Leone Piccioni
Una biografia firmata dalla figlia

Bottai privato e politico

Dal futurismo al processo di Verona. Maria Grazia Bottai dedica un libro alla complessa figura del padre, ministro dell’Educazione nazionale fascista. Spirito culturalmente libero, la rivista da lui diretta, “Primato”, è stata un punto di riferimento determinante per la letteratura del Novecento

Chi voglia indagare in modo completo sulla persona di Giuseppe Bottai deve certamente rivolgersi ai suoi diari. Ma intanto ecco un libro su di lui scritto dalla figlia Maria Grazia: Giuseppe Bottai, mio padre – Una biografia privata e politica (Ugo Mursia Editore, 290 pagine, 17 euro). Ed è un altro modo per avvicinarsi a questo personaggio molto interessante e anche molto complesso. Questo libro subito ci spinge a conoscere la dimensione privata di Bottai. Si incontra un padre affettuoso, pieno di tenerezza verso i suoi tre figli (oltre a Maria Grazia, Viviana e Bruno che sarà poi ambasciatore e presidente della Dante Alighieri), sempre loquace e sereno in famiglia (prima della bufera!), lasciando molta libertà ai bambini. Un esempio: finite le elementari Maria Grazia manifesta, ancora così piccola, il desiderio di fare l’attrice. Pochi l’avrebbero presa in parola, ma Bottai le dice: «Ora c’è il Ginnasio o la recitazione: scegli tu tranquillamente». E la figlia sceglie il Ginnasio. La moglie di Bottai, Nelia, è una perfetta padrona di casa, umile, colta, affettuosa, si trasformerà, quando ce ne sarà bisogno, in una vera e propria tigre per difendere il marito dalle accuse, dai traditori. Bottai è così orgoglioso delle figlie che un giorno le porta da Mussolini: il Duce rivolge loro appena uno sguardo, non un complimento, non una carezza. Bottai ne provò una grande delusione. Ben altre delusioni lo aspettavano.

Duce futuristaUscito da esperienze futuriste Giuseppe Bottai (1885-1959) aderisce al fascismo, partecipa alla Marcia su Roma, si distingue subito e subito sarà notato. Ministro due volte, prima alle Corporazioni e poi alla Pubblica Istruzione, è anche per un certo periodo governatore di Roma. Come ministro delle Corporazioni redasse la Carta del Lavoro che ebbe un’eco molto favorevole per le garanzie che dava ai lavoratori. La Carta fu approvata anche da Togliatti che era in Russia. Come ministro dell’Istruzione è stato giudicato uno dei migliori che l’Italia abbia avuto. (Io non posso però non pensare a Guido Gonella, illuminato politico, amante della cultura, fu lui a salvare dalla rimozione dalle cattedre universitarie Ungaretti e De Robertis, per altro nominati da Bottai per “chiara fama”. Li salvò dalla voluttà vendicativa dei comunisti e degli azionisti del Consiglio Superiore dell’Istruzione).

SarfattiBottai diresse due riviste importanti: una, Critica fascista, politica e l’altra, Primato, culturale, determinante anche per le indicazioni sulla letteratura del Novecento. Critica fascista gradualmente parve divenire perfino un periodico di opposizione, almeno contro il “revisionismo” di altri fascisti. Primato uscì per pochi anni, fino al ‘43, anno della tragedia del fascismo. Il nome della rivista si richiamava al primato morale e civile degli italiani indicato dal Gioberti. Vi collaborarono tra gli altri Gadda, Pintor, Alicata, Macchia, Falqui, Guttuso, Gatto ecc. Rivista dunque aperta a tutti gli scrittori e gli artisti a qualunque ideologia appartenessero. Fu pubblicata su Primato anche una antologia di poesie di Dino Campana. E tra gli amici più vicini a Bottai ci sono da citare Ungaretti, la Sarfatti (nel ritratto a sinistra), Brandi, Argan (come ministro dell’Istruzione fu Bottai a fondare l’Istituto Centrale del Restauro dove si impegnarono Brandi e Argan) e poi Betocchi, Bontempelli, la Banti, la Masino, ecc.

Nel ’31 Bottai fu chiamato dalla Normale di Pisa come professore di Economia comparativa scelto tra tanti altri per “chiara fama”. Partecipò a tre guerre, e poi fu in armi nell’ultimo periodo anche nella Legione Straniera: nel ’14 fu un valoroso alpino nella Grande guerra; alla Campagna di Etiopia andò volontario e alla vigilia della battaglia di Amba Aradam chiese a Badoglio, comandante delle truppe, di affidargli un battaglione per il combattimento. Alla guerra del ’40 forse non sarebbe andato ma ricevette una gelida telefonata di Mussolini che gli ordinò di arruolarsi, come fece con altri ministri e gerarchi. E Bottai andò con la “Julia” al fronte. Nella Legione Straniera stette per quattro anni, per lo più in Algeria sotto vari pseudonomi per non farsi riconoscere, ed ebbe per le azioni di guerra avanzamenti di grado.

