Paolo Ranfagni
La disunità europea

Vacanze in Grecia

La crisi greca sembra aver trovato una soluzione riformista. Che cosa è rimasto dell'allegra brigata di cavalieri italiani (da Vendola a Grillo) che andarono in pellegrinaggio il giorno del no?

In molti hanno partecipato con passione alla drammatica vicenda di Alexis Tsipras, leader di Syriza, che, dopo aver schiaffeggiato l’Europa con l’arma del referendum, ha finito, a forza o a ragione, per vestire i panni dello statista e cimentarsi nella titanica impresa di salvare il suo paese.

Più nessuno pare invece tenere a mente il curioso episodio che, qualche giorno prima, aveva visto sbarcare ad Atene un manipolo di politici delle varie famiglie della sinistra italiana, che non volevano perdersi la ghiotta occasione di partecipare dal vivo alla rinascita della democrazia in Europa. Quello della sinistra italiana è stato, a ben vedere, l’unico episodio di solidarietà al popolo greco da parte della politica europea, seguito con discreta curiosità dai greci e con partecipazione dagli italiani, anche grazie alla copertura giornalistica che ha assicurato commenti e in diretta su questo risveglio della democrazia. Sono accorsi rappresentanti dell’arco variegato della sinistra, dal Pd a Sel, compresi coloro che si stavano preparando a compiere il grande salto, tra gli altri Vendola e Civati, Fassina e Bersani. C’erano addirittura Beppe Grillo e i suoi grillini, senza riconoscersi nella sinistra, ma, più prosaicamente, in odor di “ucci ucci” e tanto gli bastava. Non a caso questi ultimi evitavano accuratamente di mescolarsi con i rappresentanti della politica tradizionale e sottolineavano di non essere interessati all’esito della consultazione popolare, ma soltanto all’evento in quanto tale, visto che anche loro intendevano, prima o poi, dare la parola ai cittadini italiani. Mentre il primo gruppo veniva, politicamente, a fare il tifo per il “no”, il secondo si dichiarava interessato soltanto a “vedere come si fa”.

C’era aria di festa, poco importava che fosse nebuloso l’oggetto del referendum, che Tsipras giocasse al leader populista che chiede al suo popolo un pronunciamento, e soprattutto che nessuno si figurasse le possibili conseguenze di quella vittoria del “no” per il popolo greco. «Ragazzi, questa è la democrazia» cantavano le sirene dei beati, soprattutto dopo l’esito trionfale del voto. Peccato che l’entusiasmo della vittoria sia durato appena lo spazio di una nottata. Al mattino l’allegra brigata aveva fatto le valige di buonora ed era ripartita. Tsipras era riuscito a blindare la sua leadership, ma le cose per i greci si stavano mettendo decisamente male.

Tutti sanno quello che è successo dopo: il licenziamento del ministro delle finanze Varoufakis e l’accettazione delle durissime condizioni poste dall’Europa e dagli altri creditori, l’approvazione in Parlamento delle riforme tanto contestate grazie al voto delle minoranze, mentre Syriza cominciava a perdere pezzi e la sinistra estrema infiammava le piazze. La Grecia (per ora) è salva, ma non si sa fino a quando, e Tsipras resta la sua unica chance di sopravvivenza, nel bene e nel male. Pare che il destino del giovane premier guardi ora decisamente al riformismo, se per indispensabile necessità del suo popolo o per convinzione maturata non si sa. Presto si celebreranno nuove elezioni e si potrà verificare se quel popolo lo segue ancora.

Ne sono successe di cose nel frattempo, ma di quell’allegra brigata alla ricerca della democrazia si sono perse le tracce. Stanno ancora con Tsipras e con le sue durissime riforme europee o con Varoufakis e la sua contestazione globale? Oggi, che ci sarebbe davvero urgente bisogno di esprimersi, su quel fronte tutto tace e di democrazia nessuno parla più.

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