Attilio Del Giudice
Una storia inedita

La realtà di Pericle

«Pericle ha fatto un annuncio col quale convocava alle 8 e 30 del mattino di mercoledì 11 aprile nella hall dell’hotel Old Gold, tutti i suoi personaggi...»

Marco mi ha raccontato che uno scrittore, suo amico, è impazzito. Conosco di fama questo scrittore, ma mi sembra giusto non fare nomi. Ora, il fatto che uno scrittore sia impazzito, non è una buona notizia, ma non è una notizia strepitosa. Impazziscono anche loro. Però le manifestazioni di questa perduta salute mentale sono interessanti o, quanto meno, degne di narrazione.

Per comodità, diamo un nome fittizio allo scrittore e chiamiamolo Pericle.

Che è successo? È successo che ‘sto Pericle ha fatto sul suo blog, su Facebook, su Twitter e perfino su pagine di quotidiani acquistate ad hoc, un annuncio col quale convocava alle 8 e 30 del mattino di mercoledì 11 aprile nella hall dell’hotel Old Gold, tutti i suoi personaggi: protagonisti, comprimari e personaggi minori di tutte le sue opere: romanzi, racconti e perfino di alcuni articoli di argomento sociale pubblicati recentemente sul Corriere della sera. C’era un elenco cospicuo coi i nomi dei personaggi e con altre indicazioni sulle professioni, sui ruoli e sulle funzioni di ciascuno nelle varie opere e, per l’occasione, aveva prenotato l’intero albergo e aveva dato istruzioni precise al personale  per un’accoglienza  degna di un hotel a cinque stelle lusso.

Pericle pare volesse avere un incontro coi suoi personaggi, innanzitutto per sapere, da un contatto diretto, quale era stata la sorte toccata a ciascuno dopo la performance  letteraria  e, poi, in seconda istanza, per fornire, eventualmente consigli,  nuovi orientamenti e, perché no? anche per una rimpatriata tra vecchi amici, per un brindisi  e un abbraccio a tutti, uno per uno, senza distinzione  di pagine e di spazi dedicati nella creazione originaria. Insomma una cosa fatta bene, con una visione democratica e, in una prospettiva, sostanzialmente, rivoluzionaria. Sì, perché se l’iniziativa prendeva piede e coinvolgeva altri scrittori, se ci si avviava verso un aggiustamento dei comportamenti e delle motivazioni dei personaggi letterari, avremmo avuto un miglioramento complessivo della letteratura e, conseguentemente, un miglioramento dei lettori e  della società intera. Insomma, Pericle aveva questa convinzione e non voleva trascurare alcun particolare che servisse al suo progetto.

Marco di tutta questa faccenda sapeva poco e benché fosse amico da anni di Pericle, ad alcune voci aveva dato poco ascolto. Sì, sapeva che non stava bene, ma lui pensava a qualcosa di poca rilevanza clinica e, comunque,  passeggera. Sennonché intorno alle 10 del mattino di quel fatidico mercoledì, ricevette una strana telefonata: «Pronto, sono Pericle. Marco, sono disperato! Tu capisci? Non è venuto nessuno, nessuno!».

«Ciao Pericle. Scusami, non capisco. Dove sei?».

«Sono all’ Old Gold. Sono le 10 e non è arrivato ancora nessuno. Che devo fare?».

«Pericle, ma che dici: non è arrivato nessuno, ma nessuno chi?».

«Come chi? I personaggi, i miei personaggi!».

«Quali personaggi?».

«Come quali personaggi? I miei, i miei!» – Aggiunse gridando.

«E si vede che saranno morti!».

Quest’ultima frase dovette colpire la mente di Pericle come un’offesa sanguinosa; infatti chiuse la linea di colpo. Marco l’aveva detta, senza pensarci, così, tanto per dire, ma gli balenò l’idea che avesse fatto uno sproposito. Prese l’ombrello, infatti pioveva a dirotto, raggiunse di corsa la macchina e velocemente si diresse verso l’Old Gold.