Bottai in EtiopiaEcco le vere, le grandi delusioni che ebbe da Mussolini: la prima e forse la più lieve, fu quando di ritorno dall’Etiopia, Bottai si aspettava di avere un affettuoso incontro con il Duce e così non fu. (Dopo la vittoria in Etiopia, Togliatti dalla Russia inviò un telegramma a Mussolini esprimendo i suoi rallegramenti per la vittoria dei «fratelli in camicia nera». E Moravia parla di «eroismo fascista»). Subito dopo Mussolini decise da solo di invadere l’Albania. Se avesse consultato i più autorevoli e saggi suoi consiglieri – Bottai, Balbo, Grandi, Federzoni – sarebbe stato sconsigliato duramente. E, quel che risultò più grave, non volle tener conto dell’opinione di quei collaboratori ai quali si univa suo genero Galeazzo Ciano che era ministro degli Esteri quando, stretta l’alleanza con Hitler, Mussolini decise nel ’40 l’entrata in guerra. L’esercito non era sufficientemente addestrato ed equipaggiato. Mussolini contava sui milioni di baionette quando erano necessarie ben altre armi. Si vide subito dall’andamento della guerra: Mussolini, non si sa perché, fece attaccare la Grecia -«spezzeremo le reni alla Grecia» – ma le truppe italiane non procedevano di un passo non riuscendo a superare la resistenza dei greci. Ci vollero i tedeschi che arrivavano da tutt’altra parte a spezzare il fronte greco ricongiungendosi agli sparuti italiani.

Bottai-1954La sconfitta della guerra e del fascismo si definì quando gli alleati nel ’43 sbarcarono in Sicilia. Con un ordine del giorno firmato da Grandi, Bottai, Federzoni, Bastianini, Acerbo si chiese la riunione del Gran Consiglio. Si addossava a Mussolini la responsabilità della sconfitta. L’ordine del giorno fu approvato: Mussolini dovette dimettersi e fu posta fine all’avventura fascista iniziata nel ’22. Arrivavano i tedeschi e la Repubblica di Salò: cominciarono i processi ai fascisti “traditori”. A Verona, Ciano e tanti altri firmatari dell’Ordine del giorno del Gran Consiglio furono processati e fucilati. Bottai si salvò nascondendosi prima presso amici poi nei conventi, contando anche sull’aiuto di personalità della Chiesa dal momento che era stato in rapporti con personalità come Montini, Tardini, Pizzardo. Fu a lungo ospitato anche in un convento di monache.

Ma non era finita. Dopo la liberazione dei primi governi italiani facevano parte anche comunisti e socialisti (De Gasperi li fece uscire dal governo e il suo partito alle elezioni del ’48 prese la maggioranza assoluta: segretario della Dc era mio padre) e ricominciarono i processi. Bottai fu processato per le eventuali ricchezze accumulate e per le violenze e i soprusi eventualmente commessi. Si arruolò così nella Legione Straniera. Ai processi andava a rappresentarlo con forza e decisione la moglie. Nei processi Bottai fu assolto: era povero, non aveva mai fatto male a nessuno. Venne l’amnistia: Bottai tornò. Non vedeva i suoi cari da cinque anni. Ritrovò vecchie amicizie, quelle vere, tra le quali Don De Luca, consigliere assai stimato di Giovanni XXIII. De Luca lo invitava a colazione e lo faceva incontrare con personalità di quel periodo. Alcune volte andò anche mio padre che trovò Bottai segnato dal dolore confermando il suo giudizio positivo su di lui.

copNon si possono chiudere queste note senza parlare delle tristemente note leggi fasciste contro gli ebrei. Su questo capitolo il comportamento di Bottai risultò per lo meno sconcertante. Le leggi di discriminazione razziale furono sottoposte al voto del Gran Consiglio e Bottai votò a favore con entusiasmo. In ogni caso il provvedimento razziale sarebbe passato. Subito Bottai cercò di aiutare gli ebrei. Si avanza un’ipotesi machiavellica sul suo atteggiamento: se avesse votato contro, la sua azione umana non si sarebbe potuta verificare perché sarebbe stato sotto il controllo continuo della polizia. Ora, invece, insospettabile, avrebbe avuto mano libera. Possibile crederci? Comunque è certo che Bottai aiutò non solo le tante persone che andavano da lui al ministero per chiedere consigli e soccorso ma alcune grandi personalità della cultura. In un volume di critica letteraria curato da Luigi Russo, noto antifascista, Bottai consentì che apparissero gli scritti di D’Ancona, Momigliano, Fubini. Una volta, a Firenze per una riunione culturale, abbracciò Ugo Lombroso, con sgomento dei gerarchi presenti. Ettore Modigliani, sovrintendente a Milano per le Belle Arti, fu ufficialmente destituito ma per Bottai solo formalmente perché lasciò a lui tutti i poteri.

Infine un episodio che potrebbe essere l’emblema della vita di Bottai: in una giunta di centro-sinistra della Capitale, Francesco Rutelli sindaco propose di intitolare una strada di Roma a Giuseppe Bottai. La sua proposta fu bocciata. Quando nel ’59 Bottai morì sulla sua salma pregava il Cardinale Pizzardo.

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