Vincenzo Nuzzo
Una grande manifestazione per la legalità

Fenomeno Napoli

Napoli domani si mette in marcia contro la camorra. Perché solo un popolo compatto è in grado di combattere e vincere una guerra che nessuno ha ancora davvero combattuto

La Fondazione Gerardino Romano di Telese (BN), diretta dal professor Felice Casucci, ha trasmesso a tutti i suoi iscritti la lettera inviata loro da don Antonio Loffredo, operante nel quartiere Sanità di Napoli. Lettera scritta a commento della morte del giovanissimo Genny, passato spietatamente per le armi dalla Camorra.

La lettera, toccante e bellissima, non può essere letta senza grande emozione partecipativa ma soprattutto con immensa e prepotente speranza. E cadono dunque davvero sincronicamente, con i sentimenti destati da questa lettera, le suggestioni esercitate dalla presentazione ieri (presso l’Associazione Megaride) del libro di Ermanno Corsi dal titolo Sindaco in fuga o della buona politica. Libro che, nel costruire una vera e propria affascinante fiaba sulle drammatiche vicende politiche non solo di Napoli ma anche dell’intera nostra terra, da voce ai sentimenti estremi che ogni giorno attraversano il cuore e l’anima dei napoletani. Di fronte a cosa? Di fronte a quello che potremmo definire come il fenomeno Napoli.

Fenomeno che non esiterei a definire metafisico, a causa della così profonda e misteriosa determinazione che fa si che un luogo bellissimo come Napoli (e la sua terra) finisce per costituire per moltissimi versi un vero e proprio desolato e desolante inferno. Del resto, tra i tanti altri (incluso il Goethe del napoletano quale essere inferovulcanico), Benedetto Croce aveva colto perfettamente l’inspiegabile fenomeno sentendo la necessità di scrivere il libro dal titolo Un paradiso abitato dai diavoli.

E si badi bene di non chiamarsi fuori da tale definizione. Che è da intendere per quella che è, cioè come integralmente collettiva. Nessuno di noi napoletani può dunque ritenersi assolto in partenza da questo così radicale giudizio. Ho sempre sostenuto che, per amare davvero Napoli, bisogna anche vergognarsi profondamente di essere napoletani. E ciò non è affatto in contrasto con lo striscione apparso nella Sanità dopo il fattaccio: «Essere napoletano è meraviglioso». Insomma è proprio da questo che bisogna partire nel prendere posizione davanti alla lettera di don Loffredo ed a ciò che essa annuncia. Un evento davvero straordinario, e cioè una marcia contro la camorra sollecitata dagli abitanti stessi del quartiere Sanità. Stufi ormai di subire il fenomeno. La marcia si terrà domani, 5 di Dicembre del 2015.

camorra1Ma quale posizione si può prendere davanti a tutto questo se non quella di salutare e celebrare la lettera e l’annuncio della marcia? Cosa che ci deve spingere poi a prendere contatto con il ribollire di sentimenti in noi evocati da tutto questo, cosa che però deve includere anche la presa di coscienza di non poter in alcun modo sentirci assolti dal giudizio che eventi così terribili pronunciano (allo stesso esatto modo di Croce). Insomma siamo tutti storicamente colpevoli in primo luogo del delitto di non-reazione. Che ha un solo ed inequivocabile nome: «Complicità!».  E la sua espressione sta in una affermazione che si condanna da sé: «E noi che possiamo fare?». Affermazione che qualifica chi la pronuncia in un solo ed univoco modo: «Disertore!». Disertori tutti, dunque, e da sempre e per sempre. Io compreso, naturalmente!

Perché con tutto ciò si tratta solo e soltanto di una guerra ahimè mai combattuta. Una guerra che invece bisogna assolutamente combattere.

Ebbene credo proprio che la lettera di don Loffredo ci chiami a questo. E soprattutto perché in essa si dice chiaramente che la marcia è semmai solo l’inizio di ciò che dovrebbe ancora accadere.

E ciò che dovrebbe accadere in questa città e terra è, direi, quello che si potrebbe chiamare una vera e propria «rivoluzione». Non nel senso del principio rivoluzionario tout court. Che è troppo astrattamente indifferenziato per catalizzare fenomeni così specifici e concreti, e rischia dunque fortemente di essere in fondo complice con ciò che invece va combattuto. Bensì, allora, nel senso di una vera e propria «restaurazione». Ed anche qui bisogna guardarsi dalle astrazioni che impoveriscono i termini. E così bisogna essere concreti e chiedersi: «restaurazione di cosa esattamente?».

camorra3Ebbene, è restaurazione di qualcosa di molto semplice ma davvero essenziale: il diritto di vivere civilmente, ossia di vivere una vita degna di essere vissuta nel luogo che ci spetta per nascita. E ciò in quanto almeno libera dal giogo dell’aberrazione. Quel giogo che ci soffoca privandoci del primo dei diritti umani, e cioè quello di non dover odiare (e quindi lasciare!) la propria terra. Ebbene la prima di tali aberrazioni è quella affermata dai Potentati di ogni genere. Tutti! Non solo la Camorra! Ed allora, quando finalmente ce ne libereremo? Quando, invece di sempre solo subire, finalmente davvero reagiremo? Quando finalmente andremo a prendere queste bestie immonde nelle loro case e le trascineremo per le strade con le antiche orecchie d’asino? A quando insomma i tribunali sommari del Popolo?

La verità semplicissima è infatti quella che noi nella nostra complicità imbelle preferiamo non vedere: nessun Potentato a questo mondo può resistere ad un Popolo davvero irato che tuoni con una sola voce. E pronuncia un categorico e definitivo «Basta!». La vittoria è dunque facilissima. È del tutto a portata di mano. È quella dell’immensa e tonante risata che di certo li seppellirà. La risata che è il frutto della liberazione da una solo assurda paura.

Bisogna proprio ringraziare don Antonio Loffredo per averci finalmente fatto sognare questo sogno. E speriamo che esso si avvererà. Cosa che però dipende solo e soltanto da noi. Da tutti noi senza esclusioni e senza scuse di sorta

Intanto che si marci, e con sicura baldanza!

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