Nicola Bottiglieri
Italia, 13 novembre 2015

La ragione e i simboli

I simboli ormai sovrastano il loro stesso significato: e il mondo non sa attribuire valore relativo agli oggetti e alle esperienze. Nasce da qui la paura. Da qui il senso di morte che ci domina

Venerdì, 13 novembre, verso le 11 di sera mio figlio grande mi manda un ms dicendomi di vedere il telegiornale, perché era successo qualche cosa a Parigi. Io stavo vedendo la televisione ed avevo abbandonato già da un pezzo  Crozza (perché a volte si ripete!) e mi collego di nuovo con la 7 dove sento la voce affannata e la faccia congestionata di  Enrico Mentana che cerca il tenere il passo con le notizie provenienti dalla capitale della Francia. Quando capisco quello che succede,un sentimento di totale paura invade la mia persona. Stupito guardo mia moglie, la quale continua a sferruzzare impassibile, così mi calmo e mi domando. Perchého paura? Ora io so che la paura è una strana bestia, essa come il profumo comunica direttamente con il cervello. Ha una corsia preferenziale con la mente, capace di eludere il controllo della ragione. È un istinto animale. Quando qualche cosa turba la serenità domestica, che significa l’integrità della nostra pelle, allora la paura ragiona da sola e mette in azione prima le gambe poi il cervello. Ora io so che di fronte ad una bestia che ti vuole mangiare (scannare, dicono i terroristi dell’IS, usando lo stesso linguaggio di Totò Riina) la cosa peggiore è darsi alla fuga, perché essa fa scattare nell’aggressore proprio l’istinto dell’inseguimento, e tutto si trasforma in un fatto muscolare, chi corre più veloce. Badando a non inciampare durante l’inseguimento. Io conosco le mie paure, ci convivo da sempre, anzi posso dire che sono il capitano delle mie paure. Non voglio elencarle tutte, perché sono più numerose dei giocatori di una squadra di calcio quando scende in campo, includendo le sostituzioni e le riserve. Per questo non mi spavento tanto quando essa mi aggredisce, anzi gli chiedo quale ruolo vuole coprire nella partita che il caso ci ha messo davanti. Quella sera si fece avanti la paura con la maglia n° 3, quella che mi assiste quando mi trovo davanti ad un uomo alto e grosso, con faccia feroce, completamento andato di testa. Mentre la paura n° 1 che alberga nel mio petto è Equitalia che bussa a casa mia e la seconda è che mia moglie si metta con un altro, la paura n° 3 è lo sbattere contro un energumeno che non ragiona e ti vuole massacrare di botte. Questa paura la scoprii sulla spiaggia di Ostia, una domenica di sole dell’ottobre 2013, di fronte allo stabilimento Oasi. Ero con mio figlio piccolo e tiravamo calci ad un pallone, per il caldo mi ero tolto il gilé di plastica con il telefonino in tasca, poi la camicia, mentre mio figlio si era tolto il giaccone. Per non mettere per terra i vestiti avevo appeso il tutto ad una croce di legno, o meglio a due assi rozze e abbandonate, a forma di croce che giacevano diritte in un pezzo della spiaggia. A tenerle in piedi vi erano della pietre e, guarda caso, all’incrocio delle assi vi era scritto con la penna a biro, Cristo Salvatore. Vai a pensare che quelle assi fossero un simbolo religioso e che il tutto componesse un altarino!… avevo trovato un bellissimo attaccapanni. Infatti a casa mia per tenere i vestiti nell’armadio si usano le “crocette”. Dopo un poco, noto che un energumeno prende i miei vestiti, li butta lontano e inveisce contro di me. Stupito e irritato, a causa del telefonino sulla sabbia, mi avvicino e noto che è più tatuato di una carta geografica, con scritte e disegni di croci. Prima della mia domanda, arriva un fiume di parolacce, poi distinguo la frase «hai offeso la croce di Gesù». Io rispondo che davanti a noi vi erano moltissime croci, il megafono umano sibila che indicassi dove si trovavano ed io incerto elenco il palo dove vi era appeso il salvagente del bagnino che ha un asse trasversale, poi il palo dell’alzabandiera che ha un asse trasversale, poi l’asse della porta, sormontato da una trave orizzontale, ecc. Lui urla a tutto fiato che io avevo offeso la croce di Gesù, perché ero ateo, non credevo a niente, non avevo valori cristiani. Di solito sfogo la rabbia con l’ironia, perché mi piace sconcertare l’aggressore e mi venne in mente la frase «ora gli dico che sono mussulmano, sono più credente di lui, perché prego cinque volte al giorno, mentre non sono sicuro