Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

La fine del ritorno

Si compie il destino, Itaca è raggiunta. Adesso Ulisse, l’uomo di multiforme ingegno e la sposa fedele possono raccontarsi le sofferenze patite per l’assenza, nella lontananza. La resistenza è stata premiata: non cedere al nulla è l'essenza dell'Odissea

Il ritorno ha fine. Le avventure, le visioni, le sventure, i naufragi e gli incanti. Questo è il segreto ultimo, e il senso primo dell’Odissea: non cedere al nulla, credere al ritorno. Ora Ulisse è ritornato e rievoca alla moglie Penelope i momenti essenziali della sua avventura. È uno dei momenti culminanti del poema, poiché la narrazione coincide con il suo riconoscimento: sono passati anni, tanti anni, ma l’uomo conosce il segreto dell’albero da cui costruì il letto nuziale. Un albero è la prova della sua identità, di cui Penelope doveva diffidare, per fedeltà: troppe le insidie alla sua bellezza e al suo piccolo ma nobile regno. La velocità del racconto è un capolavoro nel capolavoro, se in poche righe l’uomo riassume il libro che ci ha incantati per ore. Prodigio che dovrebbe essere di modello di regia cinematografica: tutto quello che è accaduto nel corso del tempo, i mostri, le sventure, i naufragi, le avventure, le visioni, gli incanti è rivissuto in pochi minuti, accanto al letto nuziale, luogo del ricongiungimento. Questo è l’esito dell’Odissea di Omero, di cui l’Ulisse dantesco è invece, credo, nelle intenzioni del supremo Alighieri, una figura degenerata, incapace di accettare la quiete e il ritorno. Ritorno che è il senso profondo di ogni partenza, di ogni avventura: non perdita, ma trasformazione, non fuga, ma esperienza dell’universo.

 

ulisse-e-penelope

Allora si recarono felici sul luogo del letto antico.

E Telemaco e il bovaro Filezio e il porcaro Eumeo

smisero di danzare e dissero alla donna di smettere.

I due si coricarono nella grande stanza ombrosa.

Dopo che ebbero goduto del loro amore

i due sposi si misero a parlare, dolcemente, a lungo.

Lei, divina tra le donne, gli raccontava

le sofferenze nella casa che era invasa

dalla turba odiosa dei Proci, che sgozzavano bestie,

buoi e montoni, e attingevano alle anfore molto vino.

E Odisseo contava le pene che aveva recato ad altri

e quelle che egli aveva sofferto nel suo viaggio.

Narrava ogni cosa, e lei ascoltava con piacere,

e non le cadeva sulle palpebre il sonno mentre lui parlava.

Iniziò raccontando come aveva abbattuto i Ciconi,

e come poi giunse alla terra dei Mangiatori di Loto,

e gli orrori del Ciclope e come fu punito

per lo scempio dei valorosi compagni che aveva divorato.

E come giunse da Eolo e fu accolto e congedato,

anche se il destino non concedeva ancora il ritorno:

di nuovo fu trascinato via dalla tempesta

che lo portava tra le alte grida di lamento sul mare pescoso.

E poi Telepilo, città dei Lestrigoni,

che distrussero le navi e uccisero tutti i compagni.

Solo lui, Odisseo, fuggì con la nave.

E poi le narrò dell’inganno di Circe e della sua astuzia,

e come scese con la nave nel regno muschioso di Ade

per consultare l’anima del tebano Tiresia,

e là vide tutti i compagni di guerra,

e l’ombra della madre che lo aveva allattato da piccolo.

E le raccontò delle voci delle Sirene che aveva udito

e delle rupi di Plancte e la tremenda Cariddi,

e le narrò di Scilla da cui non si fuggiva senza danni.

E come i compagni uccisero i buoi del Sole,

e Zeus piombando dall’alto colpì la nave con la folgore,

e i compagni valorosi morirono.

E solo lui, Odisseo, sfuggì alle cupe dee della morte.

E le narrò dell’isola di Ogigia,

della ninfa Calipso che lo tratteneva in grotte profonde

nutrendolo, volendolo come marito,

e pronta a farlo immortale e immune per sempre da vecchiaia,

e come non riuscì mai a persuaderlo.

E le narrò di come arrivò soffrendo

all’isola dei Feaci che lo adorarono

con tutto il cuore e lo accompagnarono con la nave in patria,

dandogli in abbondanza bronzo, oro e vesti.

Questo fu l’ultimo racconto di quella notte,

quando lo vinse infine il dolce sonno,

il sonno che scioglie le membra e dissolve le pene del cuore.

Omero

(Dall’Odissea, traduzione di Roberto Mussapi, da The conversation of voices, Algra editore)

 

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