Teresa Maresca
La “Rondanini” alla ribalta per l'Expo

Quella Pietà non è incompiuta

È convincente la lettura che Henry Moore fece dell'opera di Michelangelo, da sempre considerata “sbozzata e non finita”. Secondo lo scultore inglese vi si può leggere un mutato stato d'animo e una grande libertà creativa

In occasione dell’Expo La pietà Rondanini di Michelangelo ha trovato una nuova e più ampia collocazione, sempre al Castello Sforzesco, ma nel restaurato Ospedale Spagnolo del Castello. Mi sembra una buona occasione, anche per chi l’ha già vista, quella di tornare e prendersi un po’ di tempo per considerare questa grande opera incompiuta, che anche per la sua incompiutezza sembra avere un fascino in più.

L’opera, secondo quanto riporta l’amico e biografo Vasari, era destinata dall’artista alla sua tomba; ne iniziò i lavori nel 1552, poi la riprese tre anni dopo e ci lavorò, modificandola, per quasi nove anni. Pare che Michelangelo, quasi novantenne, lavorasse alla sua ultima Pietà fino a pochi giorni prima di morire. La scultura venne trovata nel suo studio, dopo la sua morte, e dall’inventario risulta così descritta: «Statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite». A conclusione delle sue Vite, il Vasari scriverà di questa e di tutte le opere di Michelangelo, che la loro fama durerà fino a quando durerà il mondo, «mal grado della invidia et al dispetto della morte».

Pietà 2Lo studio di Michelangelo era al pianterreno di una piccola casa modesta, una stanza e due camere da letto al piano superiore, più un orto e una stalla accanto a un loggiato. Una dimora umile, niente mobili di pregio né quadri preziosi, pur nella opulenta Roma, per l’artista più pagato e invidiato del suo tempo, che avrebbe potuto permettersi ben altro. Eppure Michelangelo ci abitò per mezzo secolo, quando non era a Firenze o a Venezia, o a scegliere i marmi sulle alpi apuane. La casa romana si trovava dietro piazza Venezia, all’inizio dei Fori Imperiali, accanto al Foro Traiano, nel quartiere che all’epoca si chiamava Macel de’ Corvi, una zona molto popolare: qui c’è una targa che lo ricorda, ma in realtà la casa di Michelangelo fu distrutta nel 1902 per fare posto alla brutta spianata dell’Altare della Patria. Intorno alla casupola c’era una discarica di carogne, usata anche come latrina dalla gente del quartiere («non vanno altrove a cacar tutti quanti» scrisse Michelangelo in un sonetto scherzoso). Quella casa e quello studio avevano accolto Michelangelo quando, più giovane e forte, lavorava al Giudizio Universale della Cappella Sistina, dove apprese l’arte dell’affresco direttamente sui ponteggi, sperimentando subito un capolavoro con una tecnica che non aveva mai usato prima di allora. Ma questa è una storia precedente, fatta di giovinezza, di baldanza, di trionfo.

In quella stessa casa, ormai vecchio, il maestro visse solo, lontano dagli artisti del suo tempo che lo invidiavano e dai parenti che lo assillavano continuamente con richieste di danaro e di immobili, richieste spesso esaudite dal maestro, e dunque non c’è da meravigliarsi che avesse preferito la compagnia dei suoi domestici e del fedele garzone di bottega Francesco di Bernardino, detto Urbino, che lo accompagnò per quasi trent’anni senza mai apprendere alcuna arte dal grande artista, che pure lo considerava come un figlio.

