Tina Pane
Alla libreria Iocisto di Napoli

L’Italia calpestata

Paolo Rumiz e Alessandro Scillitani hanno presentato il documentario sul loro "cammino nella memoria” che ha portato alla riscoperta dell'antica Via Appia, un tesoro dimenticato. Anzi, calpestato

Ha scelto la Libreria ad azionariato popolare Iocisto, Paolo Rumiz, come tappa napoletana del viaggio a ritroso organizzato per completare l’iniziativa Il cammino dell’Appia Antica. Insieme al regista Alessandro Scillitani, presente anche lui nella gremitissima saletta della libreria, Rumiz ha spiegato il senso e le motivazioni del percorso di quest’anno, già pubblicato a puntate su Repubblica nel mese di agosto e ora trasformato in tre dvd che hanno integrato con voci e immagini il racconto scritto e illustrato.

Rumiz parte da un aneddoto – un incontro nei pressi di Mondragone, tra canneti e bufale, tra degrado e prostitute, in cui gli è stato chiesto «Vi allenate per il Cammino di Santiago?» – per spiegare che la scelta dell’Appia Antica è stata dettata dalla volontà di esplorare una strada tutta italiana e di contrastare la “debolezza identitaria” degli italiani, mediamente convinti che sia necessario andare all’estero per trovare qualcosa d’interessante. «Un altro motivo era di fare un viaggio tutto a piedi, prima di diventare troppo anziano, usando le estremità inferiori come veri organi di senso». Così, guidati dalla quinta Satira di Orazio, Paolo Rumiz e il suo gruppo hanno camminato lungo un tragitto di 600 km che, nato per mettere in contatto il cuore della romanità e le terre del vicino oriente, procede in direzione sud-est, da Roma a Brindisi, verso quelle stesse terre che oggi – a cominciare dalla Grecia – «danno più preoccupazione» o vivono crisi profonde.

L’Appia, la regina viarum, la numero 1 dell’antichità, scelta da un gruppo di nordici anche come atto d’amore per il Sud del paese. «Non volevo limitarmi a raccontare una bella storia da leggere sotto l’ombrellone, volevo fare un viaggio utile, gettare il seme di qualcosa di duraturo. Anche per questo, appena terminato l’itinerario, abbiamo iniziato questo percorso a ritroso di incontri con le persone e con i soggetti che agiscono sui territori che abbiamo attraversato». E proprio in questi giorni il diario di viaggio sull’Appia Antica, comprensivo dell’elenco degli  obbrobri incontrati e dei suggerimenti dei lettori, è stato consegnato al Ministro Franceschini, che ha annunciato un progetto per la valorizzazione dell’antico tracciato.

Qualche dato: un viaggio che ha attraversato quattro regioni, il Lazio, la Campania, la Basilicata e la Puglia, realizzato in 29 tappe e suddiviso in due tranche da una pausa di una quindicina di giorni. La prima tranche, da Roma a Melfi, in tarda primavera, la seconda da Melfi a Brindisi, già entrati nei colori dell’estate. Un viaggio di zaini e scarponcini, senza macchina d’appoggio, neanche per le attrezzature di Scillitani, per stare costantemente in ascolto del territorio e delle sue voci: incontri, dialetti e testimonianze; meraviglie, sconci, sorprese. Un viaggio come pellegrini, mettendo a confronto la cartografia e la realtà, misurandosi con il caldo, la stanchezza e tanti interlocutori spontanei, aspettando la sera per trovare ristoro in una birra in più.

«A volte sarebbe bastato un tagliaerba per restituire l’accessibilità al tracciato dell’Appia, a volte non sarebbero state sufficienti le ruspe. In ogni caso, quello che più serve, e che speriamo possa essere attivato dal nostro viaggio, è un’acquisizione di consapevolezza da parte delle comunità locali. In Italia c’è indifferenza di fronte alla bellezza del territorio e alla possibilità di renderlo accessibile. Per questo, l’Appia – continua Paolo Rumiz – dovrebbe essere dichiarata bene sottoposto a tutela, con una segnaletica unificata; e gli enti locali dovrebbero fare rete tra di loro, per essere promotori dell’Antichità presente sui loro territori».

Anche la testimonianza del regista Alessandro Scillitani va in questa direzione: «Pensate che l’Appia oggi finisce nell’Illva e che un ragazzo di Bisaccia, per dirci che stava andando al suo paese, ci ha detto Vado al Piano Regolatore. Ma sono tanti gli esempi che dimostrano quanto poco conosciamo e amiamo la nostra memoria, quanto l’Antichità spesso rappresenta solo un ostacolo burocratico a costruire un edificio o una strada. Lo dico da emiliano originario di Foggia: il Sud esiste, ed è ricco di bellezze. Camminando a piedi, incontrando le persone per strada o sedute fuori all’uscio, come nei piccoli centri ancora si fa, abbiamo capito quanto una strada, più di qualsiasi altro elemento del territorio, metta in rete, crei comunicazione».

Andare a piedi, dunque, come unico sistema per conoscere il territorio. Un po’ come faceva il Barbarossa, che nel Sud dell’Italia si era costruito una rete di castelli distanti un giorno di cammino. O come fece, anche se in carrozza o a dorso di mulo, l’infaticabile bresciano Zanardelli, che da ministro volle viaggiare personalmente nel territorio della Basilicata, per conoscerne i problemi prima di varare una legge speciale. Entrambi i personaggi sono citati dagli autori di Il cammino dell’Appia Antica come esempio di governanti illuminati, che hanno messo i piedi sulla strada e la strada sul palcoscenico. Perché oggi, al di là dei basolati ricoperti d’asfalto, dei monumenti romani assorbiti nei terreni privati, delle mille offese al territorio, il male dell’Appia “è il malcostume italiano”, è la disabitudine dei cittadini a considerare un bene i beni comuni.

Quali esiti darà quest’impresa? Riuscirà ad avere una funzione civile e non solo narrativa? Nel corso del viaggio all’incontrario, Paolo Rumiz e compagni hanno saputo di un primo risultato, l’idea di una Maratona sull’Appia tra le cittadine pugliesi di Gravina e Altamura, «che hanno smesso di litigare per stabilire dove si faccia il pane più buono» e stanno collaborando a questo  progetto. Un esito altrettanto augurabile sarebbe quello di spingere la gente, soprattutto quella del Sud, a guardarsi intorno e, piuttosto che lamentarsi o deprimersi, chiedersi cosa può fare per la sua terra. Come la coppia di anziani incontrata da chi scrive pochi giorni fa sul litorale di Baia Domitia, località molto vicina a quella Mondragone citata da Rumiz, e irrimediabilmente deturpata dal cemento. L’uomo e la donna avevano un grande sacco di plastica e passeggiando raccoglievano i rifiuti trovati sulla spiaggia.

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