Loretto Rafanelli
Poesia: “Lʼadolescenza e la notte”

Le stanze del tempo

Nella sua recente raccolta Luigi Fontanella evidenzia il centro nevralgico del suo vissuto in un continuo ritorno a ciò che “non ritornerà mai più” e che si fa fonte poetica

La poesia ricorre alla memoria individuale quasi in modo ossessivo. Si pensi a Heaney e alla sua piccola comunità rurale irlandese o a Giampiero Neri con la sua Milano, o a Zanzotto con i ricordi nella campagna di Soligo. Sono passaggi decisivi per rintracciare la storia personale e collettiva dei singoli poeti e ciò sicuramente nasce dallʼesigenza di rivendicare una identità vacillante o riscoprire un segno del tempo passato, come lo stesso Heaney più volte ha ricordato. Non sorprende quindi che anche Luigi Fontanella, un poeta “universale”, che vive prevalentemente tra Long Island e New York (dove insegna da lungo tempo, alla State University), e ritorna varie volte allʼanno in Italia, tra Firenze e Roma, si affidi ai piccoli spazi della sua infanzia trascorsa a Salerno, oltre mezzo secolo fa. Nel suo recente libro, Lʼadolescenza e la notte (Passigli Editore), Fontanella evidenzia in modo del tutto chiaro che quel tratto infantile è veramente il centro nevralgico del suo vissuto che, pur arricchito nel tempo di considerevoli esperienze, rimane un dato essenziale, decisivo, della propria esistenza, da cui non può e non vuole allontanarsi. Un continuo ritorno a una soglia che diviene grumo interiore e fonte poetica, con lʼamara certezza che «ciò che ci appartiene veramente/ non ritornerà mai più. Il freddo/ stanotte consuma le ossa e/ lascia i vivi senza compagnia».

col fontanellaUna stagione breve e lontana, eppure decisiva per la vita del poeta e, aggiungiamo, anche per il suo mondo creativo. È la stagione trascorsa tra scuola e lievi tensioni amorose, amicizie e giochi, liti adolescenziali e piccole contese sportive, campagne incantate e dolci rapporti familiari. Esperienza che si fa pulsante visione e misura la malinconia dellʼoggi per quella felicità di un momento breve, fuggito con la rapidità del vento. Eppure, pur in quel fluire veloce, quel sentire fa dire al poeta: «lʼadolescenza/ è assoluta ed eterna./ È lʼunica cosa che resta». Ma forse si è anche scolorita in un preciso istante, quando: «Aspetto Anna sotto il cavalcavia/ di Fratte, Via Sabato de Vita./…/ Lasciamo Salerno per sempre…/ Ho tredici anni. Si sta facendo/ tardi. Aspetto Anna sotto il cavalcavia. Non verrà». Le poesie di questo libro sono immerse completamente nel ricordo di quegli anni e sono ricordi sospesi tra lo struggimento della lontananza e la felicità di un ricomporsi, momenti che si inseguono nelle giornate, in «quel girovagare e ritornare/ sullo stesso balcone…». Quel campetto rustico o quel cortile che «è un campo di battaglia», e ci sono Tonino Iannone e Franco Arpino, Aldo Stella, colpito e sanguinante, e Valerio Sardella, il proprio Nestore. Ricordi di slanci giovanili che poco hanno a che fare con i racconti epici o con lʼalgido verticale incontro con il gesto eroico di altri poeti, perché qui le scene ci paiono intrise di un sangue che scorre nelle vene della versificazione e se pur contrassegnate da una ferita, man mano che si evidenziano lasciano non il freddo lastricato di una distanza, ma il manto caloroso e dolce di una memoria, che non è mai lacerazione, ma solo accesa confessione di una apertura amorosa.

fontanellaLʼaltra parte del tempo è forse solo la perenne notte della avanzata maturità, che sempre più incombe. Il titolo del libro, Lʼadolescenza e la notte, è già esplicativo e indirizza il lettore nella ambivalenza di uno sguardo che via via si fa più incerto, quasi angoscioso. Eppure quella notte che ci travolge e «sorprende chi lʼattraversa», può essere anche semplicemente una parte del giorno che «assorbe tutto, che custodisce/ o rinnova il silenzio, i giochi della mente» e diviene infine «Sorella notte,/ Madre notte», quindi anche conforto. Poi è necessario arrendersi al fatto che «Ogni notte porta il proprio destino» e può essere lʼultima e divenire una «notte lunga e impietosa». Comunque inevitabile, così come il corso degli anni e le stagioni della vita, tutte vissute con la consapevolezza che il tempo reclama i suoi diritti, e allora si potrà dire solo «Ci saranno altri giorni. Altre/ partite altre scale/ da discendere sempre/ più in fretta, volando/ sul corrimano… palla da bigliardo/ che sbatte impazzita/ e precisa di sponda in sponda». La notte non è che lʼaltra faccia dellʼadolescenza, è un filo che non ha pause, e si colloca nella realtà di un momento che coinvolge buona parte del tempo vissuto e portato sempre vicino al cuore senza pensare a rinascite o a condanne, o alla fine. Perché è solo il necessario sguardo alle varie stanze del tempo, che è incessante e deciso nella sua fretta di porre nellʼattesa qualcosa che fugge senza nessuna clemenza, ma senza neppure ansia, perché tutti sono nel solco del destino. E la morte Notte (quella maiuscola è dellʼautore e già chiarisce molto), «cancella ogni rumore/ e della mente ogni dolore», ed è salvifica in qualche modo, perché ci dispone a un prima e a un dopo con la leggerezza che la vita non ha e non può avere, quella Notte che congiunge tutto e diventa la linea tenue della nostra vita, come il poeta sospira in questa bella poesia:

La Notte stanotte è una lieve ballerina
un minuscolo pellicano che
vola tra bianchi vapori
porta nel becco, come un lampo,
la mia giovinezza… un filo dʼerba
– ora improvvisamente ricordo – un filo dʼerba
fu il primo regalo di Emma.

 

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