Michelangelo riprende a lavorare alla Pietà a ottant’anni: la modifica, la stravolge quasi completamente. La parte inferiore, le gambe del Cristo, erano state già perfettamente finite, come si vede, e anche il braccio destro, ma Michelangelo distrugge la parte superiore, e scava nel primo corpo della Madre il corpo del Figlio. Le nuove figure sono ovviamente più piccole delle prime, ma da un punto di vista simbolico è sconvolgente la scelta di fondere il Figlio nel corpo di Maria, è quasi un tentativo di farlo rinascere, nell’attimo stesso della sua morte. Poi non ha abbastanza materiale per scolpire la mano sinistra della Madre, non la destra che lo sorregge ma quella che lo tocca lieve, che lo accarezza pietosa: e allora Michelangelo scolpisce la piccola mano nel corpo di Lui, e la mano della Madre sembra entrare dentro il corpo del Figlio. I due volti e la mano sarebbero “sbozzati e non finiti “, secondo la descrizione dell’inventario redatto dopo la morte del Maestro, e questo giudizio di incompiutezza è stato sancito dai posteri ed è arrivato fino a noi, come è stato anche per la decima sinfonia di Beethoven. La lettura critica più comune è che Michelangelo non abbia avuto il tempo di finire l’opera, né di mettersi al lavoro su un nuovo blocco di marmo, e che il compimento gli sia sfuggito per via dell’età, e della forza che gli mancava. Lavorare il marmo con gli scalpelli è un’arte faticosissima, richiede controllo e precisione, ma anche una grande forza fisica.

Date: 1967 Place: Perry Green Description: HM Photographer: John HedgecoeMolti anni fa, avevo forse quindici anni, ho avuto la fortuna di incontrare Henry Moore in occasione di una sua imponente personale al Forte Belvedere, a Firenze. Già da vivo era considerato il più grande scultore del mondo, dopo Michelangelo. Conservo ancora, incorniciato nel mio studio, il suo autografo: le lettere grandi, rotonde, con la “M” morbida come una delle sue figure marmoree femminili distese. Quando gli fui accanto (capelli bianchissimi, occhi azzurri, una carezza sulla mia testa) notai che era poco più alto di me e non molto più robusto, e mi chiesi come facesse a lavorare a quelle opere monumentali e immense. Ma probabilmente la forza per scolpire viene anche da un’altra parte. Ho trovato una lettura della Pietà Rondanini che Henry Moore registrò per la Rai forse proprio in occasione della sua venuta a Firenze, e vorrei usarla qui per confutare quel giudizio di incompiutezza senza appello che arriva a noi sin dall’epoca della morte di Michelangelo. Moore sostiene che la precedente versione di questa Pietà fosse stata lavorata addirittura venti o più anni prima, nello stile rinascimentale che Michelangelo rappresentava in pieno, con tutti i riferimenti all’arte greca, come testimoniano nella loro perfezione relistico-anatomica le gambe e il braccio destro del Cristo. Ma, e qui cito le parole di Moore, la ripresa del gruppo marmoreo ci racconta di un Michelangelo diventato «più religioso».

Michelangelo dunque, «avendo modificato da anziano la sua idea dell’esistenza, modificò l’ idea della pietà, della Madonna e del Cristo morto». Forse la prima scultura era perfetta, a giudicare dalle gambe del Cristo, «ma per me questa è la scultura più commovente che sia mai stata creata da un artista. Mi sento profondamente toccato dalla tenerezza e dalla straordinaria drammaticità e spiritualità della Madonna, dai volti, dalle mani. Qui, in questo suo nuovo stile espressionistico-gotico, Michelangelo ha davvero toccato il culmine della sua arte. Ecco un esempio di come gli esperti e i teorici dell’arte possono a volte sbagliare,intendo quei critici che sostengono che nell’opera d’arte debba esserci unità, che non ci possano essere disparità tra le parti della composizione. Ora di fronte a me c’è la Pietà Rondanini, una scultura che è completamente disunita, ma il fatto che possiamo vedere e immaginare la statua primitiva e insieme questa improvvisazione sentimentale nella parte superiore, rielaborata dopo tanti anni, e quindi in contrasto con la parte realistica della prima, ciò rende la scultura più dolce e piena di sentimento. Ed emozionante. La parte più tarda della composizione, la testa, le spalle del Cristo e quelle della Madonna, sono impressionanti. Direi che il Cristo non è una figura morta, ma agonizzante. Sono certo che Michelangelo in quei giorni stesse pensando alla vita e alla morte, alla propria morte, al dolore umano. E tutto questo ha realizzato nell’ultima statua prima di morire. Non importa quanto perfetta e unitaria sia l’opera. Ciò che più conta è la qualità del pensiero che l’ha ispirata. Si sente in questa scultura una più profonda comprensione dell’umanità. È questo per me il vero metro di giudizio di un’opera d’arte. Il senso di umanità che l’ha ispirata».

Facebooktwitterlinkedin