È di tutta evidenza che le ragioni di Pericle a sostegno della sua tesi erano così sballate e così estranee a quella che chiamiamo normalmente logica formale, che, di per sé, testimoniavano l’entità e la gravità della malattia. Vi immaginate che, aggiustando le condotte  dei personaggi… eccetera, eccetera… lasciamo stare!

Marco alla reception dovette spiegare a lungo che, anche se non risultava nell’elenco, aveva urgente necessità di parlare al signor Pericle e inderogabilmente doveva sapere in quale camera si trovasse. Il suo interlocutore, un anziano signore in divisa, pur sforzandosi di restare nei confini di un atteggiamento decisamente signorile, come si conviene a un dipendente di un albergo a 5 stelle lusso, si era incaponito a dover consultare almeno due o tre volte il prezioso elenco, che aveva avuto dallo scrittore con le precise raccomandazioni. «Lei ha perfettamente ragione, ma il mio compito è quello di verificare che il suo nome figuri nell’elenco e qui non c’è, non c’è proprio!».

«Ma cerchi di capire – disse Marco, che stava per perdere le staffe – il signor Pericle non sta bene, questi signori dell’elenco non sono personaggi reali, sono personaggi dell’immaginazione. Non so se mi sono spiegato».

Finalmente, quando mal volentieri gli fu dato il via libera, Marco si affrettò a trovare al quarto piano la camera 445, dove doveva esserci il suo amico. La porta era aperta, ma il suo amico non c’era. Pericle si era buttato dalla finestra.

Quelle parole di Marco gli avevano aperto gli occhi: i personaggi non erano venuti, perché erano morti e perché erano tutti morti? Perché erano nati esili, senza spessore, esangui, senza vitalità, senza futuro, per loro non c’era stato il miracolo dell’arte, che, come il dito del Padreterno che tocca Adamo nella volta della Cappella Sistina, può dare  la vita. E che cosa resta da fare a uno scrittore incapace di dare verità ed energia vitale alle sue creature?

Pericle perdette i sensi, ma non morì, anzi non si fece nemmeno un graffio, perché era caduto su un camion carico di materassi, che si trovava nel cortile interno dell’albergo per il consueto approvvigionamento.

* * *

È passato un po’ di tempo, Marco mi ha fatto sapere che Pericle si è ripreso e pare che abbia acquistato tutte le sue facoltà mentali, anche se ha smesso di scrivere romanzi e racconti, la qualcosa, diciamoci la verità, non sembra abbia recato particolare danno alla letteratura italiana.

Ora, lo devo dire, c’è da fare un chiarimento. Si tratta di un problema importante che spesso emerge nella scrittura narrativa.

Mi è stato fatto notare che il finalino di questo racconto è, o, in ogni caso appare, artificioso. Marco entra nella camera perché trova la porta aperta. Perché è aperta? Boh. Poi, il fatto che uno si vuole suicidare buttandosi dalla finestra, senza vedere che c’è sotto e, manco a farlo apposta, trova un camion coi materassi, sembra decisamente falso. Una furbata dell’autore per glissare la tragedia.

Che posso dire a mia discolpa? Posso dire che tutte queste cose, io non me le sono inventate, corrispondono esattamente a quello che era accaduto, corrispondono pari pari alla realtà.

Però, è questo il punto: è giusto adottare la realtà, senza esaminarne il grado di verosimiglianza? No, non è giusto per uno scrittore e questo gli scrittori generalmente lo sanno. Talvolta la realtà è lontanissima dalla verosimiglianza e sembra un sogno assurdo.

Avrei dovuto immaginare che Pericle si fosse buttato dalla finestra e che non ci fosse stato nessun camion con materassi e che si fosse sfracellato sull’asfalto della strada dove, presumibilmente, affacciava la finestra (e non nel cortile interno) e avrei anche dovuto immaginare che fosse nato il sospetto di omicidio e che Marco fosse l’unico indiziato e che ci sarebbero stati, conseguentemente, un’inchiesta, un processo, un giudizio.

Tutto questo immaginario sarebbe stato sicuramente accolto come verosimile. Non l’ho fatto e ne pago le conseguenze, infatti, nelle narrazioni la verosimiglianza vale più della realtà. Naturalmente l’ideale sarebbe che anche la realtà fosse verosimile, ma questo purtroppo non è scontato.

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