Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Incontinenza celeste

Ecco l'errore di Icaro cantato da Ovidio: osare il volo impossibile per raggiungere il sole. L'imprudenza di un adolescente di un tempo altro, un eroe forse mancato che tocca il cuore e l'immaginazione nei secoli dei secoli...

Icaro è uno dei miti della gioventù: del suo sogno di volare, del suo precipitare. Il padre Dedalo, grande ingegnere, ha costruito il Labirinto, ma è condannato, per ragion di stato, a restarvi prigioniero. Solo elevandosi in volo l’uomo si può liberare dai vincoli che la stessa comunità per cui ha operato, gli impone. Non è nella città, nel reame, la libertà. Anche i Greci, certo non totalitari quanto Egizi e Persiani o Babilonesi, limitano la libertà spirituale dell’uomo: Socrate andrà incontro alla morte per rivendicarla. Icaro però è adolescente, non ha regole, è in quell’età che ieri, anni Sessanta, significava pustole e voce chioccia, oggi coma alcolici e droga taroccata comprata davanti alla scuola. Ai tempi di Icaro), Volo (ma fino a quelli di Shelley, di Foscolo, di Leopardi, di Fenoglio, di Luzi, di anche più giovani e altri resistenti).

Il suo errore è incontinenza celeste. Si avvicina troppo al sole. Si brucia. Muore in alto per ardore. Doveva rispettare le regole, sapendo che le ali apposte dal padre erano connesse al corpo con la cera. Volare a mezz’altezza, né troppo in basso né troppo in alto. Non resiste, è attratto dalla luce, dall’Oriente, dalla fonte di nascita del mondo, dal Sole. Vola, la cera si scioglie, le ali si staccano, il ragazzo precipita, in mare. Non ha resistito alla tentazione, erroneamente assoluta. Non diviene demente giocando, come un adolescente di oggi, al cellulare o al computer. No, muore per eccesso d’amore e incoscienza, come Janis Joplin, come Jim Morrison, come Jimy Hendrix. Non è un adolescente attore e vittima part time della scomparsa dal mondo (per colpe non sue, in parte). Ma un eroe. Mancato, certo. L’eroe vince tentazioni e debolezze, segue il suo compito. Ma un eroe mancato resterà sempre, nel cuore dei poeti e degli uomini immaginativi, qualcosa di simile a un eroe. Mai un fallito. Mai uno che ha rinunciato al volo e al sole.

 

Icaro

Icaro

Icaro adolescente se ne stava col padre,

e ignaro di maneggiare l’oggetto del suo pericolo

ridendo afferrava le piume sollevate da un soffio d’aria

o ammorbidiva con le dita la cera bionda,

rallentando con questi giochi il progetto paterno.

Finito il lavoro Dedalo si mise in equilibrio tra le due ali,

muovendo l’aria si sollevò dal suolo.

Poi le adattò al figlio dicendo «Icaro mi raccomando

devi volare a mezza altezza, non troppo basso

dove l’acqua del mare ti appesantisce le ali,

non troppo in alto dove il fuoco le brucia.

Vola tra l’uno e l’altro limite. Non osservare Beonte

o Elice o la spada sguainata di Orione:

compi il tragitto dietro la mia guida».

Lo istruisce al volo e gli adatta alle spalle le ali estranee.

Nel farlo e parlando si inumidirono di pianto

le guance rugose e tremarono le mani paterne.

Donò al figlio quei baci, che mai più avrebbe dato,

e sollevandosi sulle ali vola col cuore in pena per chi lo segue,

come un uccello che fa uscire dall’alto i nido i suoi piccoli…

Lo esorta a stargli dietro, gli insegna l’arte rischiosa agitando le ali,

ma guarda volgendosi quelle del figlio.

Un uomo che pescava con la tremula canna li scorse,

o un pastore appoggiato al bastone o un aratore all’aratro,

ne furono attoniti credendoli dei capaci di percorrere le vie del cielo.

E ormai a sinistra appariva Samo sacra a Giunone,

– dietro erano rimaste Delo e Paro –

e a destra Lebinto e Calimne ricca di miele,

quando il ragazzo fu preso da entusiasmo nel volo ardito

trascurò il padre guida e rapito dall’ebbrezza del cielo

diresse sempre più in alto il suo volo.

La vicinanza del sole cocente ammollisce le cere

che profumate tengon connesse le ali, le scioglie,

Icaro agita le braccia senza far presa.

Mancando il remeggio, e mentre la sua bocca invoca il padre

la chiude l’onda cerulea che da lui prese il nome.

E il padre sventurato che più non è padre

«Icaro, dove sei, dove sei, Icaro!» chiama,

«In quale parte del cielo dovrei cercarti?».

E continuava a chiamare «Icaro!» e vide sulle onde le penne,

maledisse la propria arte e ricompose in un sepolcro il corpo.

E dal giovane sepolto trasse il nome la terra.

Ovidio

(Da Le Metamorfosi, libro VIII, 200-235
Traduzione di Roberto Mussapi)

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