Pasquale Di Palmo
Quarantotti Gambini cinquant'anni dopo

Un italiano sbagliato

Un irregolare. Così si considerava lo stesso scrittore istriano. Il suo stile si discosta da quello degli autori del suo tempo inserendosi nella grande tradizione letteraria di Svevo, Saba, Michelstaedter, Bazlen... Una raccolta di “Opere scelte” lo sottrae oggi dalla damnatio memoriae

Quest’anno si celebra il cinquantesimo anniversario della morte di Pier Antonio Quarantotti Gambini, narratore che ebbe una certa notorietà in vita e la cui figura venne quasi completamente rimossa dal mondo editoriale e dalla nostra intellighenzia dopo la sua prematura scomparsa. È perciò da accogliere con soddisfazione l’iniziativa di Bompiani che manda in libreria, nella collana dei “Classici della letteratura europea” diretta da Nuccio Ordine, le Opere scelte dell’autore istriano (1524 pagine, 35 euro). Il volume, curato da Mauro Covacich, comprende alcune delle prove più significative di Quarantotti Gambini, a cominciare dal romanzo L’onda dell’incrociatore, originariamente pubblicato da Einaudi nel 1947, il cui titolo venne suggerito da Umberto Saba con il quale il narratore ebbe una lunga frequentazione, documentata dal carteggiointitolato Il vecchio e il giovane, edito da Mondadori nel 1965 e qui riproposto integralmente.

La vicenda esistenziale e letteraria di Quarantotti Gambini si configura come quella di un autore irregolare rispetto ai canoni stereotipati del suo tempo. Lo stesso scrittore, nell’intervista a Gian Antonio Cibotto uscita sulla rivista “La fiera letteraria” il 15 novembre 1964 che viene ristampata in calce al volume, osserva al riguardo: «Se un giorno dovessi scrivere la mia autobiografia, la intitolerei Un italiano sbagliato. Come uomo, sento di essere qualcosa di simile a uno straniero in patria. Proprio quel modo di essere e di pensare che poteva fare di me un cittadino normale in un’ipotetica Italia un po’ nordica e molto europea (quell’Italia per cui i Giuliani sospiravano ai tempi della loro soggezione all’impero austroungarico, senza rendersi conto ch’essa, in realtà, non esisteva) mi mette fuori fase tra la maggior parte dei nostri connazionali».

Quarantotti GambiniD’altronde basta leggere alcune delle pagine presenti in questo volume per rendersi conto della profonda diversità che intercorre tra le opere di Quarantotti Gambini e i narratori del suo tempo. Prima di tutto sul piano stilistico, in quanto i suoi romanzi, i suoi racconti, i suoi saggi sono caratterizzati da uno stile sorvegliatissimo e misurato, che rimanda, nella sua innegabile eleganza, a una precisa tradizione e a un retaggio letterario che è quello della Trieste della prima metà del Novecento, la Trieste dei Saba e dei Giotti, di Anita Pittoni e degli Stuparich, di Bobi Bazlen e di Marin, con sullo sfondo le figure ormai mitiche di Svevo, Joyce, Slataper, Michelstaedter. Non è un caso che l’autore sottoponesse i suoi manoscritti a lunghi lavori di revisione, simile in questo a un altro romanziere atipico come Romano Bilenchi.

Insieme all’Onda dell’incrociatore uno degli apici della narrativa di Quarantotti Gambini è costituito dai Giochi di Norma (Einaudi, 1964) che, sulla falsariga di quell’autobiografismo che caratterizza molti suoi scritti, ripercorre l’infanzia e l’adolescenza istriane durante il clima degli anni successivi alla Grande guerra. Lo scenario bellico costituirà un leitmotiv anche per altri libri, qui riprodotti: Amor militare (Einaudi, 1955) e Il cavallo Tripoli (Einaudi, 1956). Tali titoli, accorpati ad altri esclusi dal presente volume – Le redini bianche (1967), La corsa di Falco (1969), Le estati di fuoco, L’amore di Lupo (1964), versione riveduta di Amor militare – costituiscono l’ossatura del ciclo narrativo Gli anni ciechi, pubblicato, al pari di quelli citati, da Einaudi postumo nel 1971. Gli anni ciechi rappresentano una sorta di inimitabile recherche basata sui ricordi di Paolo, il ragazzo protagonista che scopre il mondo a contatto con alcune figure d’antan come quelle dei nonni, degli zii, dei genitori, del cocchiere Toni, con sullo sfondo un bestiario dai tratti quasi leggendari in cui spiccano i caratteri ombrosi o rassicuranti degli amati cavalli.

Bisogna considerare d’altronde come la narrativa di Quarantotti Gambini sia imperniata sul recupero di un’infanzia e di un’adolescenza contrassegnate da un singolare connubio tra morale e spietatezza. Qui sono da ricercarsi gli esiti più felici dell’autore istriano, in quella sorta di “aura” favolosa che contraddistingue quasi tutte le sue pagine memorialistiche, in cui bambini e adolescenti sono ritratti in maniera rigorosa, non disgiungendo mai quella compartecipe estraneità al mondo degli adulti da punte di ostinata crudeltà.

cop QuarantottiCompleta l’antologia la riproposta di alcuni testi saggistici particolarmente riusciti: Sotto il cielo di Russia (Einaudi, 1963), Primavera a Trieste (Mondadori, 1951) e Neve a Manhattan (Fazi, 1998). In Primavera a Trieste vengono rievocate, attraverso un dolentissimo diario, le vicende dell’occupazione della città da parte delle truppe titine e alleate, con un’inequivocabile presa di posizione per l’italianità della stessa sostenuta dalla popolazione e dalla maggior parte degli intellettuali (Quarantotti Gambini era, all’epoca, direttore della biblioteca civica, incarico dal quale sarà esonerato nonostante il riconosciuto antifascismo e alle cui controverse vicissitudini rimanda l’introvabile libello Un antifascista epurato, edito a proprie spese a Milano nel 1946, accolto nella ristampa di Primavera a Trieste del 1967 e qui meritoriamente riproposto).

Quarantotti Gambini vivrà dal 1945 in poi a Venezia, in una sorta di volontario esilio che lo porterà a dedicarsi quasi esclusivamente alla scrittura, per morire un ventennio più tardi, il 22 aprile 1965, a causa di un infarto provocato da «una drammatica discussione con un esponente neofascista della nobiltà veneziana a una cena di gala», come recita la nota biografica presente in calce al volume. Non resta che ricordare qualche altro titolo che, per mancanza di spazio, non è stato ospitato in queste Opere scelte: il trittico di racconti I nostri simili (Edizioni di Solaria, 1932), già apprezzato da un recensore d’eccezione come Eugenio Montale, i romanzi La rosa rossa (Fratelli Treves, 1937) e La calda vita (Einaudi, 1958), il libro in versi Racconto d’amore (Mondadori, 1965) e i ricordi confluiti in Il poeta innamorato (Studio Tesi, 1984). Il lettore, volendo, potrà procurarseli per una manciata di euro tramite i canali dell’antiquariato. Un consiglio: ne vale la pena.

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