Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

La voce delle voci

L'impresa del poeta che, attraverso la traduzione, dà continuità alla sua specie e si fa attraversare dalla parola dei suoi Maestri. Vedi il caso di Roberto Mussapi e del suo “The conversation of voices”

Dopo la pausa di agosto, eccoci di nuovo ai battiti di un cuore che in realtà non ha mai cessato di pulsare. Oggi presento il mio libro The conversation of voices, pubblicato da Algra Editore nella collana “Ginestra dell’Etna” diretta da Maurizio Cucchi e Antonio Di Mauro (domenica 6 settembre, ore 11, Biblioteca Comunale di Aci Sant’Antonio, Catania, intervengono Antonio Di Mauro e Alfio Grasso, ndr), di cui Succedeoggi si è già occupato con un articolo di Loretto Rafanelli (https://www.succedeoggi.it/wordpress2015/05/poeti-in-conversation/). Lo presento in simultanea ai nostri lettori.

***
The conversation of voices, anche se non è un libro mio, intendo un libro scritto da me, è uno dei più complessi e difficili della mia vita. Quando si verifica un problema del genere, o lo affronti e superi, come puoi, o crei nel tuo inconscio un rimando infinito, che può danneggiare ogni tua futura impresa. Ho sempre tradotto, naturalmente, per vocazione, cercando in base alle affinità elettive di dar voce a quei poeti che sento appartenenti alla mia costellazione. In genere maestri, modelli. Il mio Pantheon. Non sono io, il poeta-traduttore, il salvatore della poesia, ma uno che dà continuità alla specie, che fa vivo oggi, nella sua lingua e nel suo tempo, qualcosa creato e detto e scritto in altra lingua a altro tempo. La mia versione non è l’unica valida, tutt’altro, ma è necessaria. Io sono il mio presente, un poeta è il presente, solo il presente, pena la rinuncia a sperare che l’opera perduri. La durata della poesia non è concessa se l’opera nasce da una fuga dal presente. Ma è resa possibile se il presente è dilatato, se l’attimo è graziato da un traboccante senso dell’eterno. Quando io traduco, curo, introduco, sto narrando. Raccontando l’avventura dell’autore, i suoi versi, il suo lavoro, la sua vita.

cop-VociChe cosa vuol dire tradurre? Sono anni, decenni che scrivo e parlo del tradurre. Soprattutto, pratico, traduco. Quando scrivo un libro tutto mio, di mie traduzioni, mi trovo in un poema di voci d’altri, spesso più grandi di me, fatte caparbiamente, ma anche umilmente, mie. Ecco il ritardo, la paura. Io sono anche le loro voci. Più sonanti, quasi sempre, della mia. Ma io continuo la specie dei poeti. The conversation of voices non è un libro che assomma traduzioni, è un libro mio dove la mia voce affronta tante voci che amo e che mi formano. Tradurre, per un poeta, è un viaggio nel buio, ambiguo: oscuro il tunnel in cui ti immergi, certa la strada tracciata dal poeta che ti precede. Sei lì, tra conoscenza e buio. Tradurre è un viaggio nel buio, ma il viaggiatore crede nella luce, l’ha vista, la ricorda, la riconosce, la ringrazia e ne alimenta il fuoco. The conversation of voices è un libro in cui la mia voce attraversa altre voci, o meglio è suscitata da altre voci: è scontato che, data la natura dell’opera, non compaia il testo nella lingua originale.
Il titolo, che sento davvero rappresentativo dell’impresa, è, non a caso, in lingua inglese, ma perfettamente comprensibile in italiano, alla lettera: “La conversazione della voci”. Se avessi pensato a “conversazione delle parole”, certo i termini word o speech o tanti altri affini, avrebbero creato difficoltà interpretative. The conversation of voices evoca The conversation of prayer di Dylan Thomas. Non a caso, anche se tutto è accaduto immediatamente, senza riflessione… Poi, a posteriori, la conoscenza di ciò che già era stato conosciuto intuitivamente e quindi esperito: per me le voci sono qualcosa di simile, apparentato a una preghiera. E la loro conversazione, in poesia, in tempi e lingue diversi, è un atto orante.

yeats

 Salpando verso Bisanzio

I
Questo non è un paese per vecchi. I giovani
abbracciati, gli uccelli sugli alberi,
generazioni morenti che cantano,
cascate di salmoni e mari affollati di sgombri,
pesce, carne, volatili lodano per tutta l’estate
qualunque cosa si generi, per nascita o morte.
Presi in questa musica dei sensi tutti trascurano
Monumenti di pensieri senza tempo.

II
Un vecchio non è che una misera cosa,
un abito stracciato su una canna,
se l’anima non batte le mani e canta, e canta più alto
per ogni strappo nel suo vestito mortale,
e non c’è scuola di canto che non sia indagare
i monumenti della nostra gloria:
così io feci vela sul mare e venni
alla sacra città di Bisanzio.

III
Voi, saggi, fissi nel sacro fuoco di Dio,
come incastonati in un mosaico d’oro,
uscite roteando dal sacro fuoco,
insegnate alla mia anima il canto.
Consumate il mio cuore, che malato di voglia,
e avvinto a un animale morituro
non conosce se stesso, e accoglietemi
nell’artificio dell’eternità.

IV

Una volta fuori dalla natura io non potrò riassumere
da cose naturali la mia forma corporea,
ma una forma d’oro battuto e foglia d’oro
che sbalzano i fabbri greci, a tenere
sveglio un sovrano sonnolento,
o immobile su un ramo d’oro a cantare
ai signori e alle dame di Bisanzio
ciò che è passato, o sta passando, o verrà.
William Butler Yeats

Facebooktwitterlinkedin