Paolo Petroni
Il poeta diventa narratore

Storie in Galleria

Con "La sumera", Valentino Zeichen ha scritto un romanzo dedicato a tre amici persi tra arte e vita, buffet e seduzioni. All'ombra della Galleria nazionale d'Arte Moderna di Roma

Fulcro logistico del romanzo, il primo di uno dei nostri migliori poeti, Valentino Zeichen, intitolato La Sumera (Edizioni Fazi, pp. 156, 16,00 euro), è la Galleria Nazionale d’Arte Moderna con la sua scalinata, davanti all’altra che sale al laghetto di Villa Borghese, perché è lì che Ivo, protagonista e un po’ alter ego dell’autore, si incontra con i suoi amici: Paolo, artista d’avanguardia in cerca d’affermazione, e Mario, provocatorio e segnato dall’insuccesso. Sono tre vitelloni felliniani ma ai tempi de La grande bellezza, legati al mondo dell’arte di cui si narra il trascorrere dei giorni in quella zona tra Piazza del Popolo e Valle Giulia di una Roma pigra, solare, tiepida, accogliente e appartata.

Un racconto insomma bonariamente e indolentemente romano, più che sentimentale, vivacizzato, arricchito e segnato da una scrittura ricca di metafore e paragoni personalissimi con al fondo una divertita e divertente ma impietosa nota ironica, quella tipica della poesia spesso dolcemente sferzante di Zeichen, del suo modo di guardarsi attorno e far versi alla realtà, alla vita, come dimostra anche il finale a sorpresa di questa storia, con una morte che non si capisce se sia accidentale o ricercata, cosa che comunque non ha alcuna importanza.

Copertina ZEICHENQuesti tre ”vecchi ragazzi” apparentemente senza arte né parte, ma fedeli a una propria intima essenza esistenziale, a un proprio cercar di guardarsi attorno, come non facessero parte del mondo mondano e culturale che frequentano, che osservano senza aria di superiorità ma comunque cercandone e cogliendone falle, manie, debolezze, incongruenze, atteggiamenti cui si sentono estranei, dove nulla li tocca davvero e la vita scorre come si fosse già consumata, tutta al presente, senza futuro: «Lui aveva sempre schivato il tempo ed eludendo la sua guardia era più volte riandato nel passato per riprendersi quello che gli era sfuggito allora, o piuttosto era successo che il passato gli si confondesse come un verbo retroattivo, ripresentandosi con le stesse sembianze». E, tra l’altro, in tutto questo c’è molto della realtà di questi nostri anni.

Tra una passeggiata e la vernice di una mostra, tra una conferenza che rischia «dopo ripetute e applaudite immersioni, di non risalire dagli oscuri abissi del significante» e il comico assalto a un buffet di un gruppo di insospettabili signore, tutto scorre liscio tra chiacchere che tentano di far balenare riflessi d’intelligenza fine a se stessa, finché un giorno, in cui come tanti sono entrati nelle sale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna per rivedere cose che conoscono bene e soprattutto per cercar di rimorchiare qualche ragazza rapita o incuriosita dalle opere esposte, incontrano una bellissima giovane, detta la Sumera per certi caratteri somatici del viso. Tutto, da quel momento, sembra venir rivitalizzato dalla sua carica sensuale, amorale, istintiva, che ora si dona e ora sfugge, e i giorni, ma anche gli animi dei tre amici (quasi tre facce di uno stesso personaggio), vengono turbati dalla forza dei sentimenti, sentono le ferite della vita e la forza del mistero della sessualità e del desiderio, che si scontra con la loro visione tutta intellettuale e apparentemente incapace di stupirsi di qualcosa. E anche la scrittura barocca di Zeichen sembra arrendersi, mentre la fiammata sfrigola sulla pelle e poi si spegne.

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