Fabrizio Coscia
A proposito di “Lettere alla Assente”

Capuana alla Steiner

Una raccolta (curata da Domenico Calcaterra) di interventi critici di Luigi Capuana in forma di lettere restituisce grande spessore analitico ed estetico al più desanctisiano degli scrittori

«Il pubblico non ha fiducia nei nostri “rivistai”; e se li chiama così non ha torto. Sono gente raccattaticcia, gente inacidita, alla quale manca il gran dono principale del critico: l’ammirazione». Così scriveva, poco più di cento anni fa, Luigi Capuana, nella prima delle sue tredici Lettere alla Assente, una curiosa raccolta di «note e appunti» (come recita il sottotitolo di quest’opera tarda), scritta in forma epistolare nella quale il celebre teorico del Verismo mette insieme le sue recensioni uscite sulle colonne della Tribuna, del Secolo XIX e del Marzocco, più qualcun’altra inedita. E proprio l’affondo polemico sui “rivistai” è uno dei motivi propulsori di quest’opera poco conosciuta, uscita nel 1904 e mai più pubblicata, fino a questa edizione critica curata da Domenico Calcaterra (Nerosubianco, pagg. 103, euro 12), che arriva in tempo a celebrare il centenario della morte dello scrittore catanese, avvenuta il 29 novembre 1915.

luigi capuana lettere alla assenteUn affondo che, con il suo accento sul «dono» dell’ammirazione, pone Capuana come antesignano di un certo modo di fare critica, allergico a tutti gli «ismi contemporanei» (per citare il titolo di un’altra opera critica di Capuana) e attento piuttosto all’incontro fecondo che può attivarsi tra lettore e opera, al «soffio dello spiraculum vitae», come sottolinea Calcaterra nella pregnante postfazione: un modo che oggi potremmo riconoscere in nomi di assoluto rilievo, come Harold Bloom o George Steiner (la cui critica si nutre di «ammirazione» per gli autori e i libri analizzati) o, per restare in ambito nazionale, in quella esigua schiera (tra cui va annoverato lo stesso Calcaterra curatore di questo volumetto) di «critici della vita», per usare una felice formula coniata da Massimo Onofri, per i quali l’atto del recensire è soprattutto una ricognizione nelle tracce di vita che l’opera d’arte contiene.

Titolo minore, le Lettere alla Assente restano tuttavia significative nell’ambito della prolificissima produzione di Capuana, all’interno della quale si riconosce ormai sempre più ampio consenso al versante critico (dieci volumi pubblicati nell’arco di un trentennio), rispetto alla narrativa e al teatro, dopo un lungo periodo di giudizi riduttivi su cui hanno pesato, come sempre, le parole di Benedetto Croce, che pur riconoscendo Capuana come «il più notevole rappresentante della scuola desanctisiana» lo relegava ingenerosamente «nella critica spicciola e giornaliera del teatro e dei libri nuovi».

capuanaQuesta insolita raccolta di recensioni viene immaginata in forma di lettere spedite a una donna, e dunque mescolando audacemente un tono salottiero e galante a dispute intellettuali e giudizi critici su opere e autori contemporanei. E se i nomi degli scrittori recensiti – tranne rare eccezioni, come Matilde Serao – al lettore di oggi non dicono più nulla, ciò che rende questo libretto ancora attuale e illuminante è proprio l’approccio critico di Capuana. Calcaterra mette a fuoco, sulla scorta di uno studio rivalutativo di Antonio Palermo, la ricorrente parola-chiave «sincerità» come categoria critica di Capuana, declinandola sul concetto di «forma» desanctisiana: una forma che doveva essere, per l’appunto, «creatura viva». Ecco, allora, che per Capuana critico, spiega Calcaterra, «il romanzo, la letteratura, l’arte in generale, dovevano giovare allo scrittore (e di riflesso non di meno al lettore), a conoscere e riconoscere i significati della vita; a rivelare i problemi dell’animo umano». Un concetto che lo scrittore esprimerà a chiare lettere in una conferenza tenuta a Messina nel 1905, intitolata non a caso «L’arte e la vita», dove Capuana accenna all’effetto della vera arte sul lettore, il quale «inconsapevolmente crea insieme all’artista», e può arrivare a servirsi delle sue facoltà intellettuali, raffinate e perfezionate dall’arte, «nella pratica della vita».

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