Gioacchino De Chirico
Un libro pubblicato da Giunti

Adua e l’elefantino

Adua, il nuovo romanzo di Igiaba Scego, è un ricamo sulla contemporaneità che mescola memorie private e storie pubbliche, passeggiando tra le culture e le tradizioni

È uscito in questi giorni in libreria Adua (Giunti, pp 192, euro 13,00), il bel libro di Igiaba Scego, scrittrice romana di origini somale, che rappresenta una delle voci più interessanti del nostro panorama culturale e letterario. Adua è il nome della protagonista di una narrazione che fa muovere intorno al suo personaggio una moltitudine di suggestioni emotive, di considerazioni esistenziali, di questioni storiche, politiche e antropologiche. Adua è una ragazza forte e curiosa. Pensa, a buon diritto, che il mondo sia anche suo e che lei non debba essere costretta a mendicare la vita e la felicità da qualcuno più potente di lei, perché bianco, perché maschio, perché ricco o perché violento.

Adua attraversa molte esperienze, che in più di una occasione sfociano nello scontro tra sensibilità e culture, e sono rese più violente dall’assoluta mancanza di percezione dell’altro, della sua dimensione culturale e della sua sensibilità. Insomma: sono rese violento dall’ignoranza, in molti casi, e non solo dai rapporti di forza.

igiaba scego aduaIgiaba Scego non si sofferma mai troppo a lungo su ciascuna di queste vicende. Le rappresenta adeguatamente e poi passa ad altro, interessata com’è, dal raccontare il molto che accade e i molti equilibri che vengono messi in discussione dalla presenza di una giovane donna nera nella società romana dove la storia è per gran parte ambientata.

Adua non è una storia di emigrazione, anche se la frase sulla fascetta che l’editore ha voluto mettere in copertina potrebbe farlo sembrare. Ma il tema delle attuali forme di migrazione sono subito presentate nel racconto di questa figura femminile che si propone ai suoi lettori usando spesso la tecnica del flash back. La non più giovane Adua ha infatti sposato un giovane immigrato per salvarlo dalla strada e dargli uno status in Italia. I due sono grati l’uno all’altra. Lei perché ha trovato un’affettuosa compagnia, lui perché è stato salvato. Ma fin dall’uso dei soprannomi irriverenti e crudeli che reciprocamente si danno, seguendo gli usi della comunità immigrata, si capisce che il loro rapporto non è destinato a durare.  Lei viene apostrofata come “vecchia lira” il giovane invece come “titanic”.

Adua è un libro sul presente di una persona che vive su di sé, nel cuore e sul proprio corpo, il tema della multiculturalità. La narrazione si muove sapientemente tra vicende africane, che riguardano gli anni della prima giovinezza, e vicende italiane in un continuo rimando di ricordi e suggestioni che viene elaborato in alcune “conversazioni” intime con la statua dell’elefantino del Bernini in piazza Santa Maria sopra Minerva. L’elefantino è un confidente e un amico. Si trova nella curiosa posizione di rappresentare al tempo stesso un animale di un altro continente, uno dei monumenti più belli e raffinati della città ed essere talmente radicato nell’antica cultura cittadina da essere più romano di tanti che sproloquiano di identità e di romanità.

In conclusione, Adua è il punto di arrivo di un lungo lavoro di ricerca e di riflessione che Igiaba Scego ha condotto a partire dal 2003 con Il nomade che amava Alfred Hitchcock (Sinnos) per arrivare a oggi dopo aver toccato picchi importanti nei volumi La mia casa è dove sono (Rizzoli, 2010) e Roma Negata (Ediesse, 2014) di cui è stata coautrice con il fotografo Rino Bianchi in un percorso attraverso i luoghi che “celebrano” il colonialismo italiano a Roma e che, in alcuni casi, hanno trovato un rinnovato protagonismo in quest’ultimo libro.

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