se lui va a messa la domenica». Questa volta, però la paura fu più giudiziosa dell’ironia e stetti zitto, perché capii che l’aggressore si sarebbe trasformato davvero in un animale feroce peggio della saga dei vampiri dei film Twilight. Borbottai qualche cosa sull’educazione, subito soffocata da altre ingiurie e vedendo mio figlio che mi guardava, capii fosse meglio raccogliere in silenzio i vestiti e andare a giocare più lontano da quel luogo di culto che improvvisamente era diventata la spiaggia. Non sono praticante, rispetto i simboli religiosi, credo che la croce sia davvero un bel simbolo, anzi credo sia «il punto d’incontro fra cielo e terra», non solo per la morte del figlio di Dio, ma soprattutto perché ha la base nella terra ed il vertice nel cielo. Quindi non avrei mai offeso la croce oppure la mezzaluna o altre immagini che fanno riferimento alla trascendenza, perché la paura della morte e la curiosità per l’al di là è un vero, grande problema che hanno tutti gli uomini della terra, a cominciare dal sottoscritto. E così mentre la ragione ragionava, le gambe pedalavano, il mio inconscio ad un tratto pronunciò queste parole: «Questo qui lo metteremo in prima fila». Che cosa volevano dire le mie viscere è presto detto: «Poiché nel mondo si sta preparando una guerra di religione, i più cocciuti li metteremo davanti, in modo che si ammazzino fra di loro e lascino il campo alle seconde file, quelle più ragionevoli». Era una riflessione spaventosa, la mia, ma non priva di una sua verità: se la ragione tollerante viene meno, di sicuro ci sarà lo scontro. Se non distinguiamo più fra la croce di Cristo e le crocette nell’armadio, di sicuro le corna di questo montone cozzeranno con le corna degli altri montoni. Già, ma perché quel ragazzo era così accecato dai simboli da non riuscire più a capire le differenze? Era accecato dai simboli, perché la sua cultura è fatta solo di simboli, siano essi religiosi, consumisti, sportivi, di vita. Il virulento ragazzo cristiano della spiaggia ha lo stesso modo di pensare dei ragazzi che fanno gli attentati a Parigi: sono diventati ciechi di fronte al mondo, perché la ragione è stata accecata dai flash che sparano i simboli in continuazione. Nel mondo greco i simboli erano le tavolette di creta che l’ospite riceveva spezzato, per riconoscersi a distanza di anni, quando si re-incontravano, facendo combaciare la frattura. Una parte era in mio possesso, quindi conosciuta, l’altra era sconosciuta, in mano ad un una famiglia lontana. Per questo i simboli nel tempo sono stati “segni” incerti ed affascinanti, perché non sai mai bene a cosa corrispondono, anche se sono necessari quando sei in viaggio. Oggi i simboli sono divenuti come gli alberi solitari che fanno vivere il paesaggio che li circonda, pur sapendo che non possono vivere da soli, in modo selvaggio, che hanno bisogno di cure, potature ed erbicidi, altrimenti crescono tutti arruffati. Questi pensieri mi vennero in mente in pochi minuti, mentre con la bocca aperta vedevo il volto sempre più congestionato di Enrico Mentana e quello sempre più tranquillo di mia moglie che sferruzzava, dicendo: «Se non mi metto d’impegno, questo scialle non lo finirò mai». Io andai a letto e al buio ricordai le Brigate Rosse, l’Autonomia Operaia, le gambizzazioni, Guido Rossa, Aldo Moro, quando spararono contro la sezione del Pci di Via Frentani a Roma dove ero io, tutte le paure di quegli anni, i cattivi maestri, gli amici finiti in prigione, la vacuità di certe parole. Così dissi, mettendo insieme la testa con la pancia: «Ogni generazione deve fare i conti con la morte, questa si veste di guerra di religione, la mia si era rivestita di politica. Ma le Br non avevano uno Stato al quale fare riferimento, questi invece hanno il territorio fra Siria e Iraq che li alimenta. Allora vi erano i partiti politici! Vincemmo il terrorismo perché vi fu una risposta culturale, oltre che militare. Oggi i partiti sono spariti, la cultura la fanno i media, il consumismo e le religioni. Le religioni, da oppio dei popoli sono divenute motore della storia. Iddio ci aiuti! Javhé ci aiuti! Allah, ci aiuti, senza dimenticare quel “dio minore” che è la ragione, senza dimenticare mai che abbiamo una vita sola, che il mondo è grande, la Terra è un piccolo granello nell’universo e la nostra vita è appena un lieve battito di ciglia.

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