Oliviero La Stella
Riflessioni dopo gli attentati

I nuovi anni di piombo

Il terrorismo internazionale è destinato a cambiare la nostra quotidianità come accadde con le Br. Ma, come allora, la violenza sarà sconfitta dalla civiltà

Da adolescente andavo a Parigi con i miei genitori. Viaggiavamo sempre con il vagone letto, perché mio padre aveva paura dell’aereo. Quando scendevo dal treno alla Gare de Lyon mi afferrava una gioiosa eccitazione. Sin da allora ho amato la joie de vivre che la città esprime attraverso i suoi cittadini e i suoi ospiti stranieri, quel piacere che i terroristi islamisti – così pare – hanno voluto sanzionare il 13 novembre a colpi di Kalashnikov. In una rivendicazione Daesh parla, a proposito delle vittime, di «centinaia di idolatri in una festa di perversione».

Posso immaginare il segno che la tragica notte ha lasciato sui parigini. Moltissime famiglie hanno un legame di parentela, di amicizia o di conoscenza più o meno stretta con i morti, i feriti, i sopravvissuti. L’insicurezza e la paura dominano su tutti anche se, da quanto leggo, la città sta provando a reagire, a non reprimere quel modo di vivere che è un elemento del suo dna. E dilagano, l’insicurezza e la paura, oltre i confini della Francia.

Tutto ciò evoca il clima degli “anni di piombo” che insanguinarono l’Italia con centinaia di morti e migliaia di feriti per quasi vent’anni. Convenzionalmente, infatti, quella che Sergio Zavoli ha definito “la notte della Repubblica” si fa iniziare nel 1969 con la strage di piazza Fontana e terminare nel 1988, con l’omicidio Ruffilli, anche se negli anni successivi c’è stato qualche micidiale colpo di coda da parte delle Brigate rosse.

La tensione allora investiva non soltanto quelle persone e quelle categorie che potevano essere considerate dai terroristi rossi e neri un obiettivo – magistrati, poliziotti, carabinieri, avvocati, giornalisti, politici, manager di grandi aziende, sindacalisti e via dicendo – ma opprimeva anche i comuni cittadini. Si poteva morire, così come è accaduto, in una banca, in una stazione, su un treno, partecipando a una manifestazione. Ogni giorno nelle grandi città c’era almeno un ufficio pubblico o privato che veniva sgomberato per il timore di una bomba.

La società italiana, nella sua grande maggioranza, non si fece tuttavia intimidire. Erano anni di piombo ma anche di passione, si può dire parafrasando il titolo del bel libro nel quale Vittorio Emiliani ripercorre i suoi anni al Messaggero, fra il 1974 e il 1987. Anni di passione civile. La gente scendeva in piazza, le fabbriche si fermavano per sancire il rifiuto della violenza. Spesso non tutti capivano. «Lo so – mi confidò un giorno Luciano Lama – che molti si chiedono: perché lo sciopero? Ma noi crediamo che, per togliere qualsiasi illusione di consenso ai terroristi, sia essenziale che i lavoratori si fermino per manifestare visibilmente la loro posizione».

Nel settembre del 1980 venne assassinato dai Nar un mio compagno di lavoro al Messaggero: Maurizio Di Leo, 34 anni, tipografo. Un tragico scambio di persona: il vero obiettivo era un mio giovane collega, autore di inchieste sull’estrema destra. Non dimenticherò mai quel momento di dolore e di paura, come non dimenticherò il giorno in cui Di Leo venne commemorato nei locali della tipografia. Gli altoparlanti diffondevano i discorsi in una via del Tritone gremita di folla: tantissimi romani erano scesi in strada in segno di solidarietà. Quella manifestazione ci dette coraggio.

Ha scritto nei giorni scorsi Maurizio Caprara sul Corriere della sera: l’Italia fu capace «di guardare avanti, non fu paralizzata dal panico né adottò la legge del taglione». Marc Lazar, presentando qualche anno fa a Roma il suo libro sugli anni di piombo, dette atto al nostro Paese di aver sconfitto il terrorismo senza derogare alle libertà costituzionali. Ancora Caprara: «Contò la tenuta complessiva del tessuto sociale e di associazioni collettive grandi e piccole, a cominciare da partiti e sindacati». L’azione repressiva fu efficace, soprattutto nei confronti del terrorismo rosso (mentre su quello di stampo neofascista gravano ancora ombre e misteri). Ma altrettanto importante fu la risposta della società, che tolse ai brigatisti l’illusione di riuscire a scatenare una guerra civile.

Mi auguro che questa rievocazione offra spunti per riflettere sul momento drammatico che stiamo vivendo.

Vorrei concludere con un altro ricordo personale. Per me arrivò un giorno, sul finire degli anni Ottanta, in cui per la prima volta dopo tanto mi consentii di alzare gli occhi al cielo. Fino ad allora non avevo potuto farlo, sempre preso a guardarmi intorno, a scrutare le persone che mi affiancavano quando tornavo a casa o quando uscivo dal giornale. Quel giorno il cielo di Roma era di un azzurro intenso. Potei notarlo perché il lungo incubo era svanito.

Anche l’incubo odierno svanirà, ne sono convinto. Spero che non sia così lungo come gli “anni di piombo”, e che il prezzo pagato non sia così alto.

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