Veronica, è terribilmente dolce, materna talvolta. Come quando si fa in quattro per il fidanzato tossico, Marco, quando s’innamora del misterioso Diego, illudendosi che lui non la tratterà solo come una puttana, quando fa l’amore con Lucia e anche se sa di non essere lesbica si lascia trasportare in questa emozione che vive in modo molto tenero, quasi infantile. Si avverte la melanconia nel suo respiro quando al mattino torna nello studio e si vergogna terribilmente di ciò che è costretta a fare la notte per sopravvivere. Lo studio, la freddezza di quell’ambiente, con affreschi barocchi sul soffitto che lei chiama sempre spiriti dannati, e che sono lì, l’accompagnano per tutta la vicenda, quasi come proiezione delle sue sofferenze. Si avverte la paura e l’angoscia nei suoi occhi quando il giudice Capogrosso la riconosce e ricatta. E viene naturale non respirare, lasciarsi sommergere dalle sensazioni ansiogene, leggendo la descrizione del mondo squallido dei tossici. Lo stile sincopato e paratattico non lascia respiro e nulla toglie al sapiente utilizzo della lingua italiana.

L’erotismo è descritto proprio nella sua convergenza con la morte o la possibilità di perdere tutto. Come voleva Georges Bataille: Dell’erotismo si può dire che esso sia l’approvazione della vita fin dentro la morte. Si ritrova in ogni pagina questo feroce binomio di eros e thanatos, là dove gli animi che al mondo esterno possono apparire i più sporchi sono invece in realtà i più innocenti, dove il dolore non conduce necessariamente alla crudeltà, dove passare attraverso l’inferno diviene esperienza necessaria per riconoscere la vita.

«Oggi è venerdì. Non ricordo appuntamenti. Non ho fissato i nostri incontri stamattina.
Sono di nuovo sola. Diego è scappato. Ha fatto l’amore con me, ed è andato via.
È un dolce inferno.
Le cose belle finiscono. L’eternità è dello squallore.
Mi sento inquieta.
Ho toccato il paradiso a stare con lui ancora.
Rimetto i piedi a terra.
Marco è solo nella casabaracca a soffrire il suo di inferno.
Il piacere è finito».

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