Alessandro Boschi
Il nostro inviato al Lido

La piccola bellezza

Arriva il film di Piero Messina, allievo di Paolo Sorrentino: il suo “L'attesa” è un film senza stile, che non prende rischi. Meglio l'amore oscuro di “Equals” Drake Doremus

Questa mattina alle 9.00, in Sala Grande, è stato proiettato il film in concorso L’attesa di Piero Messina. Allievo di Paolo Sorrentino, il regista italiano esordiente (nei lungometraggi) confeziona un prodotto che, in linea con  molte altre pellicole viste recentemente, manca completamente di una cifra stilistica originale, riconoscibile. Ciò che invece riconoscibile lo è, fin troppo, è il richiamo al cinema del già citato Sorrentino. Il risultato è un film ben recitato (c’è Juliette Binoche, c’è anche Giorgio Colangeli, mica pizza e fichi) senza sussulti, senza protervia ma anche senza alcun rischio. Il regista insomma preferisce andare sul sicuro, perdendo così freschezza e anche un po’ di sfrontataggine che sarebbe stato lecito aspettarsi in un’opera prima, che infatti un’opera prima non sembra. Ma si tratta di una produzione importante e quindi meglio giocare di conserva.

Oggi, sempre in concorso, è stato il giorno di The danish girl. Diretto da Tobe Hooper e interpretato dall’insopportabile, ovviamente premio Oscar Eddie Redmayne. Storia, vera, della prima transessuale (siamo alla fine degli Anni Venti), nata Einar Wegener e morta Lili Elbe. Il film è la parabola di un amore, di una grande amicizia, e soprattutto della difficoltà per una persona diversa (da chi? da cosa?) di vivere nella società. Oggi come allora, peraltro. Lili è una donna nata dentro ad un uomo, e che come un bruco cerca di diventare farfalla. Costi quel che costi. In tutto ciò supportata dalla moglie, ovviamente di Einar, e dall’amico d’infanzia. Uniche persone a volergli bene a prescindere, e a stargli accanto in virtù di un amore depurato da qualsiasi pregiudizio. Stupiscono un po’ le polemiche innescate dalla comunità transgender per il mancato utilizzo di interpreti realmente  transessuali. Ammetto che questa, se vera, mi appare come una grossa idiozia. Questo è un film, questi sono attori, e gli attori devono essere bravi. Bravi, prima di tutto. Se poi ci fossero attori altrettanto bravi e transessuali, tanto meglio. Ma questo non darebbe comunque loro il diritto di rivendicare il ruolo nel film. Questa è una scelta che spetta solo e soltanto al regista. Evitiamo simili autogol, per favore.

equalsUna storia d’amore è anche quella che racconta Drake Doremus in Equals, pellicola dalle atmosfere rarefatte di certo già viste ma perfette per una storia che si svolge in un futuro nel quale pur di evitare la presenza di qualsiasi manifestazione violenta si ricorre alla anestesia emotiva  delle persone. I sentimenti sono solo dei virus, dai quali non si guarisce se non con un ricovero coatto o con il suicidio, unico atto di libertà imprevedibile. Il film porta alle conseguenze estreme la relazione imprevista e proibita tra i due protagonisti, Kristen Stewart e Nicholas Hoult. A causa di un vaccino, di una cura, si avrà solo il ricordo dei sentimenti, ma non si “sentiranno”. Questa è forse la parte più interessante del film, vale a dire il suggerimento che forse anche gli amori più normali raggiungono la stessa deriva, si anestetizzano, si ricordano, ma non si sentono. Non per questo sono però meni veri.

Lasciamo in coda The daughter, di Simon Stone, un fuori concorso delle giornate degli autori. Ebbene, un melodramma che sembra il concentrato di un Raffaello Matarazzo d’annata, centrifugato con un pizzico di Douglas Sirk. C’è di tutto,una vecchia vicenda torbida tra i due capofamiglia, tradimenti in serie, un figlio alcolizzato, forse omosessuale, un suicidio, una prole illegittima. In Brasile, non ce ne vogliano, con questi ingredienti ci avrebbero ricavato una telenovela che sarebbe potuta andare come e forse più di Sentieri. Ma non quelli selvaggi, purtroppo.

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