Silvio Perrella
Uno scrittore in platea

Una notte di voci

Laurie Anderson e Philip Glass hanno riempito di poesia e malinconia il palcoscenico di Ravello. Un concerto perfetto che ha evocato Allen Ginsberg e Lou Reed

Un unicum, l’ha definito Stefano Valanzuolo, il direttore artistico del festival di Ravello.  Un esperimento fatto per la prima volta e che chissà se si ripeterà. Laurie Anderson e Philip Glass sullo stesso palco – e che palco! – accompagnati dal basso elettrico di Jonathan Rose. Un concerto di parola, una sorta di collezione di voci, una convocazione di suoni – Laurie al violino elettrico, Philip al pianoforte – sotto le stelle della Costiera amalfitana.

Si alludeva al palco: si tratta di una grande pedana che si protende a circolo nel vuoto. Laggiù le luci del lungomare di Maiori brillano come fossero in un cielo capovolto; tutt’intorno ci sono i giardini di Villa Rufolo.

La musica proposta dai due artisti americani ha un sottofondo ipnotico: non varca mai una certa misura, alterna la voce maschile a quella femminile. E in entrambi i casi non si tratta di voci che cantano: alle orecchie del folto pubblico giungono piuttosto scansioni di versi, recitazioni che stanno un po’ al di qua e un po’ al di del canto vero e proprio,

Anderson - Glass - ph Pino Izzo 06La dizione della Anderson è cristallina e in questo cristallo si vede con nettezza la malinconia che la percorre. Sembra di viaggiare per l’America che ha raffigurato Corman McCarthy ne La Strada. I suoni sembrano assiderati come il paesaggio nel libro era del tutto incenerito.

Glass percorre il pianoforte con dita nomadi; Anderson trae dal suo magro violino arpeggi che sembrano presi direttamente dal suo mondo onirico. Ed ecco che altre voci si accostano alle loro.

Prima viene in primo piano la versificazione larga di Allen Ginzberg in Wichita Vortex Sutra e poi sale col timbro urbano la voce di Lou Reed in Junior Dad. E si ha l’impressione di partecipare a una seduta spiritica; e si ha la sensazione che queste voci vengano direttamente dal fondo del mare circostante.

In entrambi i casi, le voci registrate di chi oggi non abita più il nostro mondo di vivi vengono circondate da un tappeto sonoro; è come se tutto accadesse adesso, in questo attimo, nell’oggi di questa sera passata insieme all’aperto.

Un grillo si risveglia e si unisce al concerto. Va a ritmo, forse è venuta anche a lui la voglia di onorare le voci di questi due americani che hanno trafficato energicamente con una poesia scabra e urticante.

Laurie Anderson si ferma a intonare Another day in America. E c’è una strofa in cui passa dalla sua lingua all’italiano. La voce si fa straniata: da femminile si trasforma in maschile. Sembra la voce di un orangotango. E si chiede: come possiamo ricominciare? Cosa può farci stare ancora insieme?

Anderson - Glass - ph Pino Izzo 12Il pubblico di Ravello applaude la fine di un concerto di parole. Gli artisti tornano sul palco. Ma nessun bis viene concesso. È tempo che la notte riprenda tutto il suo potere; adesso la pedana che finisce in un semicerchio si sporge sul vuoto in piena solitudine.

I tempi di Oh Superman e di Einsten on the beach sono lontani. Oggi questi due signori americani, attorno ai quali staziona un alone di mito, ci hanno invitato a passare una serata con loro. E nel dopo concerto vederseli venire tra noi con assoluta naturalezza, disponibili al colloquio, a tratti sorridenti, ti fa pensare che in quei suoni assiderati deve esserci qualcosa che solo con il tempo crescerà dentro di te, scalpellandoti la necessità di una comprensione più ampia. Ci sarà tempo per ricominciare?

Le foto sono di Pino Izzo

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