Ella Baffoni
Un giorno tra gli immigrati sulla Tiburtina

Com’è Cupa Roma

Facce sospese, senza speranza, forse in cerca di un buco nel muro di indifferenza e rabbia alzato contro di loro. Tra i “clandestini” del centro di Via Cupa, a Roma, dove l'Europa è morta

Baobab, via Cupa, Roma. L’emergenza è qui, la vedi subito. Nella lunga fila di ragazzi che aspettano, seduti per terra fin sulla via Tiburtina, chissà cosa. Nella folla di volontari disorganizzati che cercano di dare un ordine alle fila di persone che si presentano spontaneamente, chi con una busta, chi con il bagagliaio della macchina, pieni di magliette, pantaloncini, scarpe da ginnastica, cibo e saponi. Una lunga fila di formiche anonime e volenterose.

L’emergenza è qui, e qui naufraga l’Europa. Qui ci sono persone in fuga da guerre o carestie, da fame e fucili: in Sicilia hanno trovato un biglietto di treno, alla Stazione Tiburtina hanno trovato polizia e sgomberi. Nei loro occhi c’è la pazienza di chi non ha altra strada, aspettiamo e passerà la nottata, intanto mi siedo per terra. Non vogliono dare il loro nome né le impronte digitali: sanno molto bene che se venissero identificati sarebbero costretti a vivere in Italia anni in attesa dello status di profugo. Anni, e intanto c’è un fratello, un cugino, un padre che li aspetta lì dove la loro vita può ricominciare davvero.

Al Baobab non li identifica nessuno. Nella vicina tendopoli non li identifica nessuno. Lì li aspetta un posto in tenda, bagni, ambulatorio: non una nuova vita, né una speranza. Quella è oltre il ponte, oltre la frontiera che improvvidamente è stata rialzata da un’Europa a due velocità: merci sì, uomini no.

Roma via Cupa2Ecco la faccia cattiva, egoista dell’Europa. Per paradosso, la stessa dell’euroscettica Lega che ulula «prima gli italiani» e che evidentemente ha contagiato anche Bruxelles e Strasburgo. Prima noi, poi gli altri, è la filosofia bacata degli egoisti, alla faccia del diritto internazionale. Prima creiamo disastri in Africa e in Asia, bombardiamo e vendiamo armi, poi ce ne laviamo le mani. E quando i risultati poi ci si riversano addosso, meglio fare lo schiaffo del soldato: io? Macché. Persino la polizia italiana e chi la dirige non insiste nelle identificazioni: lasciamoli fare, vadano dove vogliono. Meno persone di cui occuparsi, poi.

Che fanno qui questi giovanissimi ragazzi? Aspettano che le frontiere si riaprano, ora che sono in quell’Europa che hanno tanto desiderato. In via Cupa guardano la processione di aiuti, chi ha svuotato la dispensa, chi l’armadio, chi il frigo, e chissà se capiscono la differenza tra il centro di Mineo e questa muta solidarietà civile. Chissà se vedono – come la vediamo noi, sgomenti – il vuoto dello stato, il balbettare della politica dietro gli urli sguaiati, quelli che invadono i talk di prima serata senza risposte degne che non siano i moniti del Presidente della Repubblica e di papa Francesco. Di cui nessuno tiene conto: ognuno fa il proprio lavoro, in chiesa si prega perché il figlio trovi lavoro, mica perché si salvino centinaia di ragazzi, donne e bambini. Eppure la loro ostinata pazienza, come la muta solidarietà dei cittadini romani (e milanesi) sono l’unica speranza vera. Se c’è un’Europa, se l’Europa ha un futuro, è qui che batte un colpo.

Facebooktwitterlinkedin