Marta Morazzoni
“Fama tardiva”, un racconto lungo

Schnitzler, l’anatomista

È tra gli ultimi lavori del grande scrittore viennese questo spaccato lieve e impietoso della società del suo tempo. Che prende le mosse dalla vicenda di un poeta dimenticato, di nuovo circondato da un’inattesa attenzione…

È tra gli ultimi se non l’ultimo lavoro di Arthur Schnitzler questo Fama tardiva (Guanda, 168 pagine, 16 euro), un racconto lungo dal passo misurato, dallo sguardo disincantato e impietoso, aggettivo questo che connota sempre una bella misura dello scrivere. D’altra parte il temperamento del medico-scrittore viennese non è mai venuto meno alla determinazione di leggere nel profondo dell’animo umano con la lucidità dell’anatomista o meglio del fisiologo, che studia funzioni e connessioni del sistema uomo. In questo caso poi l’oggetto dell’indagine è l’uomo scrittore, una tipologia particolare, su cui lo sguardo di Schnitzler si esercita in un non so quanto involontario “medico cura te stesso”.

La trama è semplice e si articola attorno alla vita quieta di un uomo che in gioventù è stato poeta, ha pubblicato una raccolta ormai dimenticata forse anche da lui, che ora guarda da una serena distanza il tempo perduto dell’ispirazione e quel senso di diversità di chi sente in sé il germe dell’artista. Poi di colpo qualcuno, un giovane poeta arrabbiato dell’indifferenza del mondo verso la sua opera e verso la poesia in genere, lo richiama alla sua antica vocazione, lo elogia come un grande e lo elegge a maestro di un gruppo di altri giovani artisti che rivendicano il diritto alla fama che il mondo, ignorante e distratto, nega loro. E Eduard Saxberger, il vecchio autore della raccolta Passeggiate, si trova al centro dell’attenzione di un circolo di intellettuali e artisti che lo considera il capofila di una rinascita della poesia e lo propone come il nome di maggiore attrazione per una serata di letture che dovrebbe scuotere la città dal suo torpore e sensibilizzare la stampa sui veri valori dell’arte.

Cop SchnitzlerNon voglio raccontare come si concludono questo breve romanzo e questa serata: nella strategia narrativa di Schnitzler le tessere del mosaico sono poste con cura a comporre un disegno illuminante. I caratteri dei singoli personaggi si profilano chiari, il palcoscenico della storia si accende e le zone d’ombra vengono snidate: Schnitzler profonde la sua arte introspettiva e con pochi, pacati tratti smaschera ipocrisie, inganni e soprattutto autoinganni. C’è il sottile argomento dell’età, su cui lo scrittore aveva lavorato ne Il ritorno di Casanova, meditazione profonda sulla decadenza, là affrontata con tragica lucidità, qui vista con pacatezza e disincanto, e vi affianca lo sguardo sulla vanità accecante dell’artista e sul suo egocentrismo. I due temi sono di peso ma la struttura su cui si appoggiano sembra alleggerirli: la cifra sorprendente di questo lungo racconto sta infatti nella mancanza di veleno, di acrimonia e recriminazione nell’animo del protagonista. In fondo alla disillusione, che estirpa la gramigna dell’illusione di un momento, riconosciamo uno sguardo lucido e positivo, che riconduce il concetto di fama a un saggio conosci te stesso, oltre che al senso di transitorietà.

Senza addentrarci nel canto dei superbi nel purgatorio di Dante (non è mondan rumore altro ch’un fiato/ di vento…), nella pagina di Schnitzler prende corpo l’autocoscienza che toglie la maschera della vanità. Nessuna intenzione di allungarci una lezione di morale sul concetto di modestia, che a volte è un’arma a doppio taglio in questo scorcio di società fine ‘800. La traccia di un possibile romanzo a chiave, in cui si delinea la società viennese nel suo ultimo tempo felice, raccontata per schizzi di figure che potremmo riconoscere, da Hofmannsthal a Hermann Bahr allo stesso Schnitzler, non è di per sé una ragione sufficiente di questo racconto: è vero che l’autore ha avuto davanti a sé modelli interessanti, ha lavorato di ritratti e autoritratti, il che rende sociologicamente e storicamente attraenti la trama e l’analisi dei diversi caratteri. Ma è anche vero che mentre, in uno stile lieve e scorrevole, accompagna passo a passo il lettore dentro un ambiente colto e autoreferenziale, gli illustra anche la parte più piccolo borghese e in fondo più grossolana della Vienna del suo tempo, forse quella che faceva inferocire Karl Kraus. Tra due mondi, quello del caffè dei poeti e quello della trattoria dei prosaici, Schnitzler traccia una demarcazione, ma non dà un giudizio di valore, o meglio, se mai pende dalla parte della gente comune verso cui torna il vecchio Saxberger, non più poeta, ma di certo uomo libero.

 

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