Raoul Precht
Periscopio (globale)

Interrogativo Tournier

Ricordo di Michel Tournier, uno scrittore che ha popolato il mondo di domande senza avere neanche la pretesa di fornire le risposte. E ha insegnato a molti il valore dell'autoironia

Purtroppo non ho mai conosciuto personalmente Michel Tournier, scomparso una settimana fa, e non ho quindi rivelazioni particolari da fare, il che toglie mordente – me ne rendo conto – alla mia breve rievocazione. Il mio rapporto con lui, come del resto con il novantanove per cento degli scrittori, passa attraverso la pagina scritta, ed è forse un bene, perché in definitiva lo scrittore si definisce e si giudica per quello che ci lascia con i suoi libri. Proprio Tournier, del resto, nel libro di cui parlerò più avanti racconta a un certo punto la storiella del suo macellaio, che gli dice press’a poco: «Ma signor Tournier, visto che la conosciamo di persona, non c’è mica bisogno di leggere i suoi libri, vero?». Ebbene, andrebbe invece letto con attenzione. Tournier ci ha lasciato molto e per ragioni a volte oscure me lo sono sempre sentito vicino, forse perché sono, come era lui, un appassionato di cultura tedesca e musica e un traduttore. Ma è stato anche filosofo, giornalista, allievo di Gaston Bachelard eccetera eccetera (e per tutto il resto c’è Wikipedia…).

michel tournier1Ricordo di essere rimasto molto colpito, da ragazzo, dal Re degli ontani, e di aver apprezzato successivamente anche Venerdì o della vita selvaggia e Le meteore. Ma, come spesso mi succede, ad avere un’influenza diretta e pratica sul mio lavoro di scrittura è stato un testo per così dire minore, di molto successivo, di cui vorrei brevemente parlare qui. Si tratta del Journal extime, uscito originariamente nel 2002 e poi ripubblicato due anni più tardi da Gallimard (in Italia è stato tradotto dall’editore Barbès nel 2008). Per me è importante, perché, insieme a De jardines ajenos di Bioy Casares, mi ha ispirato per la redazione di un mio libretto, Ladro di schiavi, in cui, prendendo le mosse dalle varie declinazioni possibili del concetto di plagio, ho messo insieme un centone di aforismi, riflessioni ma soprattutto citazioni commentate di altri autori, ovvero mi sono lanciato in un corpo a corpo con la creazione altrui.

Journal extime è tutto questo (aforismi, riflessioni, citazioni) e certamente qualcosa di più, anche perché l’autore ne è appunto Tournier. Il quale, fra parentesi, sembra aver dato avvio in Francia a un filone che comincia ad avere un certo successo: si pensi solo ai (finora) nove tomi del Dernier royaume di Pascal Quignard, che seguono uno schema analogo.

Ma torniamo al libro di Tournier. Intanto, il titolo: “extime” è il rovescio lacaniano di “intime” e si apparenta, come scrive lo stesso Tournier, all’opposizione fatta da Michel Butor fra “exploration” e “imploration”, tra il “movimento centrifugo di scoperta ed esplorazione” e il ripiegamento centripeto su sé stessi. In altre parole, un diario intimo sarebbe, soprattutto in tarda età, un elenco dei propri mali con annesso piagnucolio (che a Tournier giustamente repelle); il diario “extime” consente invece di andare oltre, e perfino di abbinare la vecchiaia al concetto di euforia, come fa verso la fine del libro, quando ci ricorda che euforia viene dal greco phorein, portare, e da êu, bene o felicità, e che a mano a mano che s’invecchia ci si ritrova sempre più euforici – o portatori di felicità – per piccole cose che in precedenza, negli anni della giovinezza e della maturità, non si sarebbero notate o non avrebbero avuto alcuna importanza. A proposito di invecchiamento: il tempo, scrive più avanti Tournier, distrugge tutto ciò che amiamo, ma bisogna riconoscergli il merito di distruggere anche tutto ciò che detestiamo, compresa la sofferenza e la morte, che saranno distrutte insieme con noi.

Per scrivere un libro di questo genere, oltre agli ampi riferimenti culturali, occorre un ingrediente fondamentale, da dosare con cura: l’ironia e, ove possibile, l’autoironia. Scrive ad esempio Tournier che nessuno è meno qualificato di un autore per giudicare la propria opera, in quanto qualunque opera letteraria si situa su una scala di valori fra zero e l’infinito. Chi la scrive, tuttavia, la considererà, a seconda dei casi e del momento (depressione o esaltazione), di valore zero o infinito, ma mai da qualche altra parte sulla scala, dove essa più probabilmente ha trovato posto.

michel tournier2Ma l’annotazione più divertente di Tournier è la seguente: “Cette nuit à la radio, je reconnais immédiatement l’accent bourguignon de mon vieux maître Gaston Bachelard. Il est malheureusement sans cesse interrompu par un petit cretin qui lui pose des questions insanes. Puis c’est l’annonce de fin: ‘Vous venez d’entendre un document de l’INA, un entretien datant de 1949 de Gaston Bachelard avec Michel Tournier.’” [Stanotte alla radio ho riconosciuto immediatamente l’accento borgognone del mio vecchio maestro Gaston Bachelard. Purtroppo lo interrompe continuamente un povero cretino che gli pone delle domande insensate. Poi lo speaker annuncia la fine del programma: ‘Avete appena ascoltato un documento dell’INA, un’intervista del 1949 di Gaston Bachelard condotta da Michel Tournier.’”]

Naturalmente, anche lasciando da parte lo sferzante esercizio d’autoironia, si potrebbe prendere le mosse da questa citazione per interrogarci su quanto di noi sia davvero nostro, o se preferite su quanto, del noi di quaranta o cinquant’anni fa, sia nostro ancora oggi, e dunque su cosa definisca la nostra identità, smangiucchiata dall’inesausto trascorrere del tempo. Non credo che Tournier avesse trovato una risposta, ma la domanda, almeno, l’ha formulata con la massima precisione. E non è forse questo il compito della letteratura?

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