Nicola Fano
In memoria di un grande scrittore

La notte di Vassalli

Era un eremita della letteratura che fuggiva dall'indeterminatezza degli italiani. Ma alcuni suoi romanzi (da «La Chimera» a «Marco e Mattìo») hanno cambiato il nostro immaginario: ricordo di Sebastiano Vassalli

Sebastiano Vassalli era un grande scrittore, forse il maggiore di questi decenni, anche se negli ultimi tempi si era un po’ troppo isolato e perduto: non si può essere al culmine della creatività per sempre. La notte della cometa, La chimera, Marco e Mattìo sono romanzi che resteranno nella storia. Non solo perché sono scritti con maestria, ma anche perché per primi hanno posto la questione dell’identità italiana. Vassalli capì con largo anticipo (come capita solo ai grandi scrittori) che il nostro Paese stava per perdere la sua identità a causa della sua incompiutezza. E con i suoi romanzi ha sempre tratteggiato da un lato questa incompiutezza (pensate a Il cigno, 1993, dedicato ai traffici dell’orribile Francesco Crispi, prototipo del trasformismo italiano) e dall’altro lo sforzo titanico (e inutile) di quanti hanno cercato di dare finitezza alla nostra identità condivisa.

sebastiano vassalli2In Vassalli, la letteratura non è mai stata disgiunta dalla Storia. E attraverso le sue storie minime ha intessuto i fili della grande Storia: a dimostrazione che c’è più verità nelle pieghe della realtà che nei documenti certi. Lo provò anche in concreto, sia affrontando (primo e apripista di un genere che poi è diventato di moda) la biografia narrativa (con lo strepitoso romanzo della vita di Dino Campana, La notte della cometa, 1984) sia componendo uno notevolissimo reportage come Sangue e suolo (1985) dedicato alla questione altoatesina. Qui, in questo libro, anzi, è possibile leggere in filigrana quella che sarebbe stata la parabola della Lega: proprio la politica del rilancio costante dei Sudtirolesi (che ogni volta chiedevano e chiedono qualcosa in più al governo italiano in cambio della pacificazione) sta alla base della strategia seguita (con tragico successo) da Bossi. Non a caso è alla coppia Bossi/Berlusconi che si deve la dissoluzione culturale dell’identità italiana. E Vassalli, impegnato sul fronte dell’immaginario collettivo ma contrario alla retorica dell’impegno, lo aveva capito benissimo.

sebastiano vassalli tempo di massacroIn gioventù Vassalli (nato a Genova nel 1941) era stato romanziere d’avanguardia. Fanno simpatia, nel marasma del Gruppo ’63 al quale partecipò, suoi romanzi come Tempo di Massàcro o L’arrivo della lozione: anche in quelle prove un po’ ingenue c’era la ricerca quasi spasmodica del nocciolo duro dell’identità italiana (con un occhio impietoso su quello che lui chiamava «il salto della quaglia» fatto dagli italiani che da fascisti si trovarono tutti antifascisti). D’altro canto, Vassalli ha sempre guardato con profondo affetto la sua gioventù d’avanguardia, senza mai ripudiarla fino in fondo: piuttosto in privato considerandola come una fase di passaggio inevitabile. Ciò che non è stato per una generazione intera di avanguardisti che per tutta la vita hanno continuato a fare i monelli come se la rivoluzione permanente fosse il sistema migliore, per loro, per continuare a mantenere posizioni di potere.

sebastiano vassalli la chimeraMa è con La Chimera (1990) e Marco e Mattìo (1992) che divenne il massimo romanziere italiano. La storia straziante di stregoneria nel segno di Carlo Borromeo e quella non meno angosciante dell’utopia e della povertà nella Val di Zoldo rappresentano due tasselli fondamentali del muro italiano edificato da Vassalli. Un ritratto a tutto tondo del conflitto tra poteri e miserie, tra sogno umano e sociale e concretezza delle “istituzioni”. Proprio nelle pieghe di questa secolare contraddizione che – diceva Vassalli – ci ha fatto tutti servi, anche coloro che si credono padroni, lo scrittore coglieva la peculiarità del nostro essere e del nostro immaginario collettivo. La scrittura, nei suoi romanzi maggiori, proponeva al lettore uno strano gioco: raccontava come assolutamente vere storie incredibili. In questo, Vassalli coniugava la genialità del realismo magico di García Márquez e la pedante follia antirealista degli autori delle agiografie dei santi (i romanzi che prediligeva, diceva con ironia).  Non a caso, La Chimera racconta fatti accaduti alla fine del Cinquecento, come non è casuale che Vassalli abbia cercato di chiudere il cerchio con un romanzo di fantascienza (non del tutto riuscito) ambientato nel 3012 (3012: L’anno del profeta, 1995). Né può stupire che, al di là della riuscita dei suoi scritti, l’ultimo Vassalli sia caratterizzato da una sorta di afasia linguistica, una specie di gioco a togliere (parole, idee, concetti…): il suo pessimismo, nel tempo, era diventato totale. E amaro.

sebastiano vassalli3Ho conosciuto Vassalli alla fine degli anni Ottanta e l’ho incontrato e intervistato molte volte: tra noi si era instaurato un curioso rapporto di simpatia e rispetto interrotto quando mi permisi di fare qualche rilievo di troppo a un suo romanzo (secondo me) meno riuscito. Mi conduceva a passeggiare tra l’umidità desertica delle sua campagna tra Vercelli e Novara e si divertiva a mettere alla prova le mie paure di cittadino, ogni volta indicandomi con gusto le serpi o i ratti che incrociavano la nostra strada. La prima volta che lo incontrai, invece, fu nella sua vecchia casa: una canonica enorme e gelida che riscaldò (s’era in febbraio, credo) mettendo un solo piccolo legno ad ardere in un enorme camino. Non dimenticherò mai la maestria con la quale gestiva quel piccolissimo ciocco usando un semplice, minuscolo attizzatoio: mi parve una raffigurazione metaforica della sua perizia nel trarre da una lingua tutto sommato semplice (ormai rifuggiva le peripezie linguistiche dell’avanguardia) tali e tante meraviglie. Né facilmente scorderò il freddo che patii in quell’occasione: ne diedi conto nell’articolo che scrissi e lui con simpatia mi rimproverò che non avrei dovuto spingere troppo sul pedale pauperistico, nel descrivere la sua vita. Eppure proprio così mi parve e così lo ricordo: un eremita della scrittura, scappato dall’indeterminatezza dei suoi concittadini. Peccato non ci sia più, peccato davvero.

Facebooktwitterlinkedin