Alberto Fraccacreta
L'elzeviro secco

Urbino magica

Come Praga e come Pietroburgo, Urbino è un luogo dell'anima, più che una città piena di richiami all'arte e alla cultura. Beckett e Balzac spuntano da ogni vicolo...

Urbino è coacervo di cultura e ombre. Aggirandosi per le arterie del centro si possono notare: tre sosia di Luzi che camminano furtivi in fila indiana, con ciglia increspate, cinture a mezzobusto, borse di coccodrillo sotto gli occhi; un gemello di Kapuscinski, rabberciato alla meglio, fendente la piazza, sempre alle due del pomeriggio; Nietzsche, imbiancato dai proclami; Balzac di nerovestito, col foulard marroncino, la pipa perennemente accesa nel lento spegnersi dell’a­pe­ritivo. Da qualche vicolo giallo sbuca anche Beckett, scarnificato nelle sue stesse parole. Se mi è concesso costruire un parallelo poco fantasioso, Urbino credo assomigli, al contempo, a Praga e a Pietroburgo: città misteriose, poco loquaci, occulte. Ha qualcosa di arcano e ridanciano nello scriteriato inverno. L’alito s’impiuma nel gelo, le stalattiti di ghiaccio con tozze bolle d’aria inforcano, l’aria invitria l’acuto dolore dei pergolati. Qualcuno, sentitosi sopraffatto dall’accento impetuoso di queste povere impressioni, stiracchiando il naso e storcendo le gambe, dirà: «È un’esagerazione!». Vieni a verificare.

Urbino potrebbe essere scambiata per una poesia praghese, partorita in un’osteria di Vicolo d’Oro dall’improvvisazione venatoria di Jaroslav Hašek. Detto in modo più materiale: figurare come una suggestione cristallizzata, uscita dal Ponte San Carlo o dall’Hermitage, un’emanazione del di loro mirino. Si compenetrano l’aspetto cronachistico e la fascinazione poetica in un amalgama che non ha eguali al mondo. Referto e magnetismo sono la massima aspirazione per chi è inviato a stilare una cronaca oggettiva di tale città, cronaca che renda però giustizia ai vicoli solcati una volta l’anno, scoperchiati di sorpresa da pellegrini esanimi.

La flagellazione di Cristo di Piero della FrancescaUrbino diede i natali, oltre che a Raffaello e a Volponi, anche al meno noto Bernardino Baldi, Varrone del Cinquecento, genio della matematica e – si perdoni l’ardire – sorta di alchimista. Poligrafo come pochi. Il Baldi ben sapeva che Urbino è mostruosamente geometrica. A tal proposito si guardi La città ideale del Laurana o La flagellazione di Cristo di Piero della Francesca, nei quali geometria e irrazionalità coabitano miracolosamente.

Urbino è eletta “luogo dell’anima” per via delle sue scivolose prospettive (non ha nulla a che fare con l’essenza, ad esempio, della Prospettiva Nevskij, ma col puro nome: “Prospettiva Nevskij”; il collegamento vige nell’assonanza). Una sera di dicembre vidi un professore universitario intraprendere atteggiamenti di proskýnesis nei confronti della piazza, e mi meravigliai: in realtà aveva appena terminato un capitombolo madornale sul ghiaccio. Da vie come strettoie, chiuse a vene, infettate di muschio, urina e umidità, vien fuori lo scenario che ribalta la successione dei piani, allarga smisuratamente l’orizzonte visivo. Così spesso ci trinceriamo dietro le nostre minuscole visioni d’insieme, senza considerare che la vita è più ampia, sempre più ampia, e che dovremmo allargare noi stessi come il paesaggio incontenibile che d’improvviso scorgiamo, uscendo da una di queste vie. La vita è questione di prospettiva, di angolazione da cui si osservano le cose, di allargamento. Dalla Fortezza Albornoz Urbino appare diversa, quasi un’altra, i torricini si celano. Riusciamo ad essere altri, differenti dalle nostre mancanze?

A Urbino ho raggiunto tale meditazione (di cui vado molto fiero): Dostoevskij è filosofico-analitico, Tolstoj pittorico, Gogol’ comico-grottesco, Puškin nazional-popolare, Cechov lirico, terribilmente lirico. Perché proprio qui? Lungo Giro dei Debitori Dostoevskij potrebbe sillabare a sua moglie frasi assurde de Il giocatore. Gogol’ suonare ai campanelli di contrada Lavagine e fuggire sghignazzando in discesa. Tolstoj entrare nella Trattoria del Leone con passo pesante, sbattendo i pugni sul tavolo in noce, per un piatto di ravioli al profumo di casciotta. E il bel Cechov, corrucciato, bere lunghi bicchieri di kvas al Piquero.

Urbino, nel pieno della primavera, diventa – contro ogni possibile previsione – crocevia internazionale. Da un perentorio «gim’ dalla Gegia», da un cromatico «ennel’ so, cocca» esce di soppiatto la troupe di cineasti tedeschi che gira Der Poliziotto all’allestito bar Toto (già Il Cortegiano), mentre in via Saffi il re dei Bangwa del Camerun, con un turbante co­lor tappeto, assiste alla discussione di laurea di sua nipote